La pittura di Ercolano. Stato delle conoscenze e prospettive della ricerca Francesco Sirano, Domenico Camardo, Mario Notomista

Finalmente online e in open access gli atti del Convegno del 2019 “𝐏𝐚𝐫𝐞𝐭𝐢 𝐝𝐢𝐩𝐢𝐧𝐭𝐞: 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐯𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. 𝐀𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐗𝐈𝐕 𝐂𝐨𝐧𝐠𝐫𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐀𝐬𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐭𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐨𝐮𝐫 𝐥𝐚 𝐏𝐞𝐢𝐧𝐭𝐮𝐫𝐞 𝐌𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞 𝐀𝐧𝐭𝐢𝐪𝐮𝐞 (𝐀𝐈𝐏𝐌𝐀), 𝐍𝐚𝐩𝐨𝐥𝐢-𝐄𝐫𝐜𝐨𝐥𝐚𝐧𝐨, 𝟗-𝟏𝟑 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞 𝟐𝟎𝟏𝟗”.

al sito  Academia.edu  leggibile il lavoro  La pittura di Ercolano. Stato delle conoscenze e prospettive della ricerca Francesco Sirano, Domenico Camardo, Mario Notomista

La scoperta delle città vesuviane distrutte dall’eru- zione del 79 d.C. ha offerto agli studiosi, fin dal XVIII secolo, l’occasione e gli strumenti per ricostruire nu- merosi aspetti della vita quotidiana nel I sec. d.C. 1 Uno dei maggiori contributi dati da queste esplo- razioni è stata la scoperta di straordinarie pitture anti- che che, per l’eccezionale stato di conservazione, atti- rarono subito l’attenzione degli eruditi e gli appassio- nati di tutta Europa 2 . Gli scavi iniziarono ufficialmente nel 1738, sotto l’egida di Carlo di Borbone 3 , che ne affidò la direzione all’ingegnere spagnolo Roque Joaquin de Alcubierre e in subordine a Karl Weber e Francesco La Vega, con il compito di redigere disegni degli edifici che si andava- no esplorando 4 . Il primo sito ad essere indagato fu quello dell’an- tica città di Herculaneum, dove già da alcuni secoli erano attestati rinvenimenti di statue e oggetti antichi 5 (fig. 1). Grazie ad un intricato sistema di gallerie sotter- ranee, collegate a pozzi, buona parte della città fu esplorata, portando alla scoperta di numerosi reperti archeologici di grande valore (fig. 2). Oltre a statue e suppellettili di vario genere rividero la luce anche un gran numero di affreschi, che inizialmente furono ‘ta- gliati’ dalle loro sedi originarie secondo il metodo del- lo stacco ‘a massello’ e destinati alla ricca collezione di antichità della famiglia reale 6 .

 

1 Roberts 2013. 2 Pace 2000; Guzzo, Esposito, Ossanna Cavadini 2018. 3 Sulla politica archeologica del re Carlo, Allroggen Bedel, Kammerer 1983; D’Alconzo 2017; Capasso 2018; Cioffi 2018. 4 Zevi 1980, 1981; Parslow 1995; Pagano 1997, 2005. 5 Camardo 2019. 6 D’Alconzo 2002. 7 Ivi, 15-17. 8 Ruggiero 1881, 84. Allo scultore Joseph Canart spettava il compito di decidere cosa dovesse essere tagliato 7 . Sintomatico del modo di procedere alla selezione è un rapporto del Weber del 7-8 novembre del 1758 a proposito di un’iscrizione dipinta rinvenuta su una parete di una villa a Stabia, fatta demolire prima che potesse essere letta e trascritta, in quanto la inscripcion vale nada 8 . Discorso diverso spettava ai quadri figurati, agli scorci architettonici e ai tanti e diversi elementi deco- rativi trovati quasi quotidianamente negli scavi. Nel 1745, l’intendente di Portici Bernardo Voschi rassi- curava il ministro Montealegre che, ogni volta che nei rapporti dell’Alcubierre era segnalata la scoperta di una pittura, era sua premura darne immediato avviso a Canart, il quale ne disponeva il distacco nel più breve

 

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tempo possibile 9 . Se non tutti gli affreschi raggiunsero la superficie, questo avveniva per le difficoltà tecniche incontrate nell’estrazione; tant’è che spesso si scelse di tagliare solo alcune porzioni di pareti dipinte, che furono poi riassemblate a posteriori, giungendo a com- porre dei pastiches per espresso ordine del re 10 (fig. 3). Nella prima fase degli scavi solo problemi di natu- ra conservativa impedirono il taglio di alcuni affreschi, ma è già a partire dagli anni Cinquanta del Settecento che si verificò una selezione più stringente, dettata da decisioni più ponderate 11 . Una scelta alquanto arbitraria, e poco giustificabi- le anche nell’ottica del tempo, fu quella di distruggere appositamente diverse pitture che, pur in buono stato di conservazione, si decise di non prelevare. Numerosi sono i casi in cui dettagli figurati furono rovinati con ‘picchettature’ volontarie che andarono ad incidere profondamente la superficie dell’intonaco 12 . Ben presto la mole di oggetti che venivano recu- perati cominciò ad affollare le stanze del Palazzo Reale di Portici, tant’è che il sovrano fu costretto a destinare un’intera ala della sua residenza per l’esposizione della collezione di antichità. Nel 1756, due anni prima dell’inaugurazione uffi- ciale dell’Herculanense Museum 13 , affidato alle cure di Camillo Paderni, si contavano più di 800 pitture, che furono organizzate per temi ed esposte in quella che divenne la vera e propria “Galleria reale” (fig. 4). Gelosissimo delle sue scoperte, il Re impose del- le sanzioni severe a chi faceva trapelare informazioni senza esplicita autorizzazione e fu piuttosto restio a concedere permessi di visita 14 . I pochi fortunati che erano ammessi nelle sale del museo dovevano svolgere il percorso guidati e controllati da un sorvegliante, sen- 9 Rapporto del 13 settembre 1745 conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli, cRA, f. 1537, inc. 133. Opportunamente segnalato in D’Alconzo 2002, 24. 10 «Se han buscado todos los pedazos del tóneca de órden de S.M. á voz, y de resultas se han presentado á ma misma M. del Rey 22 pedazos de tóneca de diferentes colores, y Canart ha recibido la orden de procurar á combinarlos con los otros pedazos que antecedetem. Se le han entegrado…» si legge in un rapporto del 1756 riportato in Ruggiero 1885, 189. 11 Su ruolo di Paderni in questo contesto, D’Alconzo 2002, 25-26. 12 Un dato interessante che va sottolineato nell’ottica di future ricerche è che mentre a Pompei e a Stabiae questo fenomeno è ben attestato a Ercolano non è registrato. Una probabile spiegazione sembra possa esse quella legata alle maggiori difficoltà di scavi clandestini, paralleli a quelli ufficiali. Infatti, mentre a Pompei e a Stabiae lo spessore e la natura dei depositi permettevano la facilità e la rapidità di scavo, a Ercolano la situazione era ben più complessa perché bisognava superare il fango durissimo e raggiungere profondità variabili dai -7 ai -20 metri dal piano di calpestio. 13 In precedenza la collezione era stata affidata a Canart e solo dal 1751 il Re decise di incaricare Paderni di sistemare i reperti per l’esposizione definitiva (Cantilena 2008, 73). 14 Si pensi che lo stesso Winckelmann faticò ad avere il permesso che ottenne solo grazie alla sua amicizia con il direttore Paderni. Allroggen Bedel 2008, 61; Ciardiello 2009, 137. 15 Anche al Winckelmann fu negato il permesso di disegnare le opere tant’è che nel suo Sendschreiben pubblicò uno schizzo poco preciso del busto con ritratto di Demostene. Lo stesso discorso vale anche per i disegni pubblicati dal conte di Caylus (Allroggen Bedel 2008, 61). 16 Ciardiello 2009, 138. za avere la possibilità di soffermarsi troppo a studiare i soggetti e soprattutto con il tassativo divieto di farne alcuna riproduzione a disegno 15 . La pressione esercitata dagli ambienti colti e dai circoli di antichisti costrinse il re Carlo ad attuare una strategia di difesa per arginare la fuga di notizie e so- prattutto le prime, non autorizzate, pubblicazioni del- le scoperte, come quella anonima stampata a Venezia nel 1748 16 .

Generico luglio 2024

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