Balneari affari d’oro, scatta l’inchiesta sui gestori anche in penisola sorrentina. La Corte dei conti: canoni irrisori, mille euro al mese per un milione di fatturato
La Finanza a caccia di documenti all’Autorità portuale. L’ipotesi: oneri versati al Demanio inferiori a quanto dovuto. Si indaga sulle attività svolte dai gestori: dagli ombrelloni agli eventi
Paghi allo Stato poco piu di mille euro al mese ma fatturi più di un milione a fine anno. Sono gli affari d’oro dei gestori di lidi e locali sul litorale di Napoli. Sul business del mare ora scatta l’indagine. Nei giorni scorsi la Guardia di finanza ha bussato alle porte dell’Autorità portuale, l’ente che detiene le concessioni balneari e incassa i canoni.
Fibrillazione negli uffici del molo Pisacane, i militari puntavano ad acquisire atti e documenti. Inchiesta top secret, si muove la Procura della Corte dei conti che accende i riflettori sulle cifre irrisorie pagate dai balneari allo Stato. Partendo da un dato: chi sfrutta uno pezzo di sabbia, tecnicamente un bene demaniale marittimo, può farlo in città arrivando a versare addirittura meno di 300 euro mensili. Spiccioli, insomma.
Soldi che non bastano a fittare neanche un basso o un appartamento in zona popolare. Già, perché le concessioni dei principali stabilimenti da Pietrarsa a La Pietra, valgono in termini di canone dai 3.300 ai 23.500 euro annui: cioè dai 300 ai 1900 euro mensili.
Chi è titolare di un arenile, vende lettini, ombrelloni, ma può staccare fatture e scontrini anche per cene, cerimonie, concerti, serate live. Ed è questa la chiave di una inchiesta alle battute iniziali: un conto è gestire sedie sdraio, altro conto è organizzare anche eventi, spettacoli, discoteca. E il canone che lo Stato chiede al gestore cambia a seconda del tipo di attività svolta. Lo prevede il codice della navigazione.
Tradotto: più guadagni, più devi pagare allo Stato in termini di oneri concessori. È il principio della “redditività del bene pubblico” che alimenta i dubbi degli inquirenti: i balneari nel corso degli anni hanno comunicato i diversi utilizzi delle concessioni? Oppure chi ha un ristorante, un bar, una spiaggia di mattina che diventa club di sera, di fatto non ha versato quanto avrebbe dovuto? Ora saranno gli accertamenti a dimostrare se c’è stata una “erronea quantificazione dei canoni”.
Di certo i bilanci di questi gestori parlano di ricavi pre Covid fino a più di 1 milione di euro l’anno. La magistratura contabile allarga così su Napoli il raggio di una inchiesta quasi chiusa che avrebbe già dato i suoi frutti sul litorale domitio. Nel mirino gli stabilimenti in zona Castel Volturno, dove sarebbe emerso un danno di 7 milioni tra occupazioni abusive, canoni non riscossi o calcolati in modo non corretto.
«Perché abbiamo scoperto lidi – spiegò il pm Davide Vitale a febbraio, a margine della presentazione dell’anno giudiziario – che non svolgevano solo attività balneare ma anche altre iniziative commerciali per 365 giorni l’anno come ristorazione, matrimoni, lounge bar che sviluppano un certo volume d’affari».
A Napoli sono 226 mila i metri quadrati in concessione. Che gridano vendetta rispetto ad appena 10 mila metri quadrati di spiaggia libera distribuiti in 5-6 arenili pubblici, al netto di scogliere vietate o impervie. Occhio ai canoni: meno di 17 mila euro annui per il Bagno Elena a Posillipo. Non va meno bene al Sirena e all’Ideal che pagano 5175 e 5761 euro.
Salendo verso Marechiaro, con 4319 euro l’anno il monumentale Le Rocce Verdi prende in fitto dallo Stato una piattaforma di legno, autorizzato a prelevare anche 600 metri cubi di acqua marina per alimentare due piscine. Un po’ quello che succede a Villa Imperiale dove su 900 metri quadrati di banco di tufo, pagati allo Stato 3377 euro annui, si erge un complesso turistico mozzafiato, noto non solo per i bagni vicino alla Casa degli Spiriti ma anche per matrimoni da favola.
A Bagnoli tuffi vietati: ma solarium, piscine, vasche idromassagio, palchi per spettacoli, non mancano. Due esempi: il Club Partenopeo e Arenile si aggiudicano il by night rispettivamente con 3601 e 23502 euro anni.
Le cifre derivano da tabelle ministeriali, canoni giudicati “di favore”, validi in tutta Italia e fissati con la finanziaria del 2007 a cui si è aggiunto da quest’anno un aumento del 25 per cento. In realtà quando si provò a imporre incrementi del 300 per cento nel 2004 scattarono le proteste della lobby dei lidi. Che dal 2010 è riuscita a opporsi alle gare pubbliche imposte dalle norme europee.
E così, da 13 anni, si va avanti a colpi di proroghe e fitti stracciati. Con i gestori che però rivendicano gli investimenti fatti sulle aree demaniali: gazebo, palafitte, ristoranti, piscine. Ora magistrati e finanzieri si fanno la stessa domanda di cittadini e comitati: i balneari hanno pagato il dovuto?