La personalità giuridica della natura del nostro grande Parco.
Nel mondo si comincia seriamente ad assistere ad azioni da parte della società civile, con l’obiettivo di tutelare determinate risorse naturali ricorrendo ai tribunali: circa 200 regolamenti o sentenze emesse in diversi paesi hanno considerato gli ecosistemi come soggetti di diritti con l’attribuzione di una personalità giuridica a una specie animale o vegetale, o ad un elemento di carattere naturale dalle spiccate funzioni ecosistemiche.
Si tratta di un tipo di soluzione che sta prendendo piede nel mondo per contrastare più rapidamente gli impatti dettati dall’invasivo sistema economico in atto.
È una visione diversa da quella giuridica europea che invece, partendo dal rispetto dei diritti umani, solo se questi vengono violati da attività antropiche tali da impattare sull’ambiente ed accelerare la crisi climatica e il depauperamento delle risorse naturali, consente al tribunale di turno di intervenire a tutela, riconoscendo in sostanza la salute dei cittadini ma a conti fatti non abbastanza quella dell’ambiente.
Si resta favorevolmente colpiti quindi, alla notizia dell’iniziative di “climate litigation” dello scorso aprile in Perù: un gruppo di donne del popolo Kukama, ha ottenuto dal tribunale Nauta di Loreto, lo status di soggetto giuridico al fiume Marañón ed ai suoi affluenti, con il riconoscimento agli enti statali ed alle organizzazioni indigene, del ruolo di custodi e difensori dei fiumi, con l’ordine alla Giunta regionale di creare il “Comitato di Bacino” che consente la partecipazione della società civile e delle popolazioni indigene alla gestione del grande fiume.
Questa incredibile storia dovrebbe far riflettere anche sulla realtà del nostro “Vecchio Mondo” e dei suoi siti di pregio naturalistico, che seppur riconosciuti dall’unesco, in realtà non sempre sono tutelati sufficientemente.
Le comunità che vivono in territori particolari, come anche quelle del Parco Regionale dei Monti Lattari, hanno un ruolo particolare da svolgere: amministrazioni locali, società civile, donne, giovani, studiosi e creativi, devono lavorare insieme per valorizzare, proteggere e ripristinare l’habitat.
Questo territorio possiede una varietà di connessioni ecologiche all’interno di in un contesto a macchia di leopardo, tra zone ancora ricche di natura incontaminata ed altre fin troppo antropizzate.
L’isola ecologica del comprensorio amalfitano è un ecosistema complesso ricco di biodiversità, i terrazzamenti a limoneti, gli orti ed i boschi pubblici e privati insieme ai siti marini sulla costa, convivono con le comunità che abitano i suoi piccoli borghi, costituendo globalmente un habitat dall’equilibrio molto fragile, in cui il turismo di massa si nutre voracemente, indisturbato del suo “terreno fertile”, riducendo costantemente spazi tradizionali di vita ai residenti ed beni naturalistici non riproducibili.
Piuttosto che studiare soluzioni per migliorare l’habitat urbano, mitigare l’inquinamento, favorire la biodiversità, affrontando il mondo che cambia, ci si preoccupa di agevolare l’afflusso di visitatori “brevi”, di veicoli via terra e via mare, attraverso nuove mega opere inutili e dannose.
Limitare al proprio comune i problemi del traffico o dell’inquinamento dell’aria o del mare, invece di inquadrare il problema nell’intero comprensorio in una visione d’insieme, non è solo un problema culturale, ma ahimè é soprattutto una consapevole scelta politica.
Esercitare nel proprio bacino di “influenza” scelte localistiche di questo tipo, può essere più comodo, ma spesso si corre il rischio di strumentalizzazioni di poteri esterni più forti, quelli dai quali ci si illudeva di essere beneficiati, facendosi invece sfuggire di mano, operazioni messe in moto sull’onda di interessi dal sapore locale ma che di localismo alla fine non conservano più nulla.
Urge una conversione degli investimenti pubblici dalle cosiddette “grandi opere”, caratterizzate da investimenti imponenti, invasivi per il territorio e concentrati in aree che sacrificano il profilo ambientale con un disastroso “consumo di suolo“, a quelli di piccole opere diffuse e leggere, che portano con sé anche un’utile ricaduta occupazionale in ambito locale, mirate alla tutela, al restauro, al godimento e alla manutenzione permanente del territorio e dei suoi beni ecologici, storici e architettonici, alla valorizzazione della sua vocazione agricola di nicchia e del suo storico turismo di qualità.