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Piano di Sorrento – Intervista al cantautore Nino Buonocore

13 luglio 2023 | 13:02
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Piano di Sorrento (NA) Ieri sera in via Ripa di Cassano il concerto con Nino Buonocore. Con il noto cantautore napoletano che raggiunse il successo internazionale con il singolo “Scrivimi”,  con oltre 3 milioni di copie vendute in tutto il mondo, c’era un altro musicista di acclarata fama internazionale, il Maestro  Danilo di Paolonicola,  fisarmonicista, vincitore di sei “Campionati Del Mondo” (1987-88-89-90-91-95) di fisarmonica diatonica e rappresentante della fisarmonica nel mondo per il museo di Castelfidardo, che organizza eventi legati alla storia della fisarmonica. Come ricordato dal vicesindaco, Giovanni Iaccarino dal palco, con il progetto “In Jazz Live” Nino Buonocore “propone al suo pubblico un progetto musicale elegante e raffinatissimo”, una sintesi molto equilibrata e intelligente d’illuminazioni musicali (quasi del tutto acustiche) che fa pari con la sua grande voglia di creare musica.  Adelmo Nino Buonocore con la scelta di vestire le sue canzoni di suggestive note jazz realizza, in questo suo ultimo lavoro, 14 abiti di alta sartoria musicale, se mi passate la metafora. Quella che segue è l’intervista che il Maestro mi ha gentilmente concesso.

Complimenti per “In Jazz Live”, un progetto musicale di realmente elegante, vorrei che mi raccontasse la sua decisione di misurarsi con il  jazz?

Credo di avere sempre scritto e concepito musica con predisposizione al jazz,  in questo progetto l’ho scelta perché le armonie e le melodie si prestavano a questo tipo d’interpretazione. Poi è chiaro che durante questo percorso lunghissimo iniziato molti anni fa, intendo la mia carriera artistica,  avendo avuto la fortuna e l’onore di conoscere mostri sacri come Chet Baker (1929 – 1988), ho sentito il bisogno di misurarmi con maggior convinzione con il linguaggio jazzistico e mi sono industriato per avere con me musicisti che potessero far parte di un progetto che potesse andare in quella direzione. Ma tengo a sottolineare che non è detto che questa sia la mia scelta definitiva. La musica è un universo che non smetterò mai di esplorare, sicuramente in futuro mi cimenterò anche con altri linguaggi.

Prima lei ha citato Chet Baker, musicista straordinario, personalità complessa, ma indubbiamente uno dei più grandi trombettisti al mondo, le va di raccontarmi come l’ha conosciuto?

Certo. Ho avuto la fortuna di conoscere Chet di persona una sera a Roma. Avevo ascoltato un disco di Elvis Costello, se non ricordo male l’album era Punch the Clock e il pezzo che mi aveva entusiasmato era Shipbuilding (testo di Costello, musica di Clive Langer, è una canzone di protesta contro la guerra delle Falklands), dove c’è un assolo di Chet. L’interpretazione di Chet in Shipbuilding mi conquistò al primo ascolto. Mi colpì anche il fatto che Costello, che non è un jazzista, aveva voluto Chet, mi dissi, strano però funziona. Mi resi conto allora che la contaminazione di generi era una strada molto interessante che mi avrebbe fatto piacere percorrere. Decisi di inviare a Chet due brani, ricordo che all’epoca lui era a Parigi. Lui mi rispose dicendomi che dovevamo incontrarci e mi fissò un appuntamento a Roma. Quando ci incontrammo, diedi a Chet altro materiale e lui dopo averlo ascoltato mi confermò il suo desiderio di voler far parte del mio progetto musicale. Da allora abbiamo stretto una grande collaborazione; le potrei raccontare ancora tanti di aneddoti, alcuni anche sorprendenti, da scriverci un libro.

Invece di Rino Zurzolo cosa ricorda?

Beh, è stato un musicista straordinario con una cifra bassistica molto particolare, che lo rendeva unico rispetto a tanti bassisti, ma soprattutto eccelleva come contrabbassista. Credo che anche Rino apprezzasse la mia musica. Con lui credo sia stata la collaborazione musicale più facile da instaurare, proprio perché c’era una profonda affinità tra noi.

Come nasce una canzone? La sua è una scrittura di pancia o ragionata?

Dico sempre che chi scrive canzoni è un disadattato. Mi spiego meglio, credo che un artista in genere sia uno che a esprimersi nel linguaggio convenzionale ha delle difficoltà e per ovviare a tutto questo, ricorre a linguaggi nuovi che gli permettono di raccontare al mondo quello che ha dentro. Per me scrivere una canzone, parlo della mia personale esperienza, è comunicare il mio mondo interiore ricorrendo a un linguaggio non convenzionale che mi è proprio naturale, fa parte di me.

La sua passione per questo linguaggio anticonvenzionale, la musica, nasce in famiglia, lei è figlio d’arte?

No, non posso definirmi figlio d’arte. Però le rivelerò che mio fratello faceva il rappresentante di dischi, quindi in casa avevamo di tutto ed io ho avuto la fortuna di poter ascoltare fin da piccolo tutti i generi musicali che volevo. Dalla musica classica ai Doors.

C’è tra i musicisti che ama ascoltare uno che potrebbe definire il suo padre artistico?

No, padre artistico no, ma posso dirle che ci sono scuole musicali nelle quali mi riconosco come la musica dell’East Coast degli States, che io definisco un pop elegante con commistioni jazz che è poi la mia cifra. Cantautori americani a parte, le cito solo Steve Dennis come esempio, tra gli italiani invece ho sempre amato ascoltare Paoli, Tenco, Fossati e il primo Battisti.

Nelle sue canzoni declina spesso il lessico amoroso nelle sue tante sfaccettature, oggi è ancora valido?

Discorso molto lungo e articolato. Beh potrei dirle in estrema sintesi che oggi rispetto a ieri è la fretta che la fa da padrona. Rispetto ai miei vent’anni le nuove generazioni bruciano le tappe. Noi invece avevamo dei tempi quasi fisiologici, sia per crescere, sia per apprezzare l’arte, che per le relazioni amorose. Oggi tutto è fatto e consumato in fretta. Manca a mio parere il godimento delle piccole cose. L’attesa di maturare e questo si riflette nel lessico e in tutto il resto.

Ricordo l’album “Libero Passeggero” (2004 N.d.A., dedicato a Chet Baker), mi dice se è felice quel passeggero?

L’album è anche una riflessione sul viaggio che diventa metafora della vita. Noi tutti siamo passeggeri che non sanno fondamentalmente dove approderanno, ma ciò che conta, alla fine, non è l’arrivo ma il viaggio stesso. Secondo me la felicità è proprio nel percorso non nella meta.

L’ultima domanda è sulla copertina del disco, ha scelto un camaleonte, perché?

Perchè il camaleonte un po’ mi rappresenta. Come il camaleonte muta il colore della propria pelle rimanendo se stesso, così io sono un musicista a cui piace interpretare svariati generi musicali rimanendo però sempre fedele a sè stesso. Ecco perché nella mia musica c’è il jazz, il pop, la musica carioca etc. Non ho problemi a misurarmi con altri linguaggi, come il camaleonte se devo cambiare il colore della mia pelle lo cambio, l’importante per me è che il cervello rimanga sempre lo stesso (sorridiamo N.d.A.).

Grazie a Nino Buonocore

di Luigi De Rosa

Nino Buonocore Nino Buonocore (chitarra) e Danilo di Paolonicola (fisarmonica) in concerto a Piano di Sorrento