La violenza di genere non è un film visto in tv. Incontro-dibattito a Sorrento
E’ invece, purtroppo, vita vera, dolore vissuto, atrocità reale. Questo il senso dell’incontro-dibattito che terremo al Teatro Sant’Antonino di Sorrento, presso la Cattedrale, dalle ore 10.00 del giorno giovedi 23 novembre, con gli studenti delle Scuole secondarie di secondo grado della Penisola sorrentina, a cura della Commissione Pari Opportunità del Comune di Sorrento, presieduta da Carla Agrillo, col saluto del nostro sindaco avvocato Massimo Coppola e di Don Carmine Giudici, parroco della Cattedrale di Sorrento, e l’organizzazione e moderazione dell’avv. Michele Gargiulo, componente Commissione Pari Opportunità Comune di Sorrento. Interverranno a discutere del femminicidio: Nicola Donadio, dirigente del Commissariato della Polizia di Stato di Sorrento; Gabriella Ambrosino, magistrato presso il Tribunale di Torre Annunziata; Giorgis De Gennaro, avvocato del Foro di Torre Annunziata; Marisa De Martino, psicologa e psicoterapeuta, già direttrice UOC di Psicologia integrata della donna e del bambino aslnapoli3sud e componente Commissione deontologia e Comitato pari opportunità & cura delle relazioni Ordine degli Psicologi Campania; Carlo Alfaro, pediatra e adolescentologo. Sarà presente il Camper antiviolenza del Centro Anti-violenza Penisola Sorrentina dell’Azienda Speciale Consortile per i Servizi allo Persona. Evento centrale dell’incontro sarà la storia di Janira D’amato, uccisa a soli 21 anni con 49 coltellate dal fidanzato, Alessio Alamia Burastero, 23enne, nell’aprile 2017 a Pietra Ligure, in provincia di Savona. Janira D’Amaro era una ragazza bella, vitale, piena di sogni, aspettative e speranze. Dopo aver studiato all’Istituto alberghiero, stava seguendo un corso di formazione dell’Accademia di Costa Crociere ad Arenzano; il suo sogno era lavorare come pasticciera sulle navi da crociera, viaggiare, conoscere il mondo. Alessio era un ragazzo dal carattere chiuso, ostinato, difficile. All’inizio la loro sembrava una normale storia d’amore, ma pian piano i comportamenti del partner cominciarono a creare alla donna crescente disagio: una gelosia morbosa, un controllo ossessivo, una possessività che puntava all’isolamento e all’esclusività, la mancanza di rispetto, di apprezzamento, di empatia. I classici segnali di una relazione tossica, di un amore malato. Janira era sempre comprensiva e consenziente, ma quando lui le impose di lasciare il corso che stava seguendo, fu, per la prima volta, inamovibile. Ciò le permise di mettere in discussione la relazione, e realizzò con chiarezza che doveva lasciarlo, che il loro era un rapporto non sano, una relazione chiusa e sbilanciata, dove era lui che dettava le regole e decideva per lei. Con il tempo l’aveva isolata, facendole terra bruciata attorno. Alessio Alamia cercava il controllo assoluto su Janira, la limitava in tutto con la sua gelosia morbosa che era solo il suo modo mascherato di esercitare potere. Sottoposta a uno stress costante, si sentiva non supportata, incompresa, mortificata. Racconta Kevin, il fratello della vittima: “I miei genitori lo hanno sempre trattato come un figlio, veniva spesso a cenare a casa come una persona di famiglia, fino a quando abbiamo capito che questo rapporto non era sano e che lui si comportava male con lei, la limitava in tutto, era geloso dei suoi successi e non voleva che prendesse il volo. Una volta, durante una lite, lui le aveva rotto volontariamente lo schermo del cellulare. Janira lo giustificava sempre, lei aveva un animo gentile e provava in qualche modo di cambiarlo e vedere in lui la parte buona”. Il corpo senza vita di Janira D’Amato fu ritrovato la notte del 7 aprile del 2017 nell’abitazione di Alessio in Via Crispi. Ventiquattro ore dopo, l’omicida si presentò ai carabinieri, confessando il brutale delitto. Nei giorni che avevano preceduto il delitto il giovane aveva telefonato centinaia di volte alla ragazza, furioso all’idea di essere lasciato, di perderne il controllo. Alla fine, l’aveva convinta a raggiungerlo a casa sua per restituirle degli oggetti personali. Quando Janira gli ha confermato che era finita, lui l’ha minacciata di suicidarsi puntandosi il coltello al cuore se avesse persistito nel proposito di lasciarlo: poi ha usato quella lama tremenda per colpire lei, accanendosi sul suo corpo con violenza furiosa, fermandosi solo alla rottura della punta dell’arma, per la ferocia cieca dei colpi sferrati. “È arrivata a casa mia verso le 18,25 e da lì abbiamo iniziato a litigare per la nostra relazione. Lei mi ha dato l’anello. Poi è successo il fatto” ha raccontato Alessio durante il processo, aggiungendo: “Quante volte l’ho colpita non lo so. Potevo vedere e sentire, ma non controllare il mio corpo. Mi sono svegliato quando ho sentito il ‘tac’ del coltello, quando si è spezzata la punta. Ero in un lago di sangue e la chiamavo, allora ho capito che non c’era niente da fare”. In realtà, aveva premeditato da tempo l’omicidio. Tra le sue ricerche sullo smartphone “uccidere persone” e “come uccidere una persona senza lasciare traccia”. E’ stato condannato in via definitiva all’ergastolo dalla Corte di Cassazione nel maggio del 2021. Il massimo della pena quello deciso dai giudici, per l’efferatezza dell’omicidio e l’aggravante della premeditazione, che ha precluso all’assassino le attenuanti generiche. Assisteremo al processo assieme al pubblico di studenti, docenti, cittadini, e nel dibattito proveremo a gridare, in coro: “smettetela di spegnere le stelle, o vivremo di tenebre”.
Carlo Alfaro