ROMA — Se il salario minimo di 9 euro diventasse obbligatorio per legge, 3,6 milioni di retribuzioni annuali si alzerebbero in media di 804 euro ciascuna. L’incremento complessivo del monte salari, calcola l’Istat, sarebbe di 2,8 miliardi. La cifra, indicata dall’Istituto nel testo dell’audizione sul salario minimo, spiega molto più di tante argomentazioni le ragioni della strenua opposizione del governo Meloni alla legge messa a punto dai partiti di opposizione, e che venerdì la maggioranza ha affossato con un emendamento “soppressivo”.
3 milioni sotto i 9 euro
Pretendere che ci siano settori in cui non esistono retribuzioni basse, e che l’unico problema sia rappresentato dai contratti pirata firmati da sigle di comodo (i cosiddetti “sindacati gialli”) significa non volere vedere la realtà. Che l’Istat illustra con pochi, sintetici numeri. Ci sono 3.600.000 rapporti di lavoro con una retribuzione inferiore ai 9 euro lordi. Siccome si tratta di contratti a bassa retribuzione, alcuni di questi riguardano la stessa persona e quindi nel complesso ci sono circa 3 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 9 euro l’ora. Tutti vittime delle zone grigie della contrattazione collettiva? Per nulla. Tra di loro ci sono 443.425 lavoratori del manifatturiero, settore ampiamente coperto dalla migliore contrattazione collettiva. Prendono meno di 9 euro l’ora anche 218.626 lavoratori del settore costruzioni.
Non solo contratti “pirata”
Le retribuzioni inferiori a 9 euro, insomma, non sono solo un problema dei servizi. E non sono neanche una questione che riguarda solo i contratti “pirata”. Ce n’è uno per tutti che smentisce questa tesi, il contratto della vigilanza privata. Nel rinnovo appena siglato da Cgil, Cisl e Uil (sindacati maggiormente rappresentativi oltre ogni ragionevole dubbio) per i vigilanti non armati è previsto un salario minimo orario di 6 euro scarsi, un traguardo che verrà raggiunto con gradualità e tagliato solo nel 2026.
I lavoratori vulnerabili
Ad avere salari bassi però in Italia non sono solo i lavoratori pagati meno di 9 euro l’ora. L’Istat identifica almeno altre due categorie di lavoratori “vulnerabili”, che hanno contratti non standard, cioè contratti brevi, che coprono solo una parte dell’anno, e contratti part-time (nel 56,2% dei casi involontario). In entrambi i casi la retribuzione a fine mese, o a fine anno, è scarsa: si tratta quindi per la maggior parte di lavoratori poveri. L’Istat stima che siano poco meno di 5 milioni; al loro interno un po’ più di 800 mila sono doppiamente vulnerabili.
E i lavoratori poveri
Se invece si vuole calcolare quanti sono i lavoratori a bassa retribuzione a prescindere dal tipo di contratto, e dai minimi salariali, l’Istat fornisce un altro tipo di analisi che si basa sui flussi Uniemens dell’Inps. Considerando per il 2021 la soglia di 12.093 euro lordi annui, ci sono 4,6 milioni di lavoratori dipendenti che si collocano al di sotto, il 30% del totale. Non è detto che chi si colloca al di sopra abbia necessariamente un buon contratto: potrebbe ammazzarsi di lavoro per arrivare a uno stipendio decente. Ci sono rider che lavorano 12 ore al giorno e così, aiutati dall’algoritmo che favorisce gli stakanovisti perennemente disponibili, riescono a mettere insieme anche 2.000 euro al mese, nonostante la loro retribuzione oraria sia tra i 4 e i 5 euro. E ci sono vigilanti che hanno portato nei ricorsi in tribunale buste paga con 120/130 ore di straordinario mensile, perché magari hanno moglie e fili a carico, e sono obbligati ad ammazzarsi di lavoro per superare i 1.000 euro netti al mese.
I settori che pagano meno
La metà dei dipendenti a bassa retribuzione è concentrata nei servizi di alloggio e ristorazione, in quelli di supporto alle imprese (prevalentemente agenzie interinali e servizi di pulizia) e nei servizi alla persona (di cura, intrattenimento e istruzione). Settori non diversi da quelli dove si concentrano i salari orari inferiori a 9 euro: noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese, attività artistiche, sportive e di intrattenimento, alloggio e ristorazione.
Prevalenza di giovani e donne
Tra i lavoratori vulnerabili e poveri c’è una prevalenza di donne, di giovani sotto i 30 anni, di lavoratori del Mezzogiorno e delle Isole. Ai lavoratori più fragili molto spesso fanno capo anche famiglie povere: circa due milioni di lavoratori “non standard” sono genitori. Molti non hanno scelta perché sono scarsamente qualificati: addetti alle consegne, lavapiatti, addetti alle pulizie di esercizi commerciali, collaboratori domestici, braccianti agricoli, addetti alla ristorazione, baby sitter.
Il governo a fianco delle imprese
I lavoratori a bassa retribuzione sono impiegati molto spesso da datori di lavoro che avrebbero molte difficoltà a pagarli decentemente. Il 40% lavora nelle microimprese con meno di dieci addetti. Nel corso delle audizioni il presidente della Commissione Lavoro Walter Rizzetto non ha fatto mistero di temere il fallimento delle aziende costrette a pagare 9 euro l’ora. La stessa preoccupazione emerge dal report dei Consulenti del Lavoro (ordine professionale dal quale proviene la ministra Marina Calderone): «Un innalzamento repentino, introdotto per legge, rischierebbe di mettere in crisi le aziende». Certo 2,8 miliardi sono una cifra importante. E il governo ha già scelto da che parte stare.
Stagionali, stipendio per pochi mesi e indennità dimezzata
Mancano i lavoratori stagionali. Il grido d’allarme delle imprese arriva puntuale, ogni anno, da Nord a Sud, forse con maggiore intensità da quando si è conclusa la pandemia e quindi molti lavoratori del settore, durante il lockdown, hanno cambiato lavoro. I contratti stagionali possono durare al massimo 8 mesi, ma sono veramente pochi quelli che coprono un periodo così lungo. E se in passato poteva rappresentare un ragionevole compromesso lavorare per alcuni mesi, magari cinque o sei, e percepire l’indennità di disoccupazione per un periodo equivalente, la riforma della Naspi ha praticamente dimezzato l’assegno, e il resto è arrivato con la riforma del reddito di cittadinanza. Per chi vive in una località turistica non è facile trovare un altro lavoro nei mesi invernali, e gli stipendi estivi non sono tali da coprire il resto dell’anno. Quest’anno la Filcams Cgil ha lanciato a inizio stagione la campagna “Mettiamo il turismo sottosopra”, chiarendo che «è necessario ribaltare il punto di vista: non sono i lavoratori a mancare, quella che è difficile trovare nei diversi comparti della filiera turistica è un’offerta lavorativa regolare». Da recenti controlli a campione dell’Ispettorato del lavoro tra le aziende del turismo e della ristorazione è emerso che una media del 76% è irregolare, con punte del 95% al Sud, e il 26% degli addetti lavora in nero. Persino i dipendenti full time a tempo indeterminato hanno un reddito medio tra i più bassi del settore dei servizi.
Spettacolo, un lavoratore su quattro non raggiunge i 500 euro
Non c’è solo lo sciopero degli attori di Hollywood. Anche a Cinecittà dall’inizio di quest’anno attori, doppiatori, stuntmen, operatori troupe sono in rivolta contro i contratti collettivi scaduti da 15 o 20 anni e ormai inapplicabili, i minimi spesso indecenti, la perenne precarietà e discontinuità lavorativa che impediscono a una parte importante dei lavoratori dello spettacolo di avere una retribuzione al di sopra della soglia di povertà. Secondo i dati Inps il settore conta oltre 300 mila lavoratori con una retribuzione annua media lorda di 10 mila euro. Una media tra entrate estremamente differenti: da una recente indagine della Rete Intersindacale Professionisti Spettacolo e Cultura emerge che il 23%, quasi un lavoratore su quattro, guadagna meno di 500 euro al mese, e il 35% da 501 a 1.000 euro. Retribuzioni medie frutto anche della discontinuità: la maggior parte dei lavoratori dello spettacolo è “a bassa intensità”. Ma anche i compensi orari o a giornata sono fermi da 15 anni (per i doppiatori) o 20 (per le troupe e gli stuntmen) o sono totalmente arbitrari (per gli attori del cinema e della televisione che, a differenza di quelli teatrali, non hanno mai avuto un contratto collettivo). Dall’inizio di quest’anno gli artisti sono scesi in piazza: i doppiatori hanno scioperato per 21 giorni consecutivi. Alla fine sono riusciti nell’impresa di mettere intorno a un tavolo le parti datoriali: già entro la fine di questo mese potrebbero arrivare i primi risultati