La Tenuta dei Melograni di Vincenza D’Esculapio: un romanzo prezioso
L’intellettuale napoletana Vincenza D’Esculapio, nome importante della cultura italiana contemporanea, è tornata prepotentemente alla ribalta del panorama letterario nazionale col suo terzo romanzo, sempre con la casa editrice Homo Scrivens, dopo “La Torre D’Avorio” (2016) e “L’ultimo sposatore” (2019): si tratta del capolavoro “La Tenuta dei Melograni” (2022). Docente in pensione di Storia e Filosofia, autrice di Antologie di Italiano, Epica e Letteratura, ideatrice di trasmissioni televisive per ragazzi, conduttrice del laboratorio di scrittura ” Pensieri e Parole ” presso il centro Culturale Agape e animatrice per Homo Scrivens di una rassegna letteraria mensile di poesia e prosa, presso la Mondadori Point di Napoli Rione Alto, Enza firma con quest’opera un romanzo storico di raro pregio, meritevole di capillare diffusione tra gli amanti della cultura e le nuove generazioni. L’opera è frutto di un accurato e certosino lavoro di ricerca documentale che apporta una ricostruzione profonda e autentica di luoghi, fatti, atmosfere. Il libro rappresenta idealmente il “prequel” del romanzo precedente dell’autrice, “L’ultimo Sposatore”, in cui si parla di una neonata abbandonata alla Real Casa dell’Annunziata di Napoli nel 1890. Queste ragazze quando arrivavano in età da marito venivano esposte in un rito pubblico ai possibili “sposatori”, che sceglievano la propria sposa recandola via con sé dalla casa comune. “La tenuta dei melograni” racconta la storia della famiglia di origine di quella giovane di origine siciliana. Il romanzo ha un’architettura complessa, con salti d’epoca che spaziano nell’arco di due secoli. La storia inizia dalla fine, nel 1956, con Brigida al termine della sua vita, e torna a ritroso nel 1827, quando nasce sua madre Ginevra. L’impronta del romanzo è la mescolanza tra micro-e macro-storia: le appassionate vicende umane dei personaggi nati dalla fervida fantasia dell’autrice si incuneano sullo sfondo della grande Storia, di cui diventano testimonianza attiva, consentendo il racconto “dal vivo” di eventi storici come le epidemie di colera che funestarono l’Italia nel 1800, le trasformazioni socio-politiche che portarono alla ribellione del Sud alla dominazione borbonica, l’Unità d’Italia, le due Guerre Mondiali, fino all’immagine finale della nevicata del 1956. Protagonista assoluta, la Sicilia, con le sue impagabili bellezze naturali e la sua storia gremita di cultura. La scrittrice esalta la Regione con tratti descrittivi di suggestiva intensità, dipingendola, come nelle parole della poetessa Giuseppina Turrisi, quale “l’isola dell’eterna primavera”. Enza ci fa viaggiare nel fascino dell’Ottocento a Palermo, dove immagina l’elegante Villa Ginevra, a Modica, dove situa l’imponente Tenuta dei melograni, a Catania, per poi arrivare a Napoli con la Real Casa dell’Annunziata, dove c’era la famosa Ruota cui venivano affidati i neonati nella speranza di offrir loro un destino migliore. In questi scenari da sogno, si dipana una storia tormentata, di speranza e dolore, emblema dei drammi dell’uomo nella sua esistenza terrena. Il melograno diventa così metafora della vita umana, così aspro e così dolce al tempo stesso. Nell’arco del racconto, accanto ai personaggi di sua creazione, l’autrice dà vita a figure realmente esistite, come le giornaliste e scrittrici Rosina Muzio Salvo e Cristina Trivulzio di Belgiojoso, le poetesse Giuseppina Turrisi Colonna e Mariannina Coffa, soprannominata la Capinera di Noto, la principessa Graziella Grimaldi, la Principessa di Butera. Le grandi protagoniste del romanzo sono tutte donne: la saga familiare abbraccia quattro generazioni di donne siciliane, da Teresa a Ginevra a Brigida a Tecla, a confronto nel tempo. La narrazione è strutturata in due atti, il primo ha per protagonista Ginevra, il secondo Brigida, la figlia. Ma protagoniste sono anche “le zie”, Clara ed Erminia, che hanno rinunciato ad avere una vita propria per dedicarsi ai nipoti, e rappresentano la memoria storica di tutte le vicende che si dipanano nella famiglia. Anche altre piccole storie di donne, di ogni estrazione sociale, completano l’affresco corale di identità femminili: donne umili e semplici come Santa, Rosalia, Mariannina, Agatina, sono dipinte con tratti ricchi di umanità, dignità e valore. Le donne emergono da questo romanzo come concrete, coraggiose, caparbie, eroiche nella loro lotta quotidiana, profondamente empatiche e solidali tra loro, pronte al sacrificio di sé in nome dei valori in cui credono. Anche alcuni uomini lo sono: il padre di Ginevra, ex ufficiale borbonico, e il marito, il conte Ruggero di Chiaramonte, padre di Brigida, nonostante il maschilismo imperante all’epoca, appaiono sensibili e aperti alle idee liberali che nell’Ottocento agitavano l’umanità nella direzione di un nuovo sentire. Il duca Rinaldo D’Acquaviva, suocero di Brigida e potente massone, all’opposto, simboleggia la cieca prepotenza di chi, arroccato nella ostinata negazione del progresso e della ragione, è bieco avversario di tutti gli ideali di rinnovamento, ingabbiato in una visione della vita angusta e reazionaria. Anche il figlio, Manfredi, sposo di Brigida, si sposta verso la modernità ma non ha il coraggio di vestirsi da “uomo nuovo”, preferendo condannarsi alla rinuncia di se stesso. Tanti i temi portanti di questo significativo romanzo. Innanzitutto, l’amore, celebrato in tante declinazioni. L’amore sublime e incondizionato per un figlio, quello protettivo e rassicurante della famiglia, quello di un uomo per la sua donna che può essere tenero ma anche malato. Poi, l’emancipazione femminile. Il romanzo sugella la lunga lotta, fatta di piccoli passi e clamorose battute di arresto, delle donne per i loro diritti: di scegliere la propria vita, studiare, lavorare, esprimere le proprie idee, incidere sulla storia sociale, politica e culturale della propria terra. Come quando nel 1848 in Sicilia nobildonne, poetesse e intellettuali fondarono il movimento culturale della “Legione delle Pie sorelle”, che ebbe l’intuizione di formare e aggregare anche donne dei ceti sociali meno abbienti. Un altro tema è l’importanza dei ricordi (testimoniati dai diari di Ginevra, divenuti “sacri” per la figlia), elemento imprescindibile per la costruzione della propria identità individuale e sociale. Colonna sonora dell’intero romanzo è un’antica nenia siciliana, che viene cantata a tutti i neonati che incontriamo nel complesso racconto. Ma il vero suono dell’opera è l’armonia assoluta delle descrizioni. Rapisce la nostalgia dei tempi antichi, conquista il fascino della nobiltà e dell’aristocrazia, incanta la ricostruzione perfetta delle atmosfere dell’epoca, coinvolgono le vivide descrizioni di ambienti e scenari meravigliosi, pregnanti di arte e storia. Il linguaggio della narrazione è di straordinaria eleganza, la scelta delle parole colta e forbita, lo scorrere delle pagine fluido e impeccabile. La storia narrata è resa appassionante dalla potente abilità narrativa della scrittrice, che, districandosi in un racconto a più voci, riesce a coinvolgere con introspezioni psicologiche profonde, sorprendere con colpi di scena arditi, misteri e intrecci inusuali, tragedie immani e capacità di riscatto e resilienza, commuovere con parole che colpiscono il cuore con la forza della verità che travalica i confini del tempo.
Carlo Alfaro