Piano di Sorrento, il racconto del Prof. Ciro Ferrigno: “Catania – La festa di Sant’Agata”
Piano di Sorrento. Riportiamo il racconto del Prof. Ciro Ferrigno dal titolo “Catania – La festa di Sant’Agata”. Un bellissimo ricordo legato ad uno dei suoi numerosi viaggi alla scoperta delle bellezze dell’Italia nei suoi 50 anni di gite: «Può mai un velo fermare la lava di fuoco di un vulcano in eruzione? La risposta è si, ma solo quando si tratta di quello appartenuto alla santa vergine Agata. Avvenne nel 252 ad un anno dal martirio della Santa e poi tante altre volte, nel corso dei secoli. Da un lato un potente e minaccioso vulcano, l’Etna, dall’altra parte un popolo che nulla può contro la sua ira, al centro lo scudo protettivo di Colei che Catania, da sempre, proclama sua protettrice.
Ancora oggi la Città etnea tributa a Sant’Agata una festa che è leggenda, perché a vario modo si intreccia con il suo destino. Le reliquie, trafugate dai Bizantini e portate a Costantinopoli, dopo 86 anni tornarono, salutate nel cuore della notte dalle campane a festa, i catanesi corsero al porto per accoglierle. Tutto confluisce in una ritualità che si consolida a partire dal febbraio 1519, quando per la prima volta le sacre reliquie furono portate in processione sulla vara, una piccola lettiga lignea ricoperta d’argento e oro.
Eravamo a Catania dal 3 al 6 febbraio 2017 e partecipammo, non senza fatica, a tutti i momenti della festa, fino a non poterne più, di giorno e di notte. Lo sforzo non era tanto quello di seguire le varie manifestazioni negli orari più insoliti, quanto lo stare in una folla traboccante, certe volte trovando a fatica un angolino dove poggiare i piedi a terra. Nei giorni della festa la vita cittadina si interrompe, ci sono persone che non dormono e non mangiano, semmai si nutrono con le olivette di Sant’Agata, dolcetti a forma di oliva, fatti con pasta di mandorle.
Il primo giorno della festa sfilano le autorità civili, religiose e militari e le undici candelore, pesanti macchine di legno con preziosi intagli che raffigurano il martirio della santa, che risalgono ai tempi delle antiche corporazioni dei mestieri. Le suggestive candelore precedono l’antica Carrozza del Senato, che oggi ospita il sindaco. Il corteo arriva alla chiesa di San Biagio, dove la martire fu posta sui carboni ardenti, per poi proseguire fino alla Cattedrale per l’offerta dei ceri, a cui partecipano tutti i fedeli.
I due giorni che seguono sono i più solenni. Infatti, la vigilia della festa il busto di Sant’Agata, coperto di gioielli, attraversa tutti i quartieri della città; la vara d’argento è spinta da centinaia di ragazzi vestiti di bianco che tirano le funi gridando “Viva Sant’Aita”. Il 5 febbraio, giorno della festa liturgica, la Santa percorre tutta la notte e fino all’alba la città, illuminata a festa; la seguono le suggestive candelore, poi una massa di devoti vestiti con un sacco che porta candele giganti. Chiude la lettiga sulla quale ardono i ceri offerti dalla popolazione lungo il percorso. È la notte del fuoco e fa rabbrividire: impossibile non pensare al magma, alle colate laviche, all’Etna!
La fede dei catanesi potrebbe sembrare eccessiva e pregna di idolatria, se non fosse fin troppo evidente che è sincera e sentita. Sant’Agata è il baluardo sicuro, l’argine certo verso i tanti pericoli che esistono per la vicinanza di un vulcano sempre attivo, che fa tremare la terra, oscura l’aria e vomita fuoco senza fermarsi mai. Nel momento del pericolo la paura scompare, Catania alza verso la Montagna il velo della Santa, quanto di più esile e fragile ci possa essere, ma invincibile. Sembra impossibile, ma è proprio così».