Medici in fuga dagli ambulatori e dagli ospedali in Campania. L’ospedale Unico come avrebbe fatto?

23 ottobre 2023 | 11:19
Share0
Medici in fuga dagli ambulatori e dagli ospedali in Campania. L’ospedale Unico come avrebbe fatto?

Cinquantaduemila campani al palo, rimasti senza medico di famiglia. Per essere più precisi 52mila che non potranno scegliere autonomamente da chi essere curati ma saranno obbligati a un’assegnazione predefinita. Solo quest’anno sono andati in quiescenza per limiti anagrafici 350 camici bianchi (non sostituiti). E poi gli ospedali, come il Cardarelli, che tutt’ora deve vedersela con otto reparti senza primario.

Chi se ne va perché stanco, chi lascia perché obbligato dall’età, chi opta per attività meno impegnative. E chi teme la medicina difensiva o di essere picchiato in corsia come in ambulanza. Certo è che anche la Campania dei camici bianchi, tra fughe e pensionamenti, non sta messa bene. E stanno ancora peggio le migliaia di pazienti sempre più penalizzati dalle carenze, strutturali (ospedali e ambulatori) e di personale (organici insufficienti).

I medici di famiglia, cuore pulsante dell’assistenza territoriale, è il settore che al momento è riuscito a tappare le falle. «Tenendo botta», rivela il presidente della Fmmg (Federazione medici di Medicina generale), Silvestro Scotti, «grazie all’aumento del rapporto “ottimale” (nuovo calcolo del numero di medici da inserire in base alla popolazione, ndr)». «Di fatto significa contare su un medico ogni 1300 abitanti. In Campania c’erano 400 zone carenti: 520mila cittadini che non avevano diritto di scelta di un nuovo medico. Adesso, dopo l’ultima assegnazione, di aree scoperte ne sono rimaste circa 40, ma dal calcolo mancano quelli che andranno in pensione quest’anno». Quanti? Per lo meno 400/450 unità, secondo i dati dell’Enpam in base all’età dei suoi iscritti. «Ancora una volta, alle famigerate attuali 40 zone “scoperte” corrispondono 52mila assistiti – sottolinea Scotti – persone che al momento sono state assorbite dal rapporto tra massimale (1.500 assistiti per medico) e ottimale (1.300). Vuol dire che la scelta del cittadino va a farsi benedire, costretto a tenersi il medico assegnato di ufficio».

Soluzioni? «Una norma nazionale consente di immettere in servizio medici di famiglia prima che abbiano terminato la formazione triennale. E così, almeno in parte si riuscirebbe a colmare i vuoti. Ma il peggio è in agguato: oltre ai pensionamenti di rigore, andrebbe calcolato il numero di quelli che lasceranno la nostra regione: per il burn-out oppure perché l’autonomia regionale offrirà loro occasioni d’oro per emigrare. «Per esempio – conclude Scotti – a Venezia danno incentivi notevoli a chi accetta l’incarico: più soldi in busta paga, la casa e il parcheggio a piazzale Roma. E così in tanti saranno giustamente allettati, andandosene altrove. Una trasferta di cinque giorni a settimana nella regione che promette e dà di più».

Lo scenario ospedaliero, se possibile, è ancora più nebuloso.

Il Cardarelli è la prima Azienda ospedaliera, non solo per la Campania ma di gran parte del sud. Qui, il “buco” è pari a 257 medici. Va male: a fronte dello standard del fabbisogno che è di 1.068 dirigenti medici ce ne sono solo 805. Nell’ultimo anno, dice il manager Antonio D’Amore, ne sono stati assunti 156, ma sono compresi negli 805: se non li avessi arruolati dovevamo dichiarare forfait. D’altronde, ci siamo dovuti attenere ai parametri del ministero della Salute: le cifre utilizzabili per il personale sono ancora quelle del 2004, meno l’1,4 per cento. Cosa vuol dire? Che in questo modo il vuoto di organico non potrà mai essere colmato del tutto, se il governo nazionale non toglie il blocco. Tutto ciò si ripercuote sulle liste d’attesa, perché quando mancano oltre 200 medici all’appello ambulatori e prestazioni non possono essere soddisfatti al 100 per cento. Tant’è che si parla di erogare un surplus economico ai medici, ma senza incrementarne il numero». Nel frattempo sono stati banditi otto concorsi per altrettanti posti di primario: entro pochi mesi lasceranno i direttori di Ematologia, Patologia clinica, Pneumologia interventistica, Otorino, Chirurgia vascolare. «All’ultimo concorso per coprire i ruoli vacanti in pronto soccorso si è presentato un solo candidato, adesso ne ho indetto un altro, scade il 10 novembre: 10 posti, ma se si presentano in 20 li prenderò tutti e 20, questo è sicuro».

E infine l’emergenza territoriale, cioè il 118. Di sirene se ne sentono molte di meno a Napoli, da quando l’organico medico dalle originarie 165 unità è calato a 30. Il dottor Massimo Lagnese si è appena dimesso.

Perché? Stanchezza, esasperazione, assenza di prospettive. Di carriera e, anche, economiche. «Ho lavorato nel settore per 25 anni filati. Poi ho detto basta, così non posso andare avanti». Una vita passata in ambulanza, correndo da un angolo all’altro della città per fare diagnosi, curare, trattare le urgenze sul posto o trasportare i pazienti in ospedale. Ma le ragioni di una così drastica decisione che comporta anche tanti interrogativi, non sono solo quelle della voglia di cambiamento, piuttosto delle mutate condizioni di lavoro. «Negli ultimi anni le cose sono precipitate. È diminuito il numero degli automezzi con medico a bordo – racconta Lagnese – oggi sono solo 5, mentre dieci anni fa erano 13 (più del doppio). L’organico previsto, quando è nato il 118, cioè nel ’98, era di 165 unità, adesso sono più o meno 30, un quinto e con un età media superiore ai 60 anni. E in più, è aumentato del 5 per cento la quota di interventi richiesti». Ma c’è un ultimo punto su cui insiste il medico che adesso milita nella Medicina di base, riguarda la tipologia di interventi. Chiarisce: «Quelli che necessitano della presenza del medico sono tali non tanto per la patologia quanto per l’esigenza di un decisore responsabile, per problematiche di natura certificativa o autoritativa. E paradossalmente sono diminuiti del 10 per cento gli interventi delle ambulanze medicalizzate, proprio perché vengono utilizzate solo in quei casi in cui non si può fare a meno della presenza del medico. Il 118 sta diventando un servizio trasporto infermi. Entro tre anni, tra pensionamenti e malattie, non so chi possa salire sulle ambulanze col ruolo di medico, tranne che non ci si affidi ai convenzionamenti esterni».