Luigi Di Bianco. A proposito della Bontà

29 gennaio 2024 | 22:24
Luigi Di Bianco. A proposito della Bontà

La bontà si manifesta quando si fa del bene, quando si è buoni e altruisti.

Il precetto cristiano “Ama il tuo prossimo come te stesso” riassume in poche parole il fondamento della bontà e, credo, dello stesso cristianesimo.

Pensandoci bene questo singolo precetto rende superflui tutti gli altri come quello di non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la roba d’altri.

Purtroppo per tanti cristiani, questo precetto è posto in secondo piano, se non proprio dimenticato, rispetto alle ritualità che i fedeli della Chiesa cattolica sono tenuti a rispettare come partecipare alla Messa la domenica e alle altre feste comandate, confessare i propri peccati, comunicarsi almeno a Pasqua.

Assolti questi obblighi il cristiano comune si sente in pace con la propria coscienza, si autodefinisce “persona buona e giusta” e si aspetta di essere premiato con il Paradiso nell’aldilà. Ma quando ci si concentra sulle regole, sulla forma e sui riti, si perde la giusta relazione personale con Dio e con la spiritualità. Tuttalpiù si crea un buona relazione personale con il parroco. Dove è andato a finire l’amore per il prossimo?

Per rinsaldare la morale e l’etica cristiana la Chiesa ricorre poi al concetto di “peccato” e relativa punizione. Nella vita dell’aldilà tutti saremo retribuiti per il comportamento avuto durante questa vita: se hai rispettato i precetti e non hai commesso peccati mortali vai in Paradiso, altrimenti soffrirai le pene dell’Inferno per l’eternità. I fedeli sono quindi portati a comportarsi bene per paura dell’Inferno e per la speranza del Paradiso. Ma è vera bontà, amore sincero e spontaneo per gli altri quello che si esprime solo per un baratto con Dio, un “do ut des”, un dare per avere?

Purtroppo il risultato della morale cristiana, a parte rare eccezioni, non è l’amore disinteressato e spontaneo del prossimo bensì l’ipocrisia, il perbenismo, il conformismo a tutti i livelli, da quello politico, dove un ministro della Repubblica si presenta in TV con il rosario in mano e poi fa di tutto per rendere impossibile la vita a dei poveracci che tentano di fuggire dalle guerre e dalla povertà, fin giù al livello della gente comune, i buoni fedeli che, dopo la Messa, non disdegnano di parlar male del vicino di casa, di odiare e augurare tutto il male possibile a chi ha fatto loro uno sgarbo. Anche la compassione cristiana ostentata come sincero interesse per i guai del prossimo molto spesso nasconde un’intima soddisfazione per le sventure altrui.

Credo insomma che la vera bontà sia ostacolata da qualsiasi credo religioso: il cristianesimo, come tutte le religioni monoteistiche, nell’attuale momento storico, non è in grado di indicare la via all’amore sincero, disinteressato per il prossimo e per tutti gli esseri viventi.

Il problema è che il cristianesimo come tutte le religioni insegna che Dio è trascendente, risiede cioè oltre la Natura, è “altro” rispetto all’Uomo e alle cose della Natura. In questo modo si è sedimentato il sentimento di separatezza tra Dio e Uomo, tra Uomo e Natura, tra Uomo e Uomo. La realtà unica, l’universo (“unus”, uno, “versus”, avvolto), è scomposta in un’infinità di cose distinte, separate, esistenti autonomamente, molto spesso in conflitto fra loro.

Tralasciamo per il momento i guai prodotti dal concetto di separazione tra Dio-Uomo e consideriamo le conseguenze disastrose della pretesa separazione dell’Uomo dalla Natura. E’ innanzitutto evidente la crudeltà dell’uomo verso gli animali, esseri viventi che soffrono ed hanno emozioni proprio come noi. La convinzione che gli animali siano “altro” e che valgano meno dell’uomo ci porta a trattarli come se fossero oggetti inanimati da sfruttare, maltrattare, ammazzare.

Lo sfruttamento esasperato delle risorse naturali in nome di un illusorio “progresso” ha portato all’inquinamento del terreno, dei corsi d’acqua, del mare e dell’atmosfera. L’eccessiva concentrazione nell’atmosfera di anidride carbonica generata dalla combustione dei combustibili fossili nei prossimi decenni metterà in discussione la sopravvivenza stessa del genere umano. La nostra pretesa di essere ‘altro’ dalla natura e quindi di poterla usare a nostro piacimento ha compromesso il suo precario equilibrio e ci costringe a vivere in un ambiente che non è salubre né per il corpo né per la mente.

La realtà frantumata si riflette negativamente anche nella società umana con la divisione in razze, nazioni, gruppi politici, economici, religiosi, ecc. La frammentazione in questo campo ha dato il peggio di sé nel corso dei millenni: guerre senza senso, persecuzioni assurde in nome di Dio, pulizie etniche, odio razzista, terrorismo. Ancora oggi vediamo guerre assurde con giovani soldati che si ammazzano a vicenda in Ucraina per gli interessi abietti dei loro leader politici e popolazioni civili con donne e bambini bombardate giorno e notte in Palestina.

Anche i rapporti interpersonali sono inquinati. La sopraffazione, l’antagonismo, la violenza fisica e verbale, l’odio reciproco, l’invidia, la gelosia nascono spontanei se ‘l’altro’ è visto come qualcosa di diverso, concorrenziale, ostile, da sopraffare e sottomettere. Così, non è per caso che questa visione del mondo porta alla formazione di infiniti, caotici conflitti senza senso che investono la società, la politica, l’economia e la stessa vita individuale.

Eppure l’uomo, lungo la sua storia, ha sempre aspirato all’unione, all’armonia come una necessità profonda del suo essere. Nel Bhagavad Gita, il “Canto del Beato“, testo sacro dell’induismo composto nella forma attuale 300 anni circa prima della nascita di Cristo, viene auspicato il risanamento delle fratture fra tutti gli esseri viventi. “Egli [il Beato] vede se stesso nel cuore di tutti gli esseri viventi e vede tutti gli esseri nel suo cuore”.

Anche Confucio, cinque secoli prima di Cristo, scriveva: “Il sapiente ha detto: la mia dottrina è semplice, e il suo significato è facile da penetrare. Essa consiste nell’amare il prossimo come se stessi”.

Purtroppo, guardandoci intorno è facile rendersi conto che questi grandi maestri spirituali hanno fallito nel loro insegnamento. Mai come oggi la divisione fra uomini, fra uomo e natura e fra uomo e Dio è stata così rovinosamente evidente.

Eppure i tempi sono maturi per una etica ed una morale diversa, più adeguata alle conoscenze dell’Uomo moderno che si è lasciato alla spalle i miti, le superstizioni e le paure dei nostri antenati. Oggi la meccanica quantistica, in particolare il principio di non-località, ci insegna che, ad un livello fondamentale, non c’è alcuna separazione: tutto è un continuo interconnesso. La Teoria della Relatività spiega che le particelle elementari di cui siamo fatti noi umani, gli animali, gli alberi, le montagne e le stelle hanno tutte origine dalla singolarità del Big Bang.

Risulta allora ragionevole pensare ad una metafisica diversa: quella della “Totalità Indivisa” e “dell’Amore Cosmico“.

Tutto è uno: Dio, la natura, l’uomo … ogni cosa è indissolubilmente legata a ogni altra: ognuno di noi è tutt’uno con gli altri uomini della Terra, è un tutt’uno con gli animali e con la Natura e, soprattutto, ognuno di noi è un tutt’uno con Dio. La realtà, l’universo, non è un assemblaggio più o meno riuscito di parti distinte e separate come i componenti meccanici di una autovettura. La scienza, e in particolare la meccanica quantistica, ci mostra che la realtà dell’universo assomiglia ad un organismo vivente come il corpo umano dove ogni parte è intimamente connessa con tutto il resto. Se un sasso mi cade sul dito del piede è tutto il mio corpo che ne risente. Allo stesso modo il dolore di un singolo individuo si riverbera su tutti.

Se “Tutto è Uno” io m’immedesimo in lui, il suo dolore è il mio dolore, la sua gioia è la mia gioia, il mio ego si sgonfia e la frattura con gli altri è saldata. Non c’è nessun precetto che mi comanda, nessun premio da riscuotere nell’aldilà, l’amore nasce spontaneo.

Per coloro che abbracciano l’Amore Cosmico e la metafisica della Totalità Indivisa non c’è probabilmente nessuna emozione così ricca e bella, così totalmente piacevole, come il senso mistico che esso elargisce. E’ come ricorrere alla poesia e alla musica, per crearci uno stato d’animo scevro dalla paura, una visione unitaria e scientificamente adeguata dell’universo, un atteggiamento attivo e amorevole verso la vita, i nostri simili, gli animali e la Natura.

Questa metafisica, o per dirla con Einstein (1), questa religiosità cosmica, è di grande soddisfazione estetica e spirituale, non ha alcuna pretesa di verità, né tanto meno ha bisogno della fede. Pertanto non può dare alcun “conforto religioso” come la speranza nella vita eterna dopo la morte o la protezione del Padre amorevole nella vita di ogni giorno. Non è pertanto di nessuno aiuto per chi vive nella necessità diuturna del conforto religioso.

Luigi Di Bianco
ldibianco45@gmail.com

(1) “La mia religiosità nasce dallo stupore di fronte alla vita, al mondo; dall’ammirazione estasiata della bellezza incredibile del cosmo e delle sue leggi naturali. Sapere che esiste qualcosa di impenetrabile, conoscere le manifestazione dell’intelletto più profondo e della bellezza più luminosa che sono accessibili alla nostra ragione solo nelle forme più primitive, questa conoscenza e questo sentimento, ecco la vera devozione: in questo senso, e soltanto in questo senso, io sono fra gli uomini più profondamente religiosi. Mi basta sentire il mistero dell’eternità della vita, avere la coscienza e l’intuizione di ciò che è, lottare attivamente per afferrare una particella, anche piccolissima, dell’intelligenza che si manifesta nella natura. Io chiamo questa religiosità “religiosità cosmica”. (A. Einstein, Come io vedo il mondo)