Con L’Imperatrice di Giuseppe De Chiara il teatro si fa libro
Il panorama letterario italiano si arricchisce di una nuova perla: è stato finalmente pubblicato da Graus, nella categoria “Specchi di Narciso”, il capolavoro del napoletano Giuseppe De Chiara, considerato da alcuni un genio della drammaturgia contemporanea. Il libro ha un titolo complesso: “III Arcano Maggiore. L’IMPERATRICE. La lagrimosa historia di Virginio e Camilla ai tempi della Regina Giovanna”. Si tratta della riproduzione letteraria della sceneggiatura teatrale già portata in scena in tutta Italia dal creativo e performer partenopeo da oltre dieci anni, con la formula del “teatro musicale”. Il testo è un omaggio a Napoli, la sua storia, la sua cultura, la sua lingua, i suoi miti e leggende, in quanto, come dichiara l’autore stesso, per lui Napoli rappresenta il proprio “stato mentale”. Laureato in Lettere con tesi su Raffaele Viviani, docente, scrittore, attore, cantante, regista e film-maker, De Chiara, con questa ambiziosa opera costituita da una pluralità di trame e di possibili livelli di lettura, ci trascina con freschezza, cultura, emozione e divertimento nel cuore della Napoli angioina. Navigando attraverso lo spazio e il tempo siamo proiettati alla corte della regina Giovanna II d’Angiò Durazzo, allorquando, priva d’ogni esperienza di governo, salì sul trono di Napoli, nel 1414, all’età di 41 anni, causa la morte improvvisa del fratello Ladislao I. Vedova del primo marito, il duca Guglielmo d’Austria, fu costretta a sposare per obblighi di corte Giacomo II di Borbone, presuntuoso e invadente, ma donò il suo cuore ai “favoriti”, avidi e ambiziosi personaggi di corte, come Pandolfello Piscopo, detto Alopo per la calvizie, fatto uccidere dal re Giacomo, e successivamente il prepotente Sergianni Caracciolo. Il libro celebra e sublima in chiave surreale il racconto delle leggende popolari nate intorno alla figura della regina, che la vogliono dissoluta mangiatrice di uomini poi dati spietatamente in pasto al coccodrillo albergato nelle acque prospicienti Palazzo Donn’Anna, o dedita all’amore carnale col suo adorato cavallo. La storia della regina si intreccia con la seconda trama del testo, la disperata e incompiuta storia d’amore tra Camilla e Virginio, con l’uccisione di quest’ultimo da parte dei tre fratelli di Camilla, in quanto reo di averla disonorata. Sullo sfondo, la peste che devastava Napoli, che si collega al culto delle anime “pezzentelle”, ossia le anime del Purgatorio: anime di sfortunati morti di peste senza nome, che le donne del popolo veneravano occupandosi dei loro teschi raccolti negli ossari, curandoli e lustrandoli affinché, con le loro preghiere, potesse velocizzarsi il transito verso il Paradiso. Chiedendo in cambio, alle povere anime, per le nubili, la grazia di trovare marito e per le maritate, la prosperità domestica. Il testo di De Chiara, in prosa e versi, è talmente originale e insolito da trovare difficile definizione: dramma storico, pamphlet erotico, romanzo epico, saggio comico/satirico. E molto altro. Un racconto colto, graffiante, dissacrante, barocco, al contempo commovente e comico. L’ispirazione del lavoro è plurima, radicandosi nella storia, nell’antropologia, nell’umanesimo e nell’esoterismo. L’idea dell’opera nacque in De Chiara, come lui stesso ha raccontato, da una sorta di “fulminazione” che ebbe leggendo, nel 1995, un testo suggestivo, “I Tarocchi”, di Oswald Wirth, esoterista francese dell’Ottocento. Un’opera che lo colpì al punto che pensò fin da allora di dover portare in scena i Tarocchi, in quanto capaci di tradurre in immagini concetti filosofici, spirituali, storici e culturali: “Ma non sapevo come fare, fino a quando non sono riuscito a trovare la chiave di volta che mi ha permesso di giungere alla scrittura del testo”. La “chiave” era trasfigurare le icone delle carte in personaggi e storie: “Mi accorsi che gli Arcani Maggiori dei Tarocchi sono in realtà degli archetipi che agiscono dentro di noi, e che sono già presenti, in forma occulta, nelle fiabe, nelle leggende, nelle storie tramandate di generazione in generazione, che traducono in senso narrativo il significato esoterico di un determinato Arcano. Gli Arcani Maggiori dei Tarocchi sono in realtà dei Simboli che si trovano in tutte le culture antiche e moderne. Dunque, per portare gli Arcani Maggiori a teatro non dovevo fare altro che trasformare ciascuno di essi in un archetipo narrativo che ne avesse esplicato i significati esoterici”. Ritiene, dunque, di non aver inventato nulla, ma solo attinto al sapere storico universale: “Le trame, le fiabe, leggende e le storie che sono nel testo non sono state da me inventate, ma solo individuate con un lungo lavoro di ricerca, ripescando le tracce degli arcani in tutta la favolistica napoletana e mondiale, nonché nel patrimonio delle leggende e dei miti”. L’originalità assoluta dell’opera consiste dunque nell’aver riadattato in forma drammaturgica le storie antiche man mano ritrovate. “L’Imperatrice dei Tarocchi”, continua De Chiara, “è il terzo arcano maggiore, rappresenta la dea madre della Terra. Per me, non poteva che incarnarsi nella regina Giovanna II d’Angiò- Durazzo, la lussuriosa regina di Napoli del XV secolo, che ho voluto raccontare sia nella forma storica che in quella leggendaria. Nella forma storica ho rappresentato una sovrana che, già matura, sale sul trono più tremolante d’Europa, per l’inattesa morte del fratello Ladislao, re di Napoli, in un periodo storico che vede lo Scisma d’Occidente. La regina è costretta a sposare un francese, Giacomo di Borbone, conte de la Marche, che avrebbe dovuto essere il principe consorte e l’uomo di paglia ma che si rivela poi essere uomo astuto e violento, strumento nelle mani del re di Francia che, divenendo sovrano assoluto, rimuove i nobili napoletani dai loro posti di potere e li sostituisce con nobili francesi. È questa la goccia che farà esplodere la rivolta e farà sì che il re prenda poi la sua fuga verso la Francia. Ma c’è poi anche un’altra regina Giovanna, quella del mito, della leggenda metropolitana, affezionata al coccodrillo che teneva sotto la botola del suo castello, arrivato dal fiume Nilo attaccato alla prua di un gozzo e nutrito del sangue dei suoi amanti di una notte, e impazzita di passione per lo stallone con cui trovò riparo nel castagno dei cento cavalli, enorme albero dal tronco cavo di più di trenta metri di diametro chiamato così perché si dice che in essi vi entrassero ben cento tra cavalli e cavalieri: quelli che nella leggenda al seguito della regina si ripararono lì per sfuggire ad un violento temporale estivo che li aveva colti di sorpresa”. Un passaggio fondamentale del percorso creativo dell’opera è stato l’incontro di De Chiara col compositore Stefano Busiello, che ha saputo individuare, creando musiche originali appositamente per i versi dell’autore, la chiave musicale per la realizzazione del progetto drammaturgico. Altro incontro determinante, quello con la coreografa Floriana Cafiero, stella dell’Arena di Verona, che ha studiato per la trasposizione teatrale del testo efficaci movimenti scenici e coreutici.
Carlo Alfaro