Gentrificazione centri storici e turistici: dopo l’accordo tra Airbnb e Fisco per 576milioni di euro, si attende per i numerosi emendamenti alla manovra di bilancio 2024, su affitti brevi, bonus, mutuo prima casa.
Si è concluso l’accordo tra l’Agenzia delle Entrate ed il colosso degli affitti brevi Airbnb, sui redditi degli host non professionali derivanti da locazioni brevi dal 2017 al 2021, per un pagamento complessivo di 576milioni, di cui 174 per sanzioni e 49 per interessi, che la società avrebbe dovuto applicare con ritenuta del 21%.
Ha rinunciato anche a recuperarla dagli host, presumibilmente perché essendo l’Italia un popolo di proprietari, con il 70,8% che possiede la casa in cui vive, ed il 28,0% anche una seconda, rappresenta in Europa un mercato molto redditizio che la società non intende inimicarsi.
L’host “tipo” italiano infatti, è costituito prevalentemente da persone comuni, che cercano di integrare il proprio reddito familiare ricorrendo alla pratica dell’affitto breve, che nell’ultimo decennio ha trasformato radicalmente tutti i nostri centri.
All’aumento massiccio di stanze occupate da turisti nei centri storici, corrisponde però in periferia, quello degli appartamenti vuoti, che non si affittano per paura di morosità e di difficoltà di rientrare in possesso del proprio immobile.
Nella Manovra 2024 tuttavia, ancora una volta non si prevede nulla al riguardo, nonostante le decine di emendamenti presentati: dalla cedolare secca ai mutui.
Per la cedolare secca, si precisa che l’aliquota ridotta al 21% si applica ai redditi relativi solo alla prima unità immobiliare locata, mentre per le altre l’aliquota sale al 26%; un altro emendamento prevede invece l’accesso al fondo per l’acquisto prima casa, per le famiglie numerose aventi Isee non superiore a 50mila euro, se in una fascia con più figli.
Eppure ci sono ancora più di 7milioni di case sfitte e vuote, pari a circa il 23% degli immobili totali.
La paura dei proprietari di darla in affitto ad un inquilino moroso, è il primo motivo per tenerla vuota, nonostante spesso ci sia la necessità di ricavarne un reddito, avendo quasi sempre acquistato una casa più grande con un mutuo da pagare proprio con l’affitto di quella più piccola.
La legge attuale però non li tutela affatto: la procedura di sfratto è lunga e costosa, è necessario affidarsi ad un avvocato, con costi notevoli e spese condominiali che vanno ad aggiungersi ad imu ed altre tasse onerose.
La procedura dura circa 2 anni, ed una volta emessa la sentenza, non c’è liberazione automatica, ma l’ufficiale giudiziario deve intervenire più volte, fino all’esecuzione forzata.
E Non è finita qui!
Quasi sempre è necessario affrontare anche altre spese, per i danni che certi “tipi” di inquilini, arrecano all’immobile.
Eppure basterebbe adeguare le leggi sulla procedura di sfratto, rendendola più veloce ed economica, e garantendo i proprietari dai cosiddetti “morosi seriali“.
Per contrastare questo tipo di inquilini, come suggerito da alcuni esperti del settore, basterebbe istituire un “attestato di solvibilità abitativa”, una sorta di certificato del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, dal quale risultino eventuali sfratti o morosità che la persona ha avuto negli anni.
Al contempo politiche sociali mirate potrebbero supportare quei cittadini che non riescono a pagare l’affitto quando, per motivi di salute, di lavoro o per separazione dal coniuge, nonché per il caro prezzi non riescono più a far fronte a tali obblighi.