Il flautista svizzero, prima parte dei Berliner, si esibirà questa sera al teatro comunale di Benevento con l’ensemble composto dalle prime parti della Filarmonica cittadina, ospite dell’Ofb e dell’Associazione Falaut di Salvatore Lombardi. In programma musica di Mozart e C.Ph.Bach
Di Olga Chieffi
Concerto evento, stasera, alle ore 19.30, al Teatro comunale Vittorio Emmanuele di Benevento Sebastian Jacot, primo flauto dei Berliner Philharmoniker, simbolo di esuberanza strumentale, ricchezza nelle sonorità, latore di un suono di totalizzante bellezza, sarà ospite d’onore dell’OFB, in occasione del decennale della fondazione della compagine orchestrale, il cui cartellone è firmato da Beatrice Rana, nonché dell’associazione Afi-Falaut, di Salvatore Lombardi. Il flautista incontrerà l’ensemble costituito dalle prime parti dell’Orchestra Filarmonica di Benevento, composto da Salvatore Lombardo e Federica Paduano al violino, Simona Ruisi alla viola, Emilio Mottola al cello, Pierluigi Bartolo Gallo al contrabbasso e Debora Capitanio al clavicembalo, in un programma dedicato a Wolfgang Amadeus Mozart e a Carl Philipp Emanuel Bach. La serata principierà con il Divertimento n. 1 in re maggiore, K 136, concepito a Salisburgo nel periodo di preparazione del terzo viaggio in Italia, in cui stile e forma inclinano verso il nostro gusto, mentre in alcune parti contrappuntistiche e tematiche affiora l’influsso tedesco dei due Haydn e della serenata n°13 Eine Kleine Nachtmusik K 525 in Sol maggiore, datata 1787 a dieci anni dalla serenata K320, quasi un magico inspiegato ritorno a un’opera di intrattenimento: quasi che l’autore avesse voluto profondere in un saggio perfetto tutti i segni caratteristici, i valori, i messaggi della serenata ideale, per lasciare intenzionalmente un capolavoro eterno di equilibrio e di eleganza, prima di accomiatarsi per sempre dall’antico genere salisburghese. Potrebbe sembrare una provocazione dal momento che “tutti sanno che Mozart odiava il flauto”. Ma forse si tratta di una interpretazione superficiale e decontestualizzata del contenuto di una lettera che Mozart scrisse al padre nel 1778, dove appare la frase “devo scrivere per uno strumento che non posso tollerare”. In realtà, non era lo strumento a indisporre Wolfgang, ma il flautista dilettante De Jean. Mozart, genio indiscusso, forse è il più umano dei compositori proprio per i contrasti, a volte stridenti, tra la perfezione della sua musica e le inevitabili manifestazioni dettate dalle debolezze umane. Il flauto di Sebastian Jacot farà la sua sortita sulle note del Quartetto per flauto ed archi n. 1 in re maggiore, K 285 di Wolfgang Amadeus Mozart, un brano composto dal genio di Salisburgo nel dicembre 1777 ed in cui il flauto domina incontrastato in tutti e tre i tempi, trattato con adeguato virtuosismo in un contesto espressivo, non privo di soluzioni efficaci e coinvolgenti, e nell’ambito di un’impostazione concertante, rappresentata da ampi interventi solistici, senza che, per questo il violino e la viola siano posti in posizione totalmente subalterna, non mancano, infatti domanda e risposta e gli scambi melodici tra uno strumento e l’altro. Tutto in quest’opera è conciso ed essenziale: nell’Allegro iniziale, l’esposizione è costituita da due temi contrastanti, il primo, festoso e brillante, il secondo più tranquillo, collegati tra loro da una transizione modulante basata su di un nuovo materiale melodico. Il vertice espressivo è comunque raggiunto nell’elegiaco Adagio in Si, formalmente tripartito, nonostante la sua brevità, la cui purissima e meditativa linea melodica si dipana al di sopra di un suggestivo accompagnamento in pizzicato. Il successivo rondò subentra senza soluzione di continuità, dando vita ad una conclusione, assolutamente deliziosa, integralmente dominata da una trascinante vivacità. Il sigillo della serata sarà offerto dal Concerto in re minore per traversiere e archi, H 484.1 di Carl Philipp Emanuel Bach il più dotato fra i figli di Bach, che nel suo corpus compositivo ha riservato al flauto un posto di prim’ordine, coincidente proprio col periodo di diffusione del nuovo strumento, in considerazione anche del cambiamento della vecchia tecnica e della scrittura flautistica. La partitura presenta un’articolazione della frase tipicamente barocca, impreziosita dai giochi imitativi dei bassi che fanno da eco alla melodia dei violini. Un pedale armonico delimita la parte conclusiva dell’episodio iniziale, lasciando spazio al solista che, riprende in maniera quasi letterale il tema orchestrale, per poi discostarsene in un secondo tempo. In alternativa al modo minore del primo movimento, il tempo lento centrale – Un poco Andante – si dipana in un sereno e pacato modo maggiore sostenuto dal tranquillo pulsare del basso. Il tema orchestrale dell’ultimo tempo – Allegro di molto – presenta un carattere intenso e drammatico, piuttosto insolito per queste pagine; di esso il solista riprende con alcune varianti la parte iniziale, per poi seguire un percorso nettamente diverso. Il tema viene quindi riproposto in maggiore dall’orchestra e successivamente dal solista, che ne abbandona però la traccia per liberarsi in una lunga e virtuosistica fantasia. Un successivo ritornello orchestrale in una differente tonalità minore è seguito da un intervento deciso del flauto, nel quale riecheggiano frammenti del tema, intercalato da brevi stacchi orchestrali. Il ritorno del tema nella tonalità iniziale delimita la sezione conclusiva, che viene completata da un ultimo intervento del solista e dalla coda finale basata su elementi del tema principale.