Fiction tv “La lunga notte”: un racconto storico tra curiose scivolate e inesattezze.

1 febbraio 2024 | 17:10
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Fiction tv “La lunga notte”: un racconto storico tra curiose scivolate e inesattezze.

La fiction non è il vangelo, non sempre rappresenta un documento e,  quindi, la finzione spesso si sovrappone alla verità. Questo accade quando il racconto ha esigenze scenografiche che mettono in secondo piano i fatti storici.  E “La lunga notte” prodotta da Luca Barbareschi e che ha visto tra gli interpreti principali Alessio Boni nei panni di Dino Grandi con l’abile regia di Giacomo Campiotti, non fa eccezioni. Infatti, la storia della lunga notte di Benito Mussolini e del Gran Consiglio che porta alla disgregazione del regime fascista in Italia nel 1943 raccontata in TV in tre puntate  per esigenze di copione non è scevra da scivolate, inesattezze e qualche svarione evitabilissimo con un pizzico di attenzione in più. Innanzi tutto è curioso il fatto che molti gerarchi si rivolgano a Dino Grandi utilizzando il “lei”, sostituito dal “voi” nella vita reale dallo stesso regime fascista. Ancora più grave è poi quando lo stesso Dino Grandi, gerarca fascista e presidente della camera, da del “tu” al re Vittorio Emanuele III e, dopo, preoccupato per la piega che sta prendendo la guerra, si rivolge allo stesso sovrano chiamandolo “Altezza” invece di “Maestà”. Inoltre, chiamare “Altezza” uno che era alto appena un metro e 53 centimetri. D’altronde è risaputo che lo stesso sovrano dei Savoia aveva voluto la riduzione della grandezza della sciabola d’ordinanza, in seguito diventata per tutti gli italiani la “sciaboletta”, ed aveva imposto che per essere arruolati nell’esercito i soldati non dovevano essere più bassi del re capo delle forze armate. Il titolo di “Altezza” era invece esatto per chiamare l’erede al trono dei Savoia, il principe Umberto che nella fiction appare con una foltissima chioma non riscontrabile nella realtà, anzi. In ultimo vale poi la pena mettere in evidenza che lo “sciupafemmine” Benito Mussolini esprime il desiderio di fucilare tutti i suoi generale colpevoli di non essere battuti con ardore e di essersi arresi facilmente durante lo sbarco in Sicilia degli alleati, senza però tener conto che sarebbe stato praticamente impossibile arrestarli sul campo di battaglia ormai conquistato dagli angloamericani.