Laura Marzadori: violino virtuoso per Cajkovskij

Questa sera alle ore 20, l’Orchestra Filarmonica di Benevento  torna al Ravello Festival diretta da Michele Spotti per far musica col primo violino del teatro alla Scala e completare la serata con la Quinta sinfonia di Ludwig van Beethoven

 Di Olga Chieffi

Ci sarà Michele Spotti oggi alle ore 20, sul podio del Ravello Festival, che nel terzo appuntamento della sua LXXII edizione ospita l’Orchestra Filarmonica di Benevento, al suo debutto sul palcoscenico di Villa Rufolo. Con Spotti l’orchestra presenterà quale solista il primo violino del teatro alla Scala Laura Marzadori, la quale dedicherà al pubblico internazionale del festival il Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op.35 Pëtr Il’ič Čajkovskij, musica pura, un gioco di suoni senza alcun rimando al mondo fuori di essa, ma ascoltandolo è difficile non sentirsi portati in un racconto di emozioni. Čaikovskij lo scrisse nel marzo del 1878 a Clarens, in Svizzera, dove era riparato dopo il disastroso fallimento del matrimonio con Antonina Milukova con il quale il compositore aveva cercato se non di risolvere, almeno di mimetizzare la sua omosessualità. La composizione è in parte ispirata al primo grande Concerto romantico, quello op. 64 di Mendelssohn. Il primo movimento, “Allegro moderato”, si avvale di una calibrata dialettica fra solista e compagine orchestrale, che sfrutta una invenzione melodica lirica e pregnante; la cadenza, come in Mendelssohn, è prima della ripresa e non al termine. La centrale “Canzonetta (Andante)” è un Lied di impronta popolare, basato sulla tenera cantabilità del solista. Il Finale (“Allegro vivacissimo”) è una pagina di trascinante vitalità, dove l’elemento zigano si converte in strepitoso virtuosismo; ma non mancano, nei vari episodi, pause liriche di raffinato lirismo, prima che la partitura venga suggellata da una brillante coda ad effetto. Il programma verrà inaugurato dall’esecuzione della V sinfonia di Beethoven L’orchestra regalerà la celeberrima quinta sinfonia di Ludwig Van Beethoven. È un Beethoven titanico, quello della Quinta. Ma è anche un Beethoven più asciutto e meno enfatico rispetto a quello dell’Eroica. La forma stessa è essenziale, senza espansioni retoriche, la coerenza interna rigorosa. I temi sono netti e concisi, come lo scarno inciso d’apertura, un motto di sole quattro note. Così si apre il primo movimento, l’Allegro con brio. Ancora sull’inciso “del destino” è fondato il primo tema, che percorre interamente la Sinfonia rendendola ulteriormente più solida ed unitaria. Proprio a questa estrema concentrazione tematica, a questa sobrietà di caratteri va ricondotta la grande efficacia espressiva che la Sinfonia in do minore esprime. Il primo tempo è forse la più perfetta applicazione della valenza tragica della tonalità di do minore, e della dialettica beethoveniana, basata sul contrasto di due idee, una veemente e una implorante; ma questa perfezione è dovuta innanzitutto alla configurazione icastica del tema – i celebri “tre più uno” colpi iniziali, esposti all’unisono – poi a una tecnica di elaborazione che fa percepire ogni dettaglio come logicamente consequenziale, necessario e imprescindibile; la seconda idea è solo un diversivo, nel fitto reticolato dell’elaborazione, che viene tuttavia interrotta da improvvisi silenzi e singole voci strumentali, dalla valenza angosciante ed interrogativa. In questo contesto l’Andante con moto, in la bemolle maggiore, non ha la semplice funzione di stemperare la tensione, ma piuttosto di mantenerla sempre sottesa; per questo il tema dei violoncelli che costituisce la tranquilla idea portante del movimento, cede più volte il passo ad una improvvisa accensione degli ottoni, che preannuncia l’esito di tanti conflitti. Con lo Scherzo si torna non solo alla tonalità minore iniziale, ma anche al medesimo inciso tematico, solo variato ritmicamente; è questo il movimento chiave per donare coerenza alla Sinfonia. Da una parte, infatti, il “motto” iniziale acquista, nella riproposizione, una valenza fatalistica (ma non bisogna dimenticare lo studio sul timbro, come il sibilo dei contrabbassi all’inizio, o il Trio contrastante, con entrate fugate); dall’altra parte il movimento sembra spegnersi nel nulla, con il “motto” sussurrato dai timpani, e sfocia invece in un episodio di transizione, tanto breve quanto decisivo, che congiunge direttamente i due ultimi tempi, attraverso un calibratissimo ed entusiasmante crescendo. Si approda dunque, col Finale, alla risoluzione di tutti i conflitti esposti, con una trionfale fanfara che è in realtà la conversione ottimistica dell’idea iniziale; non a caso, nella mirabile costruzione in forma sonata di questo finale, il secondo tema non è più, come nel primo tempo, in opposizione al primo, ma piuttosto complementare ad esso. L’unico momento di interruzione di questo entusiasmo consiste nella riapparizione di un frammento dello Scherzo, come ricordo delle ombre e delle sofferenze da cui sono venute le conquiste finali. Ma per sottolineare ancora la sapienza costruttiva di questo movimento, converrà riferirsi alla riesposizione, che ripropone il crescendo della transizione ma in forma abbreviata, per evitare la debolezza di una replica testuale, e ricordare l’energia propulsiva dei tantissimi accordi iterati delle ultime battute, sui quali grava il peso liberatorio non solo del movimento ma di tutta l’arcata evolutiva del capolavoro sinfonico.

 

 

 

 

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