Il successo? Non è altro che vivere, serenamente, con gli altri: intervista a Giovanni Block

9 settembre 2023 | 10:16
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Piano di Sorrento (NA) Ho incontrato Giovanni Block, cantautore italiano, classe ’84, a Villa Fondi in occasione di “Progetti d’Autore”, rassegna ideata da Franco Maresca, nata nel 2009, in occasione del decennale della morte di Fabrizio De André con lo scopo di coniugare spettacolo e approfondimenti su temi sociali e civili; promuovere la storia della canzone d’autore e dei principali movimenti musicali sulla scena italiana, mettendone in evidenza i progetti artistici, ecco spiegato il titolo “Progetti d’Autore”. Franco, con l’ausilio di Mariella Nica, da quindici anni offre al pubblico sorrentino la possibilità di confrontarsi gratuitamente con i progetti artistici di mostri sacri come Gaber, Battiato, De André, De Gregori, Tenco, Modugno, Paolo Conte e altri, promuovendo nel contempo anche i progetti di tanti giovani artisti campani emergenti. Merito anche di amministratori locali che hanno mostrato in più di un’occasione attenzione e sensibilità, come mercoledì sera il Vicesindaco di Piano di Sorrento Giovanni Iaccarino e il funzionario Giacomo Giuliano. Con Giovanni Block ho scambiato le proverbiali quattro chiacchiere prima del concerto, a dire il vero in un’atmosfera di mestizia. Giovanni era reduce dal funerale di Giovanbattista Cutolo, il musicista 24enne ucciso all’alba del 31 agosto a Napoli. Mi ha colpito una frase che Giovanni ha ripetuto anche durante lo spettacolo: “Il successo? Non è altro che vivere, serenamente, con gli altri”. Una considerazione semplice, schietta, sincera e profonda; lontana anni luce dai falsi miti d’oggi, che viene da chi abita i versi dei poeti, le canzoni e gli insegnamenti di chi ci ha preceduto e ne ha fatto tesoro per crescere come persona e come artista. Mi ha fatto venire in mente la scala di Giacobbe, muratura in pietra sulla parete ovest della Abbazia di Bath, in Inghilterra, in essa vi sono scolpiti angeli che si arrampicano aggrappandosi ai pioli. Messe da parte tutte le spiegazioni teologiche e iconografiche, ho sempre pensato che l’idea di base dello scultore è quella che anche un angelo, per guadagnarsi il suo posto in Paradiso: deve faticare. Anche un angelo è tenuto a impegnarsi con umiltà, deve ascendere a Dio piolo dopo piolo, senza barare: non può dispiegare le sue ali. Gioiò Cutolo era uno di quelli che si stava arrampicando sulla scala della vita, piolo dopo piolo senza barare, con onestà, umiltà e serietà. È questo l’insegnamento che ci viene dal passato che questa società pare aver dimenticato, la vita è faticosa per tutti anche per gli angeli, i successi si guadagnano con il sudore della fronte. Un discorso un po’ retrò, prendo in prestito la parola che da titolo all’album di Giovanni, perché sono convinto che la nostra società ha drammaticamente smesso di guardare agli insegnamenti del passato. Come gli struzzi che ficcano la loro testa nella sabbia, noi abbiamo infilato le nostre teste nei cellulari e da quel momento in poi abbiamo disimparato a pensare. Oggi, infatti,  non ragioniamo condividiamo, non parliamo guardandoci negli occhi chattiamo, e chi non è più abituato a ragionare a misurarsi con il famoso cogito ergo sum cartesiano che è figlio della Cultura quella con la C maiuscola, beh prende un coltello e uccide la donna che dice di amare (la cosa più assurda di tutti i femminicidi la parola amore nella bocca di chi uccide), prende una pistola e spara a un ragazzo, per poi andare a giocare a carte…

Quella che segue è l’intervista che Giovanni Block mi ha gentilmente concesso.

Vorrei cominciare con la domanda più difficile, quando hai saputo della morte di Gioiò che cosa hai provato?

Quello che è accaduto mi ha lasciato senza parole. Mi ripeto: Non ci sono parole. Mi sono confrontato anche con i ragazzi della band, in tutti prevaleva l’angoscia e l’ammutolimento davanti ad un’assurdità che si incarna in fatti concreti.

Ho avuto anche la sensazione, in questi giorni, che il fatto che Gioiò fosse un giovane musicista abbia toccato corde ancora più profonde, non trovi?

Sicuramente la figura del giovane musicista nell’immaginario collettivo è una figura quasi sacra. Il musicista è l’artista che decide di dedicare la propria vita alla delicatezza. Gioiò eseguiva un repertorio classico, era un ragazzo che studiava una letteratura musicale raffinata, era conosciuto e apprezzato nell’ambiente. Era un ragazzo che coltivava il bello. Noi colleghi siamo stati toccati in prima persona dalla sua scomparsa ma tutte le morti di ragazzi innocenti, TUTTE: colpiscono al cuore.

Adesso vorrei provare a parlare con te del progetto musicale che presenti questa sera (6 settembre 2023 N.d.R.) a Villa Fondi, mi racconti di Retrò?

È un disco che cerca di riportare all’attenzione del pubblico le sonorità belle degli anni Sessanta e Settanta. Non sono mai stato un musicista allineato con il pensiero della discografia italiana che cerca sempre sonorità nuove. Penso che abbiamo dei tesori nascosti nella produzione discografica italiana degli ultimi anni e la mia generazione, che è quella dei quarantenni d’oggi, ha il dovere di valorizzare quei tesori, anzi, ti dirò di più il dovere di scrivere seguendo quel modo di pensare la canzone e la musica. Intendo la musica d’autore che veniva arrangiata da Morricone e da Piovani. Questi sono i miei maestri, questa la musica che voglio riproporre anche attraverso la mia arte. Mi va di passare il mio tempo proponendo al pubblico dischi come si facevano una volta. Lavorando in studio per registrare le chitarre come si faceva un tempo: con i microfoni adatti, con i suoni giusti, perché credo ancora nell’importanza delle cose fatte ad arte affidandosi a professionisti di valore. Oggi si coltiva l’idea sbagliata che un disco si possa realizzare a casa, ma non è così. A casa puoi fare la pre-produzione. Ma se vuoi realizzare della buona musica devi confrontarti con altri professionisti. Forse anche la facilità di produzione elettronica sta ammazzando la musica. Anche io uso i suoni elettronici, per carità, ma quando mi occorrono. L’elettronica non può essere la strada maestra per l’elaborazione di un disco. Questa è una scelta dettata dal mercato ma io ai dictat del mercato discografico non mi allineo. Per questo “Retrò”.

Prima mentre aspettavo, ho ascoltato una tua collaborazione con Fabrizio Bosso, ti chiedo del tuo rapporto con il jazz?

Ho grande rispetto dei musicisti jazz. Considera che in Retrò c’è Petra Magoni come ospite e nel disco precedente c’era Carmine Ioanna. Ho rispetto e gratitudine per questi artisti ed è un onore averli nei miei dischi. Ioanna è uno dei più grandi fisarmonicisti al mondo, abbiamo lavorato insieme con Lello Arena ed è stata un’esperienza davvero altamente formativa. Petra Magoni è un’amica ma è anche una professionista che seguo da dodici anni come fan. I jazzisti vivono la musica con un talento in più che è quello della competenza armonica che non tutti possono vantare. Ammiro e imparo dai jazzisti. Sono un fan di Bill Evans, Pat Metheny e Paolo Fresu, il mio rapporto con il jazz è di grande devozione.

Ti ricordo con Alessio Arena, che fra l’altro ho conosciuto proprio qui a Villa Fondi grazie a Franco Maresca. Alessio trovo che sia anche un magnifico scrittore, colgo l’occasione per chiedere  il tuo di rapporto con la letteratura?

Mi piace molto la narrativa di Alessio oltre che la sua musica. Sono un amante della poesia. Mi piace la letteratura in versi, per esempio in” Retrò” c’è un brano dedicato a Cesare Pavese, una citazione alla sua “I gatti lo sapranno”, opera che fu pubblicata postuma. Quando ne ho la possibilità amo immergermi nella lettura dei grandi poeti ho molto da imparare da tutti loro.

Confrontandomi con altri musicisti è spesso venuto fuori che “Bach” è il genio per eccellenza della musica da cui tutto nasce, sei d’accordo?

Bach è sicuramente un genio ma sono d’accordo a metà con i miei colleghi. In realtà grandissimi sono anche Alessandro e Domenico Scarlatti, che dal punto di vista delle composizioni non hanno nulla da invidiare a Bach. Ascolto Bach ma ancor di più amo ascoltare Scarlatti. A casa ascolto spesso le interpretazioni di Ivo Pogorelić dell’opera di Scarlatti. Pogorelić, che è certamente un bacchiano, trovo che si esalti di più quando suona Domenico Scarlatti. Vorrei che i ragazzi ascoltassero di più Cimarosa e Bellini, mi piacerebbe che i ragazzini italiani crescessero imparando ad avere come icone Scarlatti, Cimarosa e Bellini non solo la triade Bach, Beethoven e Mozart.

Quando ho incontrato Bosso mi diceva che nello strumento a fiato il musicista soffia l’anima, Salvatore Accardo che il violino era parte del suo corpo, che rapporto hai invece tu con lo strumento musicale che suoni?

Sono flautista e chitarrista, anche se quest’ultima l’ho studiata da autodidatta. Mi sono laureato in composizione con Lucio Maria Lo Gatto, che non c’è più, al quale ho voluto con piacere dedicare “Retrò”: un grande Maestro Lucio. Per questo il mio rapporto con lo strumento musicale è diverso da quello dei musicisti che hai citato. Quando armonizzo qualcosa già immagino tutto quello che andranno a fare gli altri musicisti. Se suono il flauto, ho in mente la “verticalità”, ciò che dovrà accadere sotto quella melodia. Il mio rapporto con lo strumento musicale è più mentale. Gli strumentisti hanno un rapporto unico con il proprio strumento, io che ho scelto la canzone invece negli anni ho imparato a pensare, a mentalizzare tutti gli strumenti che andranno a comporla, dagli archi ai fiati alle percussioni. Infine l’anima non la soffio nel flauto, la metto nei testi: l’anima mia è in quello che ho da dire.

Grazie

a cura di Luigi De Rosa

Generico settembre 2023 Giovanni Block a Villa Fondi, foto di Annamaria Vinaccia

Generico settembre 2023 Il direttore artistico di Progetti d’Autore, Franco Maresca, il Vicesindaco Giovanni Iaccarino e Mariella Nica, foto di Annamaria Vinaccia.