Solstizio d’inverno, il vero capodanno celebrato con il poeta Gianni Menichetti
Il giorno 21 dicembre è il giorno del solstizio d’inverno, Sol-stitium significa “il sole si ferma“, vale a dire quando la terra arriva a uno dei limiti dell’ellissi della sua rotazione. Per tale motivo la notte sarà più lunga e quindi il giorno più breve. Se vivessimo secondo i ritmi naturali avremmo la piena consapevolezza di cosa questo rappresenti. La sensazione della fine, una prospettiva di buio e freddo. Gianni Menichetti che da anni ha deciso di vivere in solitudine nel Vallone Porto di Positano coglie più di altri questa sensazione di “notte eterna”, che noi, che non viviamo più circondati dalla natura, non siamo più in grado di cogliere. Dal solstizio in poi il “potere” del sole, rappresentato dalla sua luce, ricomincerà a crescere. Anche questa sensazione magnifica di rinascita non siamo più in grado di cogliere. Non tutti sanno inoltre che la data del giorno di Natale fu fissata al 25 dicembre da Papa Giulio I proprio per ragioni legate al solstizio, come antica festa pagana del sole. Si trattava probabilmente di sostituire le tradizioni del passato con le celebrazioni cristiane. Nel mondo germanico il solstizio d’inverno corrisponde a Yule, mentre nella tradizione druidica si parla di Alban Arthan, la festa della Luce di Re Artù. Gli antichi Saturnalii poi affondavano le proprie radici in tradizioni religiose che si perdono nella notte dei tempi e che richiamavano proprio la rinascita del sole e il ritorno della luce come fonte di energia e simbolo di potere. Eppure queste emozioni ancestrali se colte di nuovo sarebbero una boccata d’ossigeno fondamentale per tutti noi, anche e soprattutto per la nostra salute. La digitalizzazione per certi versi ci ha resi meno umani, alieni alla Natura, che invece la pandemia di questi anni ci ha insegnato a non trascurare, facendoci drammaticamente riscoprire tutta la nostra fragilità. Alzare la testa dai cellulari osservare il Sole e il cielo è un esercizio fondamentale per riportarci con i piedi per terra, riprendere quel feeling che avevano i nostri avi e che noi abbiamo perduto con il nostro pianeta, che ci ospita insieme a miliardi di altri esseri viventi che hanno il nostro stesso diritto ad un’esistenza dignitosa. Con Gianni insieme a Claudio d’Esposito, presidente del Wwf Terre del Tirreno, ogni anno abbiamo ripreso quest’abitudine di celebrare il Sol-stitium. Ricordiamo con Gianni anche l’insegnamento impartitogli da uno dei Maestri che in gioventù ebbe modo di conoscere Chögyal Namkhai Norbu (1938 – 2018), accademico tibetano e Rinpoche, Docente dell’Università Orientale di Napoli: “La realizzazione non è la conoscenza dell’universo, ma l’esperienza vivente della natura dell’universo. Fino a quando non abbiamo una tale esperienza di vita, rimaniamo dipendenti dagli esempi “che ci impone la nostra società alienante” e soggetti ai loro limiti.// Quando scopriamo i nostri limiti, dobbiamo provare a superarli. Slegandoci da qualsiasi tipo di convinzione religiosa, politica o sociale ci possa contenere. Dobbiamo abbandonare concetti come, l’illuminazione, la natura della mente, e così via. Fino a quando non trascuriamo più di integrare la nostra conoscenza con la nostra effettiva esistenza. La verità è che una società migliore nascerà solo attraverso l’evoluzione dell’individuo. Questo perché la società è composta da milioni di individui. Per contare fino a un milione uno deve iniziare con il numero uno. Il che significa che bisogna iniziare dall’individuo. L’unico vero posto in cui si può davvero iniziare a cambiare qualcosa. Questo non significa mettersi al primo posto in modo egoista, ma piuttosto implica l’arrivo a comprendere la condizione dell’umanità intera, attraverso la comprensione della propria esperienza. Con questa esperienza come guida, ora ci comportiamo con consapevolezza in qualsiasi circostanza, in ogni tipo di società*.
*Estratti selezionati dall’insegnamento impartito da Chogyal Namkhai Norbu dal titolo: Lo specchio: Consigli sulla presenza e la consapevolezza.
A cura di Luigi De Rosa