“Free Capiton Day”, ovvero la liberazione del capitone!
Positano (SA) Il Capitone è il classico pesce della tradizione culinaria partenopea che non manca mai al cenone di Natale. Si mangia per allontanare la cattiva sorte esorcizzando l’antico serpente simbolo del male. Per il Cristianesimo, infatti, è il serpente tentatore – Anguillidae (dal latino anguilla, anguis, serpente), che sedusse Eva nell’Eden e che tentò in seguito la Vergine Maria che riparò all’errore di Eva, schiacciandogli la testa sotto ai suoi piedi – Capitone (dal latino caput, testa). Proprio in virtù del legame cristiano, si capisce perché il Capitone deve essere ammazzato e cucinato dalle donne a memoria della disubbidienza di Eva, mangiato la sera del 24 dicembre giorno della nascita di Gesù Cristo, poiché esorcizza il trionfo del bene sul male. Nei culti pagani, e in questo ci aiutano gli affreschi pompeiani e quelli presenti nella Villa Romana di Positano, il tema iconografico dei serpenti è presente nel larario domestico, vale a dire l’edicola sacra che ospitava le divinità protettrici della famiglia; il serpente è riconosciuto come Genio del luogo, entità benefica in riferimento ad un passo dell’Eneide: Enea intento a sacrificare suo padre, resta folgorato dall’apparizione di un serpente che compie sette cerchi intorno al sepolcro (Aen. 5, 95-96). Messi da parte i miei ricordi legati al catechismo e agli studi liceali, va da sé che questa povera anguilla è solo un animale, e permettete la battuta, non il diavolo ma un povero diavolo!, che di finire nelle nostre padelle farebbe volentieri a meno come polli, manzi etc. (Vi consiglio, se siete sensibili all’argomento il saggio – Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? – scritto da Jonathan Safran Foer (Guanda). Detto questo: Capitone o Anguilla? La differenza sostanziale tra il Capitone e l’Anguilla è solo questione di sesso: entrambi appartengono alla stessa specie della famiglia Anguillidae, pesce teleosteo caratterizzato da ossa e da un corpo cilindrico a forma di serpente, dove per Anguilla si indica il maschio della specie detto “ceca” di dimensioni ridotte mentre per Capitone si intende la femmina della stessa varietà che può mutare di lunghezza e superare il metro e mezzo. Questo pesce dalle origini misteriose può sopravvivere sia in acque dolci che in acque salmastre restando nel luogo prescelto fino a oltre i 50 anni ed è capace di resistere fuori dall’acqua circa 48 ore. Il WWF ci ricorda che “l’anguilla corre un rischio di estinzione enorme. È, infatti, sempre più difficile incontrarne esemplari nei fiumi europei.” A Positano, per questo motivo con l’arrivo del nuovo anno da circa un decennio i volontari del WWF Terre del Tirreno, in modo simbolico liberano in alcune vasche presenti accanto alla Pagoda nel Canyon Vallone Porto alcune anguille sopravvissute alla mattanza delle feste. Il sito naturalistico (area SIC IT8050051) non è scelto a caso per due motivi, il primo è che nel salernitano sono presenti le anguille, tant’è che spesso, in passato, pescatori di frodo sono stati sorpresi dai militari del Nucleo Carabinieri Cites e della Stazione di San Cipriano Picentino, nei pressi della foce del Fiume Picentino, al confine tra i Comuni di Salerno e Pontecagnano Faiano a pescare anguille europee (Anguilla anguilla), specie a rischio di estinzione, il cui commercio è tutelato dalla Convenzione Cites, catturate con la cosiddetta “tecnica della mazzacchera” (un bastone cui vengono legati, attraverso un filo, un ammasso di lombrichi utilizzati come esca e un piombo come zavorra). Il secondo motivo è scientifico e se volete sentimentale, nel Vallone Porto, ha detta di molti residenti, fino a trent’anni fa era possibile imbattersi in piccole anguille, inoltre sono ancora presenti le vasche di Octo Bauer, erpetologo svizzero, che negli anni ’30 vi condusse le sue ricerche sul sangue degli anfibi, prima che lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo costringesse ad abbandonare studi e luogo. La batracologia è una branca della zoologia che si occupa di studiare la classe degli anfibi, in particolare Bauer era interessato all’apparato circolatorio di questi animali. Il cuore degli anfibi è a tre tempi, prima il sangue arterioso ossigenato viene sospinto nell’aorta direttamente all’encefalo, il secondo battito spinge nell’aorta sangue misto che va agli organi, il terzo contenente sangue “sporco” va verso la pelle e gli eventuali polmoni o branchie esterne. Dunque la circolazione sanguigna è doppia, perché il sangue passa due volte per il cuore durante un ciclo completo, e incompleta, perché nell’unico ventricolo del cuore il sangue venoso (ricco di anidride carbonica / deossigenato) proveniente dai tessuti del corpo si mescola con quello arterioso (ricco di ossigeno / ossigenato) che arriva dagli organi respiratori. Un’altra caratteristica molto importante sono le loro sorprendenti capacità rigenerative. Se a causa di un predatore perdono una zampa, ad esempio, sono capaci di riformare le parti mancanti ripristinando totalmente tutte le funzioni sensoriali. Questa capacità è raramente condivisa da altri vertebrati e la nostra specie non fa purtroppo eccezione. Quando le persone perdono parti del loro corpo a causa di malattie o lesioni traumatiche, spesso sentono di aver perso una parte di ciò che sono. Il loro senso di perdita personale è giustificato perché, a differenza delle salamandre, i tessuti umani adulti generalmente non si rigenerano: la perdita degli arti è irreversibile. O, almeno, per il momento. In un futuro prossimo potremo essere infatti in grado di farlo grazie come sempre all’osservazione della natura. Tenevo a darvi tutte queste informazioni perché sono queste nozioni che permettono a tutti noi di comprendere quanto gli animali che noi spesso mangiamo o ammazziamo per crudeltà sono in realtà fonte di informazione irrinunciabile per la nostra stessa salute e sopravvivenza, oltre all’assunto non secondario, come ci ricorda Gianni Menichetti, il “custode” da più di cinquant’anni del Vallone Porto, della Pagoda e delle vasche di Bauer, che essi hanno il sacrosanto diritto di vivere liberi su questo pianeta.
a cura di Luigi De Rosa
Nella foto Gianni Menichetti con Claudio d’Esposito, dono d’inizio anno per il “custode” del Vallone Porto: “L’anello di Re Salomone” di Konrad Lorenz (Adelphi)
Gli anfibi del Vallone Porto che sopravvivono nelle vasche di Bauer (Ph. Marco Gargiulo)