Da “Sfusato Amalfitano” a “SPRECATO AMALFITANO”

23 luglio 2023 | 10:03
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Da “Sfusato Amalfitano” a “SPRECATO AMALFITANO”

Una foto di Salvatore Aceto ha fatto letteralmente infiammare i social: un letto di limoni miseramente caduti a terra, sotto le piante ancora cariche del prezioso frutto ha colpito tutti. Come può accadere tutto questo? Alla domanda generata dalla foto, sono piovute le risposte e le interpretazioni più disparate, d’altra parte i social servono prevalentemente a questo; allo sconforto e alla rabbia si sono sommate interpretazioni, rimedi, accuse, colpevoli, soluzioni.
Parliamone! Non vogliamo alimentare il caos, vogliamo solo tentare di mettere a fuoco il problema.
La Costiera Amalfitana prevalentemente è suddivisa in tre “Fasce fito-climatiche” quella bassa, 0 m – 350 m, caratterizzata dal limone; quella media, 350 m – 500 m, vede la vite farla da padrone; oltre i 500 m troviamo il castagno. Sfusato Amalfitano IGP, uve DOC Costa d’Amalfi, e castagne sono i tre prodotti di eccellenza della nostra agricoltura che hanno da sempre incrociato la loro strada con quella del turismo, dell’economia, del dissesto idrogeologico, del paesaggio e, ovviamente, dell’uomo, della Costiera Amalfitana.
Basta solo questa constatazione, per capire che il fenomeno che stiamo trattando non può essere liquidato con uno spot, o con 1 soluzione, 1 colpevole, 1 motivazione.
La ex Comunità Montana Costiera Amalfitana, ebbe ad interessarsi non poco di queste tre prelibatezze del nostro territorio; molti furono gli investimenti ed i progetti avviati; su tutti, quelli che portarono al riconoscimento della DOC per le uve, all’ IGP per lo sfusato amalfitano, alla lotta al “cancro dei castagni” e al rilancio del polo castanicolo Tramonti-Ravello-Scala; il periodo aureo dei tre prodotti e loro derivati è coinciso proprio con la presenza di quel tanto vituperato Ente Pubblico che qualche sciocco definiva anche comodità montana. Parallelamente all’attività pubblica, per questi tre prodotti, c’è stata pure quella privata, o se preferite, il “mercato”, a determinarne le sorti.

Ed ecco che irrompe uno dei problemi da affrontare: per la vite e per il vino, l’avvento della DOC è coinciso con l’esplosione di iniziative imprenditoriali private che, in pochi anni, hanno visto proliferare le etichette di vino Costa d’Amalfi; dalle due sole case vinicole produttrici e una di semplici imbottigliatori (peraltro tutti concentrati a Ravello), si è passati a decine di aziende che si sono affermate sul mercato dell’enologia anche internazionale, con straordinari risultati; quegli imprenditori sostengono i contadini con contributi alle spese sia per i pali, sia per i prodotti fitosanitari, sia per l’assistenza agronomica.
E il limone e la castagna ? Sono spettatori di un declino che rischia di diventare irreversibile. La castagna non ha mai attratto imprenditori che investissero in impianti di lavorazione e/o trasformazione, anzi ha visto morire senza eredi quelle figure di intermediari locali fra la produzione e la lavorazione (a Ravello ricordiamo gli storici Berardino Apicella e Alfonso Bottone) che in qualche modo erano una garanzia per i castanicoltori; inoltre, fra attacchi parassitari e scomparsa della domanda, è sempre più frequente il fenomeno dell’abbandono dei castagneti da frutto che, unito a quello dei castagneti cedui per la produzione di pali, mette a grosso rischio la stabilità idrogeologica di aree sempre più vaste.
Ed eccoci al nostro limone, quello sfusato amalfitano che, nella prima metà del secolo scorso, veniva addirittura esportato nel nord Europa con imbarcazioni che partivano da Maiori, e frutti avvolti, uno ad uno, in carta protettiva; intorno alla produzione del nostro limone è sorta solo – lo dico con affetto e simpatia – una modesta e sgangherata produzione di limoncello, gestita da micro laboratori artigiani in piccoli ambienti sottratti con caparbietà a più remunerative iniziative commerciali, o magari a B&B; non esiste una rete di laboratori o un consorzio per cercare di ampliare l’offerta e, magari, contrastare meglio il fenomeno di una produzione industriale che da Cortina a Taormina, con i nomi più fantasiosi ma senza lo Sfusato Amalfitano, hanno saturato il mercato italiano. Sul fronte della coltivazione il fenomeno dell’abbandono e dell’invecchiamento dei limonicoltori ha portato ad un calo dell’offerta che ha via via allontanato anche la domanda. Il quadro si è complicato ancor più se aggiungiamo: la scomparsa dei “trasportatori”; il fallimento della politica delle strade interpoderali (solo su questo servirebbe un trattato); la distruzione della rete idrica di supporto ai limoneti fatta di canali a cielo aperto di adduzione, gestiti con regole ben precise e manutenzione quotidiana, e una miriade di “cisterne” che fungevano da accumulo e scorta di acqua; sto parlando di quell’acqua che, gestita bene, consentiva di mantenere il limone più a lungo sulle piante in modo da arrivare sul mercato della distribuzione quando i prodotti che arrivavano copiosi e a buon mercato dalla penisola iberica, dal nord Africa e finanche da Israele, erano stati smaltiti, e, quindi, si poteva strappare anche un prezzo più remunerativo. In tale contesto, si si è aggiunto poi il fenomeno della proliferazione dei depositi refrigerati che consentono ai produttori mondiali di presidiare il mercato costantemente con i loro limoni che, al di là della qualità, hanno costi di produzione infinitamente più bassi del nostro Sfusato.
E’ del tutto evidente che per fronteggiare questo declino sarebbe servito un piano strategico ed economico a 360°; un piano che coinvolgesse l’intera Regione Campania e anche qualche pezzo di governo, per sostenere sì lo Sfusato Amalfitano, ma, con esso, anche per frenare il grave dissesto idrogeologico che è diffuso in tutta la Costiera, per tutelare quel “Paesaggio” che è il Bene Culturale maggiore da proteggere, per sostenere un turismo di qualità che sta diventando un ricordo sbiadito dalle nostre parti.
Tranquilli, non sono pazzo! Quella fotografia del letto di limoni caduti è la sintesi della mancanza di visione strategica, di idee chiare, di mancanza di lungimiranza, di una politica sovracomunale inesistente se non addirittura nemica. E se non dovesse bastare questo a rovinare il sonno, non certo dei valorosi contadini che la coscienza ce l’hanno a posto, ma di quelli che a sera trovano un cassetto ancora pieno di soldi o di voti, ricordo che i mutamenti climatici sono catalizzatori di tutti i fenomeni negativi di cui sopra, e non sono sensibili né ai soldi, né alle sirene politiche con i loro canti e le loro dirette, né alle clientele.
In estrema sintesi: lo Sfusato Amalfitano una volta era un frutto unico e senza rivali per caratteristiche organolettiche, profumo e ricchezza di oli essenziali; oggi è ancora quello, ma anche: un avamposto, una trincea per il dissesto idrogeologico; un tassello fra i più importanti del grande mosaico del “Paesaggio Costiera Amalfitana”; un pilastro della qualità e dell’eccellenza italiana che i turisti migliori rincorrono da tutto il mondo; un’assicurazione sulla vita futura.
Dallo Sfusato allo Sprecato Amalfitano il passo è breve, e lo abbiamo già fatto.