Karima incanta Sorrento con un concerto “senza filtri” elegante e raffinato
Sorrento (NA) Domenica sera sul palco di Villa Fiorentino si è esibita la cantante Karima che ha presentato al pubblico sorrentino il suo ultimo progetto musicale “No Filter”. La cantante livornese, che ha concluso la seconda serata della V Edizione del LemonJazz Festival Sorrento, con la direzione artistica di Mario Mormone, promossa da Fondazione Sorrento e la direzione di Antonino Giammarino, è stata protagonista di uno spettacolo grintoso e raffinato; la sua voce potente ha riempito la scena e i cuori degli spettatori, declinato tutti i colori del jazz, del soul e del blues. Nonostante la giovane età, l’artista vanta già una lunga esperienza artistica, che comprende la partecipazione al Festival di Sanremo nel 2009 e soprattutto la collaborazione con Burt Bacharach, che ha scritto per lei dei brani e prodotto, nel 2010, il suo primo album dal titolo Karima. L’album “No Filter”, invece, raccoglie 11 brani di grandi successi internazionali, affrontati per la prima volta da Karima Ammar con profondo amore e rispetto e un’interpretazione personale e “verace” come ama dire lei. Il progetto si avvale della collaborazione di persone per lei speciali, prima di tutto amici, poi grandi musicisti: Gabriele Evangelista al contrabbasso, Bernardo Guerra alla batteria e Piero Frassi al pianoforte, tutti presenti sul palco sorrentino. Karima ha aperto il concerto con una sorprendente Walk on the Wild Side, prima traccia del disco e anche primo singolo poi Tears in Heaven, Come Together, Love Of My Life e Man in the Mirror che hanno strappato sempre l’applauso. Nel suo sgargiante abito giallo limone in onore di Sorrento, l’ex alunna di “Amici” ha omaggiato infine il Maestro Burt Bacharach con un’interpretazione di Come in ogni ora, che per bellezza ha fatto da contraltare perfetto alla splendida luna piena che riluceva tra le chiome degli alberi del limoneto di Villa Fiorentino. Quella che segue è l’intervista che l’artista mi ha gentilmente concesso.
Complimenti per la bellissima performance. La prima domanda è su Burt Bacharach, che, ahinoi, è venuto a mancare l’8 febbraio di quest’anno. Cosa ha rappresentato per lei questo magnifico artista?
Un Maestro straordinario. Sono l’unica cantante italiana per la quale ha composto due inediti e l’unica italiana che ha prodotto. Tenga conto che sono stata impegnata per tre anni di seguito, dal 2008 al 2010, nel suo studio di Los Angeles per la pre-produzione del mio disco. Ricordo con grande emozione quelle volte che ci capitò di lavorare suonando il secondo pianoforte, che il Maestro aveva nel salone di casa e davanti a noi, tra i tanti premi esposti, c’erano i tre Oscar. Era per me un’atmosfera quasi surreale. Avevo 23 anni e conoscevo il repertorio di Burt Bacharach dall’età di 16, perché fin da bambina mi ero innamorata della voce di Dionne Warwick.
Scusi se la interrompo, Bacharach lo conobbe a Sanremo?
No, almeno sei mesi prima della performance sanremese. Quello che mi colpì fin da subito di Burt Bacharach, al di là del talento cristallino, fu la ricchezza d’animo. Si sa che il successo, specialmente quello planetario che possono vantare i grandi personaggi come lui, ad alcuni avrebbe potuto, come dire, dare alla testa, Bacharach invece è sempre rimasto un uomo di una semplicità disarmante e di grande umile. Ricordo, emozionandomi, che lui, 84enne con la carriera che aveva avuto, durante le serate in cui coglieva in me un certo nervosismo, non si faceva problemi a incoraggiarmi. Mi ricordo di una sera in cui ero particolarmente tesa e lui si avvicinò e mi disse: Guarda, tu canti benissimo, non hai bisogno di dimostrarmi niente. Non salire sul palco con la paura di non essere abbastanza. Sii semplicemente te stessa”. Mi ha insegnato questo, chi ha veramente qualcosa da dire non ha bisogno di inventarsi strani vocalizzi o strani modi di cantare per impressionare il pubblico.
Mi è venuto in mente che ieri ascoltavo Marino Bartoletti che nel suo ultimo romanzo cita la Scala di Giacobbe, un ponte tra Cielo e terra che permetterebbe agli angeli, ma nel suo caso, a grandi personaggi dello spettacolo scomparsi, da Raffaella a Modugno per citarne i primi che mi vengono in mente, di tornare tra noi vivi per aiutare le persone in difficoltà. Se a percorrere la Scala di Giacobbe fosse Bacharach, che cosa gli chiederebbe?
Che bello! Beh sarebbe stupendo tornare a suonare insieme. Vorrei che fosse il mio Angelo Custode. Pensi che Bacharac è venuto a mancare esattamente un anno e tre mesi dopo che era venuto a mancare il mio papà. Quando Bacharach è morto, è come se quella ferita tornasse ad aprirsi. Parlo della ferita che ti resta dentro quando scompare una delle persone più importanti della tua vita. Sì, ho perso due angeli guida. Ogni tanto le confesso che cerco segnali di questi due angeli in questa realtà.
Rimanendo negli States, vorrei chiederle che cosa ha rappresentato per lei Whitney Houston?
Nel 2010 ho avuto l’onore di aprire due concerti di Whitney Houston, poi purtroppo nel 2012 è scomparsa. Withney per me rappresenta il canto. Io ho cominciato da autodidatta, da piccolissima. La prima registrazione in studio l’ho fatta che avevo sei anni, ricordo che alla radio ascoltai per la prima volta “Bridge Over Troubled Water” cantata da lei e subito quella voce mi sedusse. Come se si fosse accesa una scintilla dentro di me, corsi da mia mamma e le dissi: io voglio cantare come lei. Ricordo che qualche tempo dopo al cinema uscì “Guardia del corpo” e chiesi a mia madre di poterlo vedere. Da allora Whitney Houston è stata per me la mia musa ispiratrice e in un certo senso la mia insegnante di canto. Non avevo le possibilità economiche, all’epoca, di permettermi un insegnante di canto. Sono cresciuta senza papà, che ho conosciuto quando avevo 17 anni, mia madre aveva problemi di salute, insomma la mia infanzia non è stata semplice. Proprio per questo quando incontro ragazzi e ragazze che apirano a diventare cantanti li incoraggio sempre, dicendo loro di non mollare soprattutto nelle difficoltà. Tengo però a sottolineare una cosa, per me “farcela” vuol dire arrivare a vivere di quello che ami, “farcela” vuol dire arrivare a 80 anni e avere ancora dentro intatto l’amore e la voglia di cantare. Se tu hai passione per quello che fai, gli ostacoli li superi, prima o poi ce la fai. Io ho dato tutto alla musica e lei mi ha sempre ripagato.
Da quando abbiamo iniziato l’intervista non le nascondo che sono rimasto particolarmente affascinato dalla tua inflessione toscana. Lei è di Livorno, non è vero?
Sì sono livornese. Non riesco a togliere l’accento, nonostante ci abbia provato. All’inizio ci soffrivo, poi, per farle un esempio, ho ascoltato i colleghi napoletani, e pensavo che la loro lingua e il loro accento erano molto belli. Col tempo è accaduto anche a me che le persone ascoltando il mio accento toscano mi dicessero che era una cosa bella. Quindi alla fine mi sono detta lasciamolo quest’accento livornese.
È vero che i livornesi son gente tosta?
Sai come ci chiamano a noi? I napoletani del Centro Italia. Siamo gente di mare, siamo gente solare e verace come i napoletani, e io credo che se sono riuscita nelle mie cose è perché ho conservato questa caratteristica dei livornesi: siamo genuini, veraci, caparbi, testa bassa e determinazione nel raggiungere gli obiettivi.
A proposito della napoletanità, mi racconta del suo rapporto con la Canzone napoletana?
Adoro la canzone napoletana, perché ho sempre avvertito un forte collegamento tra la musica partenopea e la musica delle mie origini, quella araba perché io sono in parte algerina, in parte egiziana e in parte toscana. La musica araba e quella napoletana hanno molte cose in comune. Spesso però di fronte a un brano classico napoletano mi scopro inibita perché penso che non conoscendo la pronuncia potrei rovinare la canzone. Sono convinta che solo un cantante napoletano possa interpretare una canzone napoletana come si deve. Le devo confessare però che adoro cantare “Anna Verrà” ma è in italiano, quindi non vale come test di napoletano (sorride N.d.A.). Una cosa però la voglio aggiungere, quando il mio manager mi annuncia “ci sarebbe la possibilità di un’esibizione a Napoli”, il mio secondo pensiero dopo la gioia di rivedere Napoli è quello che “finalmente mangio la pizza”, perché io sono una buona forchetta e ho sempre detto che se un uomo mi vuole conquistare, non mi deve portare in un ristorante stellato ma a “magnà una buona pizza” (sorride N.d.A.).
Tornando alla sua poca dimestichezza con il dialetto napoletano, ricordo che Jorge Fernando, un fadista di Lisbona, diceva che un cantante diventa tale quando comprende che è importante cantare “non quello che si sa ma quello che si è”, con questo voglio dire che se lei sbaglia la pronuncia di una parola napoletana conta poco, l’importante è che lei canti se stessa.
Beh se mi incoraggia così, allora canterò più spesso in napoletano (Sorridiamo N.d.A.) Mi fa venire in mente, in riferimento a “No Filter”, il progetto musicale che presentiamo stasera a Sorrento, che è una raccolta di grandi successi rivisitati in chiave jazz, acustica e crossword, ma mantenendone scrupolosamente il fulcro. Spesso quando un pezzo è arrangiato ci metti un minuto e mezzo a riconoscerlo, qui lo capisci subito perché il nocciolo della melodia lo abbiamo mantenuto, non è stato cambiato né armonicamente né strutturalmente. Per questo quando mi dicono che “No Filter” è un disco di cover, io replico subito che si sbagliano perché qui c’è solo Karima. Nel senso che in questi pezzi, tornando alla citazione di Jorge Fernando, io canto me stesa. Quando preparo l’interpretazione di un brano internazionale, ascolto solo la melodia, mi faccio dare il nuovo arrangiamento, quindi costruisco la mia interpretazione in cui metto il esclusivamente mio modo di cantare.
Perché “No Filter”?
Perché questo disco è stato registrato, come mi ha insegnato il Maestro Burt Bacharach, in presa diretta, senza taglia e incolla. Eravamo tutti nello studio, se qualcuno sbagliava una nota, si ricominciava daccapo. Senza filtri, quello che si ascolta è quello che è stato registrato. Volevo portare l’emozione del live in un disco realizzato in uno studio. Abbiamo registrato gli undici pezzi in due giorni, abbiamo fatto massimo tre take a pezzo, proprio per cogliere l’emozione che sentivamo in quel preciso istante. Pensi che per un brano delle volte puoi rimanere anche un mese a provare. Si chiama “No Filter” perché a chi ascolta deve arrivare l’emozione genuina di quel momento preciso di quando il brano è stato suonato, senza ricorrere ad artifizi durante la registrazione.
Ultima domanda, mi racconta un po’ della Karima madre e interprete di brani Disney?
Ho interpretato La Principessa e il Ranocchio nel 2009, sono diventata mamma nel 2014. Avrei voluto sempre un figlio, quindi nel 2009 quando mi hanno proposto il progetto musicale mi sono detta “che bello! Mia figlia o mio figlio un giorno avranno una canzone della Disney, e tenga conto che sono cresciuta con i film della Disney, quindi è stata una doppia emozione. È stata una bellissima esperienza, anche se mia figlia è crudele con me perché guarda tutti i film della Disney ma la Principessa e il Ranocchio con me non vuole perché mi metto a cantare i brani e lei non vuole. Batture a parte, cantare un brano Disney fa parte di quelle esperienze che fai nella vita che sono come spunte che metti nel tuo curriculum: cantare con Bacharach, ok!, cantare con Whitney Houston, ok!, partecipare a Sanremo, ok!
Prossima spunta?
Mi piacerebbe cantare con Steve Wonder.
Grazie
Link utili: https://www.karimaofficial.com/
Nella foto Piero Frassi, Karima. Gabriele Evangelista e Bernardo Guerra.