Comune di Sanza: l’A.N.C.R. ricorda l’Aviere Scelto Angelo Ciorciari riportato sulla Lastra alle vittime della strage di Capodimonte – Napoli
Dal Cavaliere Attilio De Lisa Presidente della sezione A.N.C.R. di Sanza Federazione di Salerno-Consigliere Provinciale Associazione Nazionale Combattenti e Reduci Area del Vallo di Diano e del Basso Cilento con sede dal 2002 presso l’Edificio Polifunzionale Comunale in Piazza Aviere Angelo Ciorciari di cui onorerà il ricordo ogni anno a Sanza ad ogni manifestazione Nazionale a partire dal prossimo 25 Aprile 80° Anniversario 1945-2025 Festa della Liberazione d’Italia.
28 settembre 1943. L’aviere Angelo Ciòrciari ed Eva Schmitt. Una storia nella storia delle Quattro giornate di Napoli.
Napoli, 28 settembre 1943: la città partenopea è lacerata dai bombardamenti alleati, affamata ed assetata. All’alba la popolazione impugna le armi e si rivolta contro il nuovo nemico: i tedeschi, diventati ex occupanti dopo l’8 settembre, data dell’annuncio dell’armistizio. Iniziano giorni frenetici. I napoletani reagiscono ai rastrellamenti, alle distruzioni, alla paura, alle deportazioni. L’insurrezione coinvolge la città, dal Vomero ai vicoli del quartiere di Montecalvario e della Sanità, fino alle zone di periferia come Ponticelli e Poggioreale. Sullo sfondo le vicende di eroi del quotidiano come l’aviere scelto Angelo Ciòrciari (nella foto a sinistra) e quella della signora tedesca Eva Schmitt. Il giovane militare della Regia Aeronautica è protagonista di una scelta: difendere la sua gente nel modo migliore in cui sapeva farlo, cioè guidando un’auto e indossando la sua divisa. La sua memoria e quella di Eva Schmitt sono raccontate nel libro Prima dell’Oblio. Le Quattro Giornate a Capodimonte e l’aviere ritrovato di Carlo Verde, Pietro Riccio, Sara Cucciolito, Paola Verde, edito dalla Rivista Aeronautica.“Il testo ricostruisce, sulla base di documenti d’archivio e di testimonianze dell’epoca, i fatti del settembre 1943 che portarono alla fucilazione di tre uomini e un ragazzo nel Real Bosco di Capodimonte in seguito alla morte di un soldato tedesco – spiega il Tenente Colonnello medico dell’Aeronautica Militare Paola Verde, tra gli autori del volume -. Si conosceva, infatti, soltanto l’identità di due caduti: Salvatore Palumbo ed il figlio Ciro perché originari del quartiere mentre erano rimasti ignoti fino al 2013, anno della pubblicazione del libro,Gaetano Rescigno di Castel San Giorgio e l’Aviere Scelto Angelo Ciòrciari originario di Sanza. Nello stesso tempo lo studio ha evidenziato la figura ed il ruolo della signora tedesca Eva Schmitt che scongiurò la fucilazione di altre decine di uomini rastrellati dalle proprie case, intercedendo presso il comando della Divisione Goering acquartierata proprio nel Real Bosco di Capodimonte”.
Il volume ricostruiscela situazione del quartiere durante la guerra grazie anche al lavoro effettuato incrociando le fonti archivistiche inedite con le informazioni dei testimoni che hanno vissuto sulla loro pelle quei drammatici giorni.Nel ’43 Capodimonte è un borgo di qualche migliaio di anime che ha come fulcro la Chiesa di Santa Maria delle Grazie. ”Le strade sono quasi deserte, pesanti sono i disservizi sulla linea tramviaria per i collegamenti con il centro, le scuole sono chiuse – sottolinea lo storico Carlo Verde -. Le persone sono costrette a rimanere per lunghe ore nel ricovero ’e Russo, o al rifugio arète ’o vico, o nelle cave adibite a rifugi pubblici antiaerei. La batteria dello Scudillo, presso Villa Astarita, e quella dell’Osservatorio Astronomico, dove si trovano anche i posti di avvistamento con le sirene antiaeree, cadono in mano tedesca. Il Palazzo Reale di Capodimonte, nonostante la presenza della Duchessa d’Aosta che vi abita stabilmente, è requisito perché possa insediarsi il comando tedesco con a capo un colonnello”. Nel bosco si stabiliscono centinaia di soldati della Wehrmacht, l’esercito tedesco, nonché diverse unità della Divisione Corazzata “Hermann Göring” che presto si oppongono ai Carabinieri Reali della Stazione della Reggia di Capodimonte.
“A Porta Grande – prosegue Carlo Verde – una sessantina di uomini, si concentra alla Salita Moiariello per utilizzare i pezzi di artiglieria sotterrati all’indomani dell’armistizio per evitare che possano cadere in mano nemica Il 28 settembre questi uomini cominciano a sparare sui mezzi corazzati fermi al Bosco di Capodimonte e sulla strada che da Capodichino conduce a Piazza Carlo III. Nel frattempo il capitano medico Aurelio Spoto, tornato dal fronte albanese dirige e coordina i gruppi di partigiani della zona. Nel tardo pomeriggio del 28 settembre il capitano Aurelio Spoto decide di attaccare la squadra di guastatori tedeschi che sta minando il serbatoio dell’Acquedotto del Serino, l’unico ancora funzionante in una Napoli allo stremo”.La mattina del 29 settembre a Porta Piccola, transita una Kübelwagen, un’auto militare, preceduta da un sidecar da ricognizione, che discende da Viale Colli Aminei, per entrare nel Real Bosco. Alcuni spari fanno arrestare l’automezzo.“Il conducente resta riverso sul volante privo di vita mentre il passeggero, ferito, riesce a fuggire. Il sidecar invece inverte la marcia, pur sottoposto ad un intenso fuoco di fucileria, e compie una precipitosa manovra ridiscendendo la strada per dare l’allarme – aggiunge Carlo Verde -. Intanto il grosso autoveicolo è fermo sulla Via Miano. Occorre far presto: la ritorsione sarebbe furibonda se l’agguato venisse scoperto”.
E’ a questo punto che arriva l’aviere Angelo Ciòrciari, specialista automobilista della Regia Aeronautica, di stanza nel vicino deposito di San Rocco.“Angelo non ci pensa due volte e grazie alle indicazioni di alcuni abitanti della zona lo guida in Villa Petrilli dove lo nasconde – aggiunge Carlo Verde -. Poi si allontana, mentre nei pressi della chiesa viene occultato il cadavere del soldato che era a bordo. La reazione tedesca è furibonda. Dopo poco una colonna corazzata si dirige verso il borgo bloccando le vie principali: un carro armato, scoperta la presenza di alcuni insorti sul muro di cinta del Real Parco, ruota la torretta, aumenta l’alzo e fa fuoco con la mitragliatrice, poi entra dalla Porta Piccola e risponde direttamente al fuoco degli insorti prove-niente dai tetti del Fabbricato Palazzotti che viene distrutto”. Alle 12:00 i tedeschi applicano in pieno la direttiva proclamata il 12 settembre dal colonnello Schöll: passare per le armi cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso”.
I vicoli sono deserti, il silenzio del quartiere è rotto solo dall’ordine Alle hinaus! Tutti fuori! “Le donne sono consapevoli di non essere l’obiettivo dei tedeschi, hanno già segnalato ai familiari l’arrivo dei soldati, poi studiano le soluzioni più svariate pur di offrire ai loro uomini l’occasione di fuggire o di nascondersi bene nelle case, urlando, piangendo, svenendo – spiega Sara Cucciolito -. Alle 17:00 i tedeschi continuano a cercare i responsabili della morte del soldato: il rastrellamento è ancora più attento, la perquisizione ancora più approfondita e più e più uomini vengono scoperti anche con il sostegno di delatori.Gli abitanti del quartiere vengono fatti uscire dalle loro abitazioni con le mani dietro la nuca e ed insieme a tutti coloro che vi si trovavano per caso, vengono radunati nel bosco di Capodimonte”.
Nella serata la signora Eva Schmitt, a Capodimonte da oltre venti anni, va a parlare con il colonnello: è stata chiamata dalla gente per mettere una buona parola, spendendo una parola convincente, presso i tedeschi. La mattina del 30 la Schmitt ritorna ancora al comando nel parco, sa di poter contare anche su una merce di scambio: i prigionieri tedeschi fatti dal capitano Spoto a Porta Grande. “La determinazione e la capacità di persuasione della signora sono molto efficaci – riflette Sara Cucciolito -perchè riesce a scongiurare non solo la distruzione del borgo, ma soprattutto l’eccidio di un centinaio di persone”. Soltanto tre uomini e un ragazzo, dopo un’indagine sommaria che li accusa dell’uccisione del soldato tedesco al Regresso, nel primo pomeriggio del 30 vengono fatti uscire dai luoghi di detenzione e condotti tra i viali del bosco. Gaetano Rescigno, operaio trentacinquenne; Salvatore Palumbo, impiegato di mezza età e con lui il suo penultimo figlio Ciro, studente appena quindicenne; Angelo Ciòrciari, aviere scelto di ventiquattro anni. I quattro prigionieri, costretti ad allargare una delle fosse per il deflusso delle acque piovane nel bosco, sono giustiziati di schiena da un plotone di esecuzione presso il Fabbricato Catanéo. Il crepitio delle armi si disperde nel cupo silenzio della vegetazione. Sono le 15,15 del 30 settembre 1943.
Cavaliere Attilio DE LISA