Discriminazione e odio. L’Arcidiocesi di Napoli fa il punto della situazione.
Si è tenuto il 15 c.m., presso l’Arciconfraternita dei Pellegrini, il primo dei cinque incontri organizzati dal CDAL di Napoli in cui si è discusso delle varie forme di discriminazione a cui oggi, purtroppo, siamo ancora assoggettati e di quanto la coscienza collettiva, ne funga da contenitore inconsapevole e spesso deresponsabilizzata. Altre volte, invece, l’essere umano appare attore cosciente e agente di odio, agevolato soprattutto per il tramite del nascondimento adoperato dietro ai social.
Ai saluti e ringraziamenti iniziali della dottoressa Maria Pia Mauro Condurro, delegata Arcivescovile settore Laicato, si aggiungono i complimenti di tutta la platea per la sua prestigiosa nomina.
Ad aprire il dibattito, l’intervento del Dott. Ciambriello, docente di teorie e tecniche della comunicazione e garante regionale per le persone private della libertà che, oltre a raccontare delle discriminazioni del sistema carcerario, ci consente di riflettere su quanto sia facile parlare di questi aspetti fin tanto che restiamo dietro le nostre scrivanie e di quanto invece ci sarebbe da fare sulle strade della nostra città; di quanto la gioventù oggi abbia perso di vista (e anche noi adulti in realtà ndr) la cura dell’altro, inteso come diverso dal sé e di quanto sia diventato “virale” invece filmare i reati commessi e trasmetterli sui social. Tenere conto di questo aspetto è necessario quando affrontiamo l’analisi dei fenomeni attuali, non solo per spiegare ciò che sta accadendo, ma soprattutto per avere ben presente dove dobbiamo insistere quando parliamo di comunicazione ed educazione; perché è fondamentale interrogarci sul “come” gestire i discorsi di odio e non parlare solamente di misericordia e carità ma agire, ripete Ciambriello, “soprattutto in mezzo alla gente, in strada, per prevenire tali fenomeni”. “È innegabile l’ostilità a cui assistiamo verso determinate categorie di persone: che siano poveri, stranieri, tossicodipendenti, detenuti… tutte categorizzazioni che non ci permettono di fare discorsi di inclusione. La tanto chiacchierata inclusione di cui oggi tutti parlano è in realtà un’utopia perché se ci soffermiamo su ciò che accade nelle nostre strade possiamo notare che la tendenza è sempre più quella di categorizzare e discriminare il disagio, ricomprendendolo in un chiaro e netto “altro ad di fuori da me”. –“siamo sopraffatti dagli istinti e viviamo in un mondo dove regna sovrana la legge del” tutto e sùbito”, mentre dovremmo soffermarci a riflette su quanto valore aggiunto potremmo avere se vivessimo rispettando i diritti di tutti, perché credo fortemente che i diritti generino diritti”.
E mentre il dott. -Ciambriello parlava, mi tornava alla mente un accadimento tanto ridicolo quanto pericoloso che mi è accaduto tanti anni fa in un noto Centro Analisi della così nobile penisola Sorrentina… che mi ha fatto ancora una volta essere fiera della strada che ho intrapreso. In breve, per non tediare nessuno o distrarlo dalle riflessioni sulle discriminazioni ( ma vi prometto che c’entra!), vi racconto quanto accaduto: immaginate una giovane quasi-assistente-sociale venuta da poco a Sorrento da un piccolo paese dell’Abruzzo che con la sua ricetta medica si reca bellina bellina in un centro analisi per i controlli di routine ai quali, per questioni di salute, ero assoggettata ogni mese. Il signore, dietro al front-office, quando si vide tra le mani una ricetta di una USL sconosciuta, mi invita gentilmente a riflettere sul pagamento della quota regionale e di altre spese a cui avrei dovuto far fronte, non essendo indigena. Il mal capitato non poteva immaginare che ero testarda e, dopo molte disquisizioni sul come si fa e come non si fa, sulle circolari Asl e sulle leggi nazionali del Ministero della Salute per le quali io insistevo che non avrei dovuto pagare niente, perché avevo l’esenzione e lui che invece insisteva sul contrario, mi fa: signurì sapit com si dice a Napoli?….. Io lo guardo con fare interrogativo… e lui prosegue… “Attacc o ciucc addo vuo’ o padron!” Io avevo ben compreso l’espressione dialettica (imparata ai quartieri spagnoli) ma non avevo ben capito la collocazione dialogica da dare a cotanta conoscenza. Per cui chiesi spiegazioni, scusandomi di non essere del posto. Lui mi fece capire che aveva avuto, in pratica, queste direttive, dalle quali non poteva prescindere, pur comprendendo che ci fosse una legge nazionale a cui far riferimento. Ovviamente io mi affrettai a far valere i miei diritti, specificando bene che, essendo io “non residente” la spesa sanitaria sarebbe stata rimborsata per intero dalla mia Regione! Beh per non portarvela per le lunghe andò a finire che il poveretto fu costretto a chiamare il direttore del centro che si guardò bene dal darmi torto. Me ne uscii da lì comunque amareggiata, perché il Dottore (e direttore) del centro tanto fece e tanto sfece che mi fece passare la cosa, quasi quasi come un piacere che mi veniva fatto, con la sua (errata) aspettativa di rivedermi il mese successivo e quelli seguenti. Morale della favola: non andai più in quel posto. E vi giuro che ancora oggi se sento dire “attacc o ciucc addo vuò o padron” “mi sale la freva!!!” (non so scrivere ,e si vede, il bellissimo e difficilissimo dialetto napoletano.. mi perdonerete) e ringrazio il dott. Ciambriello per avermi dato la possibilità di sottolineare che a mio avviso ha proprio ragione, quando dice che i diritti generano diritti ma che è fondamentale conoscerli, ed è per questo che le istituzioni tutte, compresa la famiglia, devono fornire informazioni chiare e precise a garanzia degli stessi.
A tal proposito è bene tornare agli interventi dei docenti incaricati magnificamente per l’occasione. La dottoressa Morlicchio, per esempio, docente di sociologia della diseguaglianza alla Federico II, ci ha parlato dell’Assegno di Inclusione (ADI). “È difficile comprendere come una misura di contrasto alla povertà, dalla quale ci aspettiamo un intervento istituzionale garantista dei diritti di tutti” ribadisce la Morlicchio, “rischi di diventare una vera e propria discriminazione istituzionale”. (Rieccoci!!).” Stiamo giocando al gioco dell’oca dove il cittadino che fa richiesta per ottenere l’assegno di inclusione fa due passi avanti e due indietro, con il rischio, tangibile, di tornare alla casella iniziale”, riferisce la Morlicchio.
A me è subito balzato alle orecchie che, oltre ad una serie di iscrizioni su varie piattaforme e presentazioni di documenti da tenere sempre aggiornati, dichiarazioni varie etc si debba poi attendere l’esito dell’istruttoria. E qua casca l’asino, l’oca o meglio il richiedente! Il problema è che non ci è dato sapere facilmente, dopo quanto tempo, dall’iscrizione sulla piattaforma, l’ente previdenziale dovrà chiudere la pratica, nessuna legge di conversione o circolare Inps lo specifica in modo chiaro. Inoltre, nell’eventuale caso di esito positivo e attivazione del Patto di attivazione digitale, anche in questo caso non ci è dato sapere con esattezza entro quanto tempo il cittadino richiedente verrà convocato, soprattutto perché ad oggi la piattaforma non ha caricato ancora i nominativi. Questa situazione, nella quale non si capisce molto bene la linea da seguire, potrebbe determinare in brevissimo tempo una situazione cd “scarica barile” tra i vari enti coinvolti. Insomma un quadro ancora troppo cavilloso e ambiguo che poco ha a che fare con i principi di affidabilità e trasparenza di cui sentiamo per il momento solo parlare.
Conclude i lavori Don Gennaro Matino, Pro vicario Generale Arcidiocesi di Napoli che ci fa il punto della situazione della chiesa di Napoli e di tutte le istituzioni, compresa la famiglia, intesa come responsabilità genitoriale verso le nuove generazioni. “Oggi” dice Don Gennaro, “l’assunto di base è: Me ne frego!, ciò a dimostrazione della incapacità che si ha nell’assumersi le responsabilità del ruolo che si ricopre, con il fine unico di rendere la vita più comoda. L’odiatore, spiega Don Matino, “nasce dall’ignoranza, l’odio crea discriminazione e la discriminazione esclude. Anche il nemico comune è funzionale ai discorsi di odio, perché bisogna trovare qualcuno da eliminare, e, come è sempre stato, se c’è qualcuno da eliminare si forma il gruppo. A tutti ii livelli”.
Come la Chiesa contrata questo fenomeno di odio? “La chiesa deve essere il luogo più esaltante dove promuovere l’accoglienza”. “La discriminazione nasce tutte le volte che la volgarità vince sulla gentilezza”, ribadisce il Vicario, “intesa come struttura di qualità d’animo e capacità di interloquire con le diversità. Solo chi pratica la non violenza avrà la possibilità di dare un futuro alla terra. Ma la Chiesa di Napoli oggi sta provando a mettere insieme le persone anche diverse tra loro. Per creare un dialogo costruttivo. Ci siamo chiesti cosa possiamo fare Noi come Chiesa, per essere più pronti e non essere discriminanti, e lo stiamo facendo. Non a caso sono state nominate donne a Delegate arcivescovili e fino a ieri era impossibile che un laico e addirittura una donna fosse eletta a figura di responsabilità e di governo. Anche il Direttore della Caritas è una donna. Come Diocesi, sappiamo che c’è tanta strada da fare, ma la chiesa di Napoli è partita già in modo concreto.
Assistente Sociale Dott.ssa Marianna Di Candido