Ospedale di Sorrento rianimazione ancora vergognosamente chiusa, ma il colpo di grazia per la Campania dall’Autonomia differenziata

4 aprile 2024 | 15:13
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Ospedale di Sorrento rianimazione ancora vergognosamente chiusa, ma il colpo di grazia per la Campania dall’Autonomia differenziata

Ospedale di Sorrento rianimazione ancora vergognosamente chiusa, ma il colpo di grazia per la Campania dall’Autonomia  differenziata. Non è bastato neanche l’articolo boutade del primo d’aprile dove provocatoriamente avevamo scritto che la rianimazione era aperta ed i medici ed infermieri avevano alloggio dall’ASL di Napoli e parcheggio gratuito dagli albergatori ed accorrevano al nostro nosocomio.

Purtroppo la realtà è che , nonostante i tanti annunci, la rianimazione a Sorrento è ancora chiusa e quello che è grave è che medici ed infermieri sono sempre in difficoltà ed è difficile attirarli qui, considerando tutte le difficoltà che ci sono per poter venire fino a Sorrento, il problema degli alloggi, del trasporto , del parcheggio, una sede disagiata a tutti gli effetti alla quale non viene neanche riconosciuta la qualifica di sede disagiata. Mentre a Vico Equense hanno chiuso definitivamente il Pronto Soccorso e quello di Sorrento con la stagione turistica si prevede andrà al collasso, se già non lo è,  con prevedibili ripercussioni sui cittadini .  L’Ospedale Unico della Penisola sorrentina non verrà fatto più a Sant’Agnello, si pensa di farlo a Castellammare di Stabia. Situazione davvero confusa se si pensa allo sfacelo avvenuto al Ruggi a Salerno e alla Costiera amalfitana che si basa di fatto su un plesso che è poco più di un pronto soccorso, il Costa d’ Amalfi a Castiglione di Ravello . La situazione generale della sanità  in Campania è drammatica ed in peggioramento, ma sembra che non ci sia mai fine al peggio . Domani sera a Piano di Sorrento, come abbiamo scritto c’è anche un incontro sull’autonomia differenziata sulla sanità da Michele Gargiulo Caffè Maresca con il M5S. Questa sarà  un vero e proprio colpo di grazia .

All’indomani dell’approvazione in Consiglio dei ministri della dibattuta e sofferta legge quadro sull’Autonomia differenziata, messa a punto dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli, il clima che si respira è tutt’altro che sereno.

“Con il Ddl sull’autonomia puntiamo a costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa”, ha dichiarato la premier Giorgia Meloni, ma il fronte degli osservatori critici sull’attuazione del Ddl cresce: da Confindustria ai sindacati, dai vescovi alla rete dei sindaci del Sud, con 500 primi cittadini di altrettanti Comuni del Mezzogiorno che invitano tutti i colleghi e i cittadini a “esprimere attraverso in tutti i modi possibili la propria contrarietà”.

Tra chi, da tempo, ha messo sotto osservazione il progetto sulle autonomie c’è la Fondazione Gimbe che ha elaborato il report ‘Il regionalismo differenziato in Sanità’, per indicare i rischi di questa scelta e diffondere la consapevolezza politica e sociale che l’attuazione delle maggiori autonomie nella materia ‘tutela della salute’ – secondo la Fondazione – darà il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale.

“Aumenterà le disuguaglianze regionali e legittimerà normativamente il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute”, afferma con convinzione Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione.

Il report Gimbe sul regionalismo differenziato e i divari sanitari tra Nord e Sud

Il report Gimbe analizza le criticità della bozza del Ddl, valuta il potenziale impatto sul Servizio sanitario nazionale delle autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, fotografa l’entità delle diseguaglianze regionali sull’adempimento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e della mobilità sanitaria, formula alcune considerazioni conclusive e avanza precise richieste al Governo.

Dalla fotografia sugli adempimenti al mantenimento dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) relative al decennio 2010-2019 – spiega il report – emerge che le tre Regioni che hanno richiesto maggiori autonomie si collocano nei primi 5 posti della classifica, rispettivamente Emilia Romagna (prima), Veneto (terza) e Lombardia (quinta), mentre nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e solo 2 del Centro (Umbria e Marche).

Inoltre, l’analisi della mobilità sanitaria conferma la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, visto che nel decennio 2010-2019, tredici Regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi di euro. E tra i primi quattro posti per saldo positivo si trovano sempre le tre Regioni che hanno richiesto le maggiori autonomie:Lombardia (+6,18 miliardi), Emilia-Romagna (+ 3,35 miliardi), Toscana (+ 1,34 miliardi), Veneto (+ 1,14 miliardi).

Al contrario, le cinque Regioni con saldi negativi superiori a 1 miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (- 2,94 miliardi), Calabria (- 2,71 miliardi), Lazio (- 2,19 miliardi), Sicilia (- 2 miliardi) e Puglia (- 1,84 miliardi).

“Oggi si parla di Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), ma la sanità con i Lea è stata un laboratorio naturale dei Lep”, rimarca il presidente Gimbe. “I Lea oggi non sono esigibili su tutto il territorio nazionale. Varie regioni del Centro-Sud sono in dissesto o in commissariamento da anni; questo vuol dire che gli strumenti messi in campo dallo Stato non sono adeguati. Il meccanismo non ha funzionato -continua Cartabellotta-. Prima di introdurre le autonomie bisognerebbe riequilibrare le differenze regionali. I problemi non si risolveranno facendo correre chi è già più forte. Le regioni del Sud e del Centro Italia finiranno per diventare clienti della sanità settentrionale. Il turismo sanitario, già diffuso, si aggraverebbe ulteriormente”.

“Alcune forme di autonomia -si sottolinea infatti nel report Gimbe- rischiano di sovvertire gli strumenti di governance del Servizio sanitario nazionale, aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi. Oggi, invece,  l’abolizione dei tetti di spesa per il personale sanitario e l’istituzione di contratti di formazione-lavoro per anticipare l’ingresso nel mondo del lavoro di specialisti e medici di famiglia rappresentano strumenti fondamentali per fronteggiare la grave carenza di personale sanitario che andrebbero estesi a tutte le regioni”.

“Prima di introdurre le autonomie bisognerebbe riequilibrare le differenze regionali. I problemi non si risolveranno facendo correre chi è già più forte”

Nino Cartabellotta, presidente Fondazione Gimbe

ANSA
Ospedali sovraffollati, pazienti in barelle

Alla radice del problema c’ è il nodo dei Lep. In base alla versione del disegno di legge approvata, i Livelli essenziali delle prestazioni non dovranno solo essere garantiti, ma anche finanziati prima di trasferire le funzioni alle regioni. Ancora non è chiaro però quali saranno i parametri che saranno usati per finanziarli. Inoltre, i Lep saranno definiti attraverso Dpcm da una apposita Commissione Tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al Tar, ma non davanti alla Corte Costituzionale.

“Il testo non entra nel merito delle motivazioni che portano le regioni a richiedere maggiore autonomia sulle 23 materie. Non fissando nessun paletto chiunque può chiedere tutto”, sottolinea ancora Cartabellotta. “L’autonomia  risulterebbe essere così quasi un affair tra regioni e governo senza intervento del Parlamento”.

Tra le materie che andrebbero tenute fuori dal progetto autonomia differenziata, secondo il presidente di Gimbe, c’è anche la scuola. “Sulla scuola non abbiamo fatto uno studio, ma con la sanità, è una priorità.  Si sta costruendo una scatola senza conoscere i contenuti”.

A rafforzare il ragionamento Cartabellotta chiama in causa anche il Pnrr: “Da un lato i fondi del Piano Nazionale di ripresa e resilienza sono condizionati all’ impegno dell’Italia nella riduzione dei divari territoriali,  poi agiamo in maniera opposta”.