Sviluppo Sostenibile per il Professor Luongo: “Scienza sociale come Scienza naturale”.

23 giugno 2024 | 13:01
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Sviluppo Sostenibile per il Professor Luongo: “Scienza sociale come Scienza naturale”.

È piuttosto raro leggere un articolo che coglie lucidamente l’essenza di una problematica, quella della destinazione di uso del territorio in relazione alla sostenibilità, argomento di grande attualità, e riuscire a mettere a fuoco con precisione il nocciolo della questione.

Giuseppe Luongo, cittadino puteolano, vulcanologo, professore Emerito dell’Università di Napoli e già direttore dell’Osservatorio Vesuviano è uno tra i massimi esperti nel suo campo, non è un antropologo ma uno studioso di scienze della natura, eppure è riuscito magistralmente a cogliere il vero significato del tanto dibattuto concetto di “turismo sostenibile”.

Generico giugno 2024

Ritengo possa costituire una sorta di lectio magistralis, sia per gli amministratori dei comuni del “Parco Regionale dei Monti Lattari” che per le comunità che lo abitano, un suo scritto che, seppur pensato per la “vulcanica” Ischia, è estensibile alla “Montagna Terrazzata” della Costa d’Amalfi, per la quale è indispensabile operare con cautela nell’uso del territorio.

Si tratta di articolo, pubblicato sul giornale “Il Golfo” del 18 giugno 2024, che riporto qui di seguito, dal titolo:

Scienza sociale come Scienza naturale

Non sono un antropologo, ma uno studioso di scienze della natura; in particolare mi interesso di terremoti, di vulcani e della dinamica del guscio esterno della Terra.

I fenomeni citati interagiscono con le attività umane e il loro studio si interseca con quello dei sociologi nell’interpretazione delle scelte dei comportamenti delle comunità esposte ai fenomeni naturali.

Ne consegue che interpreto le risposte delle comunità alle sollecitazioni degli eventi naturali estremi con gli strumenti delle scienze della natura che mi sono più familiari, ma sono impegnato ad approfondire i comportamenti delle comunità esposte nelle scelte per la mitigazione del rischio che sono loro patrimonio culturale, trasmesso da generazione a generazione.

Un sapere prezioso che va preservato anche in comunità nelle quali la tecnologia ha obliterato i comportamenti del passato con trasformazioni profonde del rapporto tra ambiente antropico e ambiente naturale.

Lo studio dei fenomeni naturali deve avere almeno all’orizzonte come i risultati della ricerca possano interagire con gli esseri viventi.

Questa interazione è evidente per i fenomeni naturali estremi che in futuro potrebbero intensificarsi, come si teme per il cambiamento climatico in atto.

L’antropologo in questi passaggi epocali, che non sono mancati nella storia dell’umanità, si sentirà impegnato più nell’aspetto materiale e infrastrutturale che nella definizione delle leggi sociali che determinano il comportamento mentale delle persone.

È interessante in questi casi che il contributo, sia dell’esperto in scienze sociali che dell’esperto delle scienze della natura, siano tali che l’uno comprenda gli strumenti culturali dell’altro e così l’unificazione degli intenti avviene attraverso la cultura, ossia con il passaggio dalla natura alla cultura. L’idea di tale passaggio nasce dal presupposto che natura e cultura siano due entità distinte, ma la cultura, intesa come comportamento sociale, è una caratteristica “naturale” dell’uomo.

Purtroppo, parecchi comportamenti culturali dell’uomo tendono a produrre un’immagine della discontinuità tra natura e cultura.

Ma qui non si tratta della “scoperta” del relativismo culturale, che aiuta poco nella mitigazione del rischio, in quanto le comunità tendono a non acquisire più conoscenza dalla lettura del territorio, o perché sommerso dal costruito, o perché la sua conoscenza è delegata all’esperto tecnico.

Così quando occorre scegliere la destinazione di uso del territorio, il suo valore è misurato in termini di valore per ulteriori insediamenti e non per il contributo nell’equilibrio generale dell’ambiente fisico, in termini di sicurezza e benessere collettivo.

La mancanza di conoscenze fa sì che anche il danno economico atteso, in caso di evento naturale estremo, non è messo in bilancio nella pianificazione del territorio. Questo è per definizione una risorsa, il cui valore è definito dalla sua natura, forma, collocazione climatica, fauna, flora, idrografia ma anche dall’antropizzato storico e dalle strutture culturali, tutti elementi capaci di attrarre l’interesse degli uomini di cultura, di affari, di giovani in formazione, turisti.

Vi sono luoghi, come l’isola d’Ischia, con un paesaggio vulcanico di straordinario interesse, famosa colonia della Magna Grecia dove gli studi degli archeologi rilevano importanti segnali della colonizzazione del Mediterraneo, luogo del mito sull’origine del vulcanesimo con l’agitazione di Tifeo sotto il carico dell’Epomeo, i depositi dei livelli marini sui versanti dell’Epomeo che consentirono a Charles Lyell di provare la validità della sua teoria sull’Uniformitarismo, la ricchezza delle acque termali, sono tutti elementi della preziosità di questo territorio, ai quali si aggiunge anche un clima gradevole. Un tale contesto ha segnato la direttrice dello sviluppo dell’Isola nel settore del turismo.

Nasce la necessità di un piano di sviluppo sostenibile in termini di conservazione e tutela degli attrattori, tra i quali le caratteristiche ambientali. Se queste sono sommerse dal costruito si produce un doppio danno, si perde la risorsa naturale e si incrementa l’esposizione ai dissesti naturali.

Bisognerà, invece operare per la mitigazione del rischio, realizzare parchi naturali e innalzare il livello di conoscenza dei fenomeni naturali che caratterizzano l’Isola con l’istituzione di Centri di ricerca sui terremoti e il dissesto idrogeologico, da affiancare all’Istituto Dohrn interessato alla fauna marina. In un clima culturale di prestigio, al turismo diffuso si aggiunge un turismo culturale e dei giovani in formazione.

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