L’assistente sociale che promuove il cambiamento di MDC
Oggi ho partecipato ad un incontro molto interessante e, mentre raccontavo la mia esperienza e ascoltavo, ascoltavo tutti gli altri interventi in testa mi balenava un pensiero ricorrente ed è per questo motivo che ho deciso di scrivere della funzione di advocacy del servizio sociale e di quanto sia necessario riflettere sul ruolo degli assistenti sociali nel disegnare un nuovo welfare che superi la presa in carico del singolo per lavorare, insieme a tutti gli atri attori del territorio, anche sui contesti, su tutti gli spazi attorno a noi, cosicché le condizioni di partenza non siano un destino che non si può cambiare.
Ricordo che anni fa lessi un articolo molto interessante su come, all’accademia di Carrara di Bergamo, le opere d’arte erano diventate una cura per le persone affette da Alzheimer e per i loro familiari e di come, in Emilia Romagna, i pediatri prescrivevano ai bambini lo “sciroppo di teatro” , un voucher che dava accesso agli spettacoli a pochi euro, per permettere ai bambini e alle loro famiglie di trascorrere del tempo di qualità insieme.
Queste esperienze di welfare sono state riportate poi in un convegno dal titolo “welfare e cultura” organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali, dal Consiglio Regionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia e dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali.
Ricordo che leggendo di queste esperienze, per un attimo ho immaginato quanto, introdurre nel nostro lavoro di assistenti sociali altri linguaggi altri strumenti, debba essere indispensabile per ripensare con più consapevolezza e con un approccio più ampio la cornice della nostra professione e quel ruolo politico richiesto dal nostro codice deontologico.
Pensare che i diritti sociali delle persone siano relativi alle risorse esistenti o alle sensibilità di un singolo, significa non parlare di diritti, ma essere un’assistente sociale è garanzia della “cura dei diritti”. Il nostro ruolo politico ci dà la possibilità di costruire altre narrazioni altre organizzazioni altri servizi che nel nostro territorio sono funzionali ad una progettazione sociale di co-ordinamento e di co-operazione che miri al benessere e apra la mente al cambiamento.
Mi piace pensare che, ogni tanto, leggere di altre esperienze territoriali, aprirci a nuovi scenari, ci ricordi quanto il nostro ruolo sia intriso di passione determinazione e possibilità perché in fondo sappiamo di essere la leva di innovazione sociale che rende possibile ciò che non c’è e che crea strumenti di inclusione ad alto impatto.
Non abbandoniamo mai l’idea che bisogna intervenire anche sui contesti, oltre che sul singolo, affinché si creino le condizioni di cambiamento necessarie per rimuovere gli ostacoli, quei muri alti e insormontabili che limitano le libertà e che impediscono lo sviluppo della persona.
“Siamo potenzialmente tutti fragili e un contesto povero indebolisce chi ha poche risorse”- G.Ghezzi.
Marianna Di Candido Assistente Sociale