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Ciò che conosciamo di questo santo lo dobbiamo alla vita che ne scrisse un suo discepoli, Andrea abate di Strumi, e ad un suo successore nel governo di Vallombrosa, Atto, più tardi vescovo di Pistoia. Nato a Firenze verso il 995, da famiglia nobile. In un tempo di lotte tra fazioni anche cittadine, il fratello maggiore Ugo fu ucciso e un giorno Giovanni, ormai trentenne, incontrato l’assassino stava per vendicarsi, quando, scosso dal turbamento del poveretto che si era messo a terra con le braccia incrociate in attesa di essere pugnalato, trovò la forza di perdonare. Entrato poi in una chiesa, dopo essersi inginocchiato davanti al Crocifisso, lo vide inchinare ripetutamente il capo in segno di assenso al suo gesto di perdono. Entrato poi nell’abbazia di S. Miniato a Firenze, avendo scoperto che l’abate, Oberto, aveva ottenuto l’incarico simoniacamente dal vescovo di Firenze, denunciò pubblicamente vescovo e abate, poi abbandonò la città in cerca di un monastero pienamente osservante. Pellegrinò tra quelli della Romagna, passando quindi a Camaldoli e finalmente giunse a Vallombrosa, una solitaria località dell’Appennino, dove trovò due eremiti, Paolo e Guntelmo, coi quali diede vita ad una nuova comunità a cui si unirono monaci profughi da S. Miniato, chierici e laici di Firenze, e di cui Giovanni fu eletto abate, moltiplicando poi le fondazioni in Toscana. Nel 1038 l’imperatore Enrico III, di passaggio a Firenze, colpito dalla fama del monastero, inviò a Vallombrosa un vescovo per consacrarvi l’altare della chiesa. I monaci promossero anche efficaci campagne di predicazione per liberare la Chiesa dagli indegni, e quando nel 1060 Milano cacciò molti preti simoniaci, per sostituirli il Gualberto ne mandò altri plasmati dallo spirito di Vallombrosa. Giovanni morì nel 1073 nel monastero di Passignano e Celestino III lo canonizzò nel 1193. Nel 1951 Pio XII lo proclamò patrono del Corpo forestale italiano.