Alla Fondazione Menna inaugurata installazione Hikikomori di collettivo damp, terzo atto del progetto SPLEEN. I particolari

Salerno. Si è inaugurato presso la sede della Fondazione, ieri 14 giugno l’ultima installazione del progetto SPLEEN. Tre opere per la Fondazione Filiberto e Bianca Menna, a cura di Gianpaolo Cacciottolo e Massimo Maiorino.

Si tratta di Hikikomori di collettivo damp che conclude il percorso iniziato  il 4 maggio con le opere di Davide Sgambaro e Marco Strappato, mostra realizzata con il sostegno di Sev Iren e con il patrocinio del DiSPaC – Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Università degli Studi di Salerno.

 La terza e ultima opera di SPLEEN è Hikikomori di collettivo damp, un’installazione ambientale che oscura due finestre al primo piano della Fondazione. L’intervento si fa interprete di quella che Paulo Barone ha definito la “vocazione segreta del mondo contemporaneo”, ovvero quel “bisogno di introversione” che attecchisce in un mondo in costante disfacimento di modelli e valori. In un ideale contrasto con la figura del combattente, che è connotazione storica dell’edificio, l’installazione attiva un meccanismo di sottrazione alla sovraesposizione luminosa urbana, attraverso l’utilizzo di un tessuto nero a elevato assorbimento di luce. Come un hikikomori, la parte corrispondente a una delle sale della Biblioteca si ritrae silenziosa e rinuncia a ogni pretesa di governo sul mondo. L’opera si pone, ancora una volta, come un ponte tra la sfera pubblica e quella privata, come un sistema di collegamento e filtro tra la moltitudine della città globalizzata e “la solitudine del cittadino globale” (per dirla con Bauman). l’esposizione si concluderà il 30 giugno.

Correlati al progetto SPLEEN, rivolti a bambini e ragazzi tra i 6 e i 10 anni, si svolgeranno due laboratori didattici a cura di Rita Ventre che intendono proporre ai giovanissimi partecipanti uno spazio di riflessione sul proprio rapporto con la città e con la Fondazione Filiberto e Bianca Menna.

Il laboratorio del 15 giugno 2024 sarà dedicato alla Fondazione Filiberto e Bianca Menna e al rapporto con il tessuto urbano in cui si inserisce. I bambini e i ragazzi saranno impegnati nella realizzazione di un albo illustrato, completo di testi e immagini, capace di raccontarne la storia, il presente e anche di immaginarne il futuro. Il laboratorio del 22 giugno 2024 sarà dedicato ai tre interventi artistici che compongono il progetto Spleen, le opere di collettivo damp, Davide Sgambaro e Marco Strappato. Anche i bambini e i ragazzi saranno invitati a realizzare un progetto artistico per la facciata della Fondazione Filiberto e Bianca Menna, per riflettere insieme sull’importanza di uno spazio fondamentale per la città “molto spesso dimenticato, trascurato, o addirittura ignorato”.

I due laboratori avranno la durata di 2 ore ciascuno, dalle ore 10.30 alle 12.30. La prenotazione è obbligatoria scrivendo alla mail info@fondazionemenna.it

 

SPLEEN nasce dall’esigenza di riflettere sul ruolo e la posizione che un’istituzione storica dell’arte e della critica contemporanea, la Fondazione Filiberto e Bianca Menna – nata nel 1989 e dal 1994 ospitata negli spazi dell’Ex Casa del Combattente – ha all’interno del tessuto urbano e socio-culturale della città di Salerno. Nella Profezia di una società estetica (1968) Filiberto Menna rintraccia nell’opera di Baudelaire, e in particolare nei Petits Poèmes en prose (o Lo spleen di Parigi, 1867-1869), un’occasione di riflessione sul rapporto tra l’artista e la città moderna. Vivere nel presente significa per Baudelaire, dice Menna, «entrare dentro la nuova realtà, prendere atto di una situazione profondamente

mutata in cui l’orizzonte dell’esistenza quotidiana non è più dato dalla natura ma dalla città». L’autore francese affida perciò all’artista moderno il «compito di vivere e rappresentare questo presente», di «tirar fuori l’eterno dal transitorio», nello spazio di una tensione fortissima tra moltitudine e solitudine che si concretizza nell’esperienza della città moderna. L’artista, preso nel mezzo di un gioco combinatorio che lo colloca tra l’esperienza della folla e una struttura urbana ormai programmata, diviene così uno «specchio altrettanto immenso quanto questa folla; un caleidoscopio fornito di coscienza, che, ad ogni movimento, rappresenta la vita molteplice e la grazia mobile di tutti gli elementi della vita».

Magrina Di Mauro

 

 

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