“Le case nella pietra: paesaggio e antropizzazione ad Ischia”: un racconto suggestivo tra architetture rurali ed esoterismo.
Il prossimo è un weekend da segnare per i cultori di storia e curiosità: Venerdi 19 gennaio alle ore 17:30, nella Sala Consiliare del Comune di Barano, paese sulle pendici dell’isola d’Ischia, si svolgerà la conferenza “Le case nella pietra: paesaggio e antropizzazione ad Ischia”.
Si tratta di una peculiare tipologia abitativa di “case”, scavate nei massi tufacei, che rappresentano una preziosa testimonianza di sapienza tecnica delle comunità contadine locali.
Il tema collega l’architettura spontanea locale, ai condizionamenti dei fattori storico-culturali ed economici che, uniti ai fattori ambientali, determinano questo particolare paesaggio culturale di “case di pietra”.
Oltre al Sindaco del Comune di Barano d’Ischia Dionigi Gaudioso, dell’Assessore alla Cultura Daniela Di Costanzo e della Presidente AiParc C.T. Isola d’Ischia Caterina Mazzella, interverranno la Dott.ssa Mariangela Catuogno della Commissione Archeologia dell’AiParc C.T. dell’Isola d’Ischia e l’Architetto Vania Ferrandino, referente Pida (Premio Internazionale Ischia Di Architettura).
Le numerose testimonianze dell’antica architettura rupestre tufacea sull’isola, sono presenti lungo il versante occidentale del Monte Epomeo, il vulcano spento di Ischia, concentrate soprattutto nel Bosco della Falanga, in mezzo alla folta macchia mediterranea.
Un esempio “ante litteram” di architettura funzionale, dovuto all’esigenza di dover trascorrere diversi periodi dell’anno fuori dalle proprie abitazioni per dedicarsi alla manutenzione dei vitigni che dalla costa si estendevano fin oltre i 500metri sul livello del mare. Dal XIV e XV secolo, si protrasse per secoli, fin’anche ai primi anni ’60, quando la superficie coltivata a vitigno era superiore ai 2000 ettari.
I contadini locali adattavano i mega blocchi di tufo verde in ricoveri temporanei, cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e per i “palmenti”, usati per la spremitura dell’uva.
Anche le cosiddette “fosse della neve” sono un esempio di architettura funzionale: grandi buche circolari che i “nevaiuoli” di Serrara Fontana, il paese sulla cima più alta dell’isola, scavavano per conservare la grandine e disporre di ghiaccio in estate. La pietra di tufo verde impermeabilizzava le pareti del fosso, e per copertura, una struttura di tronchi e foglie di castagno.
Lo scrittore Giuseppe Orioli nell’autobiografia “Avventure di un libraio”, dedica un intero capitolo all’isola d’Ischia, proprio alle case di pietra della Falanga: “Da Buceto, con un lungo tragitto, si può salire fino alla cima dell’Epomeo, indi scendere per un sentiero scosceso sull’altro versante in un bosco ombroso chiamato Falanga, che può essere una parte dell’antico cratere dell’Epomeo. Il Falanga è cosparso di enormi blocchi di tufo pallido che hanno stranissime forme e fanno pensare a una necropoli di giganti.“
Questo brano offre uno spunto di riflessione anche sulla valenza magico-simbolica della pietra nella cultura contadina, di cui esistono numerose tracce nel mondo. Dalle pietre di Stonehenge, in Inghilterra, fin proprio alla vetta del Monte Epomeo, ad Ischia che, secondo i seguaci della “Teoria della Terra Cava“, sarebbe uno dei punti di ingresso per la millenaria “civiltà sotterranea di Agharti“.
In questo “altro” mondo, l’accesso sotterraneo è spesso stato indicato in Europa proprio sul Monte Epomeo oltre che all’isola Bisentina nel Lago di Bolsena, c’è poi chi lo pone in Asia Centrale, nel territorio che va dal deserto del Gobi alle montagne del Tibet e del Nepal, altri al Polo.
Secondo alcuni studiosi esoterici, Dante Alighieri sarebbe addirittura entrato colà, da cui la sua opera. L’idea di trovare Agharta interessò anche Hitler, per la convinzione che una “razza superiore” in quel mondo di sotto, si fosse mantenuta pura e dotata dell’energia vril, una sorta di forza cosmica che pervaderebbe l’universo.
Una traccia di questa fascinazione forse è presente nelle due chiese rupestri di Santa Maria al Monte e di San Nicola, ubicate rispettivamente ai piedi ed in cima al bosco della Falanga, ma anche nelle grotte di eremiti rinvenute sul costone prospiciente la Baia di Citara a Forio, sulla cui parete esterna è presente anche l’incisione “DUCE”.