Segnaletica fake antianglofona a Maiorca: esplode il reverse tourism, dalle Baleari a Capri?
Prima Overtourism e Bad tourism, ora esplode il “Reverse tourism“: la Spagna per prima ha visto nascere le rivolte “residenti contro turisti”. Da Barcellona la narrazione adesso si è spostata sulle isole Baleari.
È pur vero che un’isola è un territorio che racchiude e preclude, per antonomasia: in essa si sente in modo più marcato il problema demografico, e grazie al territorio delimitato e poco accessibile dall’esterno, mal si sopporta il peso di una popolazione eccessiva rispetto ai propri spazi, tuttavia nulla deve giustificare quanto reso noto da una recente notizia.
A Maiorca, la più grande delle isole Baleari, il turismo rappresenta circa il 75% dell’economia totale, eppure sono comparsi degli strani avvisi stradali, per mano di Manacor Caterva, attivismo locale che si batte contro il turismo di massa.
Con dei falsi segnali, si cerca di indirizzare verso certe spiagge la folla di turisti anglofoni, allontanandoli da altre, ma si tratta di una strategia di tutela o di furbizia?
Lo stratagemma infatti è davvero molto curioso: dei falsi cartelli che mettono in guardia i turisti da pericoli inesistenti come meduse a riva o massi cadenti sulla scogliera, inquinamento da acque reflue piuttosto che da spiagge chiuse o molto lontane da raggiungere a piedi.
Tali indicazioni sono in inglese e sotto, in caratteri molto piu piccoli, una pseudo-traduzione in catalano, che ad esempio nel caso delle meduse, recita così: “spiaggia aperta, vietata alle meduse e agli stranieri“.
Un comunicato stampa del gruppo, condiviso sul Majorca Daily Bulletin, criticando il sovraffollamento turistico di cui soffre Maiorca, afferma che “le calette delle Baleari sono state espropriate dal turismo”, diventato ormai lo strumento capitalistico per prosciugare liberamente la terra ed “estrarre” il massimo plusvalore dai lavoratori isolani.
Come negare però, che ovunque, masse turistiche incontenibili hanno trasformato un settore fonte di ricchezza, in pressione insostenibile per le comunità?
Dalle Baleari alle isole del golfo il passo è breve: il traghetto delle 9,30 fa il suo ingresso nel porto di Capri e l’autista del bus, dal finestrino commenta: “Ecco lo sbarco in Normandia”, un migliaio di turisti alla volta approdano, altri 600 scendono da due aliscafi, e Marina Grande va nel caos già dalla mattina…
È così che facilmente si arriva al paradosso del “Reverse tourism”, con misure per scoraggiare o bloccare i troppi arrivi con numero chiuso, aumento della tassa di soggiorno, falsi cartelli ecc.
Risultando tutto insufficiente, si genera una percezione di appropriazione eccessiva di spazi e servizi pubblici da parte dei turisti, e di contro i visitatori, attirati dai social media con immagini fittizie di mete paradisiache, quando arrivano trovano una realtà fatta di caos e rumore, traffico, code e disagi.
Se non si vuole arrivare alle vergognose strategie spagnole, occorre interrogarsi a fondo sul tema del rispetto del territorio.
Il turismo in sé non è mai stato una risorsa, piuttosto è il territorio a costituire la risorsa primaria generatrice di tutto, ed aimè tuttaltro che inesauribile, con limiti da non superare, affinché il rischio di esaurimento non superi la soglia critica di “rottura”.
Tale limite, non andrebbe inteso come restrizione, piuttosto come vero e proprio sentiero, un percorso capace di dare una nuova direzione all’attività stessa del turismo.
Un percorso improntato ad un tacito patto tra comunità e territorio, un sano e fisiologico patto di sopravvivenza reciproca.
Si sente il bisogno di una nuova generazione che operi per un turismo più sostenibile, con stile partecipato e coinvolgente, capace di narrare, vivere e godere, loro per primi del proprio territorio, e non solo commercializzarlo.
È questa la chiave che innesca un processo turistico innovativo ma neanche tanto inedito, perché affonda le sue radici nella tradizione del nostro turismo “migliore”, quello di cui si sente oggi uno straordinario bisogno.
In questo bisogno la nostalgia non centra affatto, ci troviamo piuttosto su di un delicato crinale, dove ciò che per ora è ancora possibile, rischia di coniugarsi nella categoria della catastrofe ambientale non più reversibile.
Non serve aver paura di mettere in discussione l’attuale modello economico, “af-fondato” sulla onnipotente presunzione del consumo all’infinito, se questo alla fine va ad impattare con una consunzione dell’ecosistema.
La realtà impone un cambio di paradigma del modello di sviluppo del turismo, che a partire dalla tutela dell’ambiente si estenda al campo sociale, più inclusivo e meno marginalizzante di quello stagionale, con un miglioramento della gestione dei flussi ed il potenziamento di tutti i servizi per i residenti.
In sostanza un sano modello di resilienza a difesa dell’inevitabilità della natura di destinazione turistica del nostro territorio.