Nel salone del barbiere: ricordi di Sigismondo Nastri

Nel salone del barbiere: ricordi di Sigismondo Nastri

Amalfi, vi riportiamo l’interessante ricordo di Sigismondo Nastri. Quando ripensa alla sua giovinezza, un sorriso affiora sulle sue labbra ricordando il piccolo locale di Vincenzo D’Alessandro, il suo barbiere di fiducia. Un luogo minuscolo in via Pietro Capuano, ma ricco di storie e incontri, che chiamava “Salone” con una vistosa tabella sulla porta. Oggi, da 53 anni a Maiori, Sigismondo continua a vivere quella tradizione con Mario, il suo barbiere attuale, riflettendo sulla straordinaria importanza di questi spazi di vita e comunità.

Ricordo che da ragazzo, ad Amalfi, il mio barbiere era Vincenzo D’Alessandro, atranese. Operava in un locale, in via Pietro Capuano, che sembrava un “mastrillo”, tanto era piccolo. Eppure sulla porta aveva una vistosa tabella con la scritta “Salone”. Se tu, entrando, eri un po’ distratto, rischiavi di andare a sbattere la fronte contro la parete dirimpetto.
Da quando sto a Maiori, da 53 anni insomna, vado da Mario, in via Nuova Chiunzi. Bravo e svelto.
Confesso una mia ignoranza: perché le botteghe dei barbieri si chiamano salone? Il dizionario mi dà questo significato: 《Locale ampio in cui opera un parrucchiere per uomo o signora oppure si praticano cure estetiche.》 A me non interessa parlare del parrucchiere per uomo, o acconciatore, o hair stylist, designer, scultore, architetto della chioma, poeta della ‘trico art’, come amano chiamarsi oggi coloro che svolgono questa attività.
A me interessa parlare del barbiere di una volta, quello che Peppino De Filippo, nel film Totò Peppino e i fuorilegge, definisce “missionario”. Una professione in via di estinzione, come tanti altri mestieri. Una professione soppiantata dal progresso. Dalle macchinette fai da te.
Eppure, il salone è stato sempre uno straordinario luogo d’incontro, di aggregazione. Lì si discuteva (si sparlava) di tutto: politica, sport, economia, donne. Il tempio del pettegolezzo. Il barbiere ascoltava le confidenze dei clienti, come se fosse un confessore. Se uno aveva bisogno di sapere qualcosa da chi andava? Da lui. Diceva il comico siciliano Angelo Musco che 《è meglio finire nella bocca di una cornuta che in quella del barbiere》, considerato secondo soltanto al prete. E spesso ne sapeva più di lui, dato che non tutti andavano a confessarsi.
A fine anno i barbieri regalavano un minuscolo calendario a fisarmonica, densamente profumato, con immagini a colori, quasi scolpite, di belle donne, il più delle volte in atteggiamenti considerati peccaminosi dalla morale dell’epoca. Ne ho ancora uno, d’inizio Novecento, conservato in un cassetto: Almanacco profumato del 1910, edito dalla Società di prodotti chimico farmaceutici A. Bertelli & C., “fornitori della Real Casa”, con sede a Milano in Via Paolo Frisi n. 26 ed esercizio di vendita in Galleria. E con altri “sontuosi magazzini” a Roma, Napoli, Torino, Genova e Palermo.
È ripartito in sette “pagine”, che si chiudono a fisarmonica, reca il timbro “Salone C. Di Pietro, Specialità in Profumeria, Potenza”.
Ricordo che ne circolavano, fino a cinquant’anni fa, con immagini di 《femmine appassionate, romantiche odalische, zingarelle birichine》, come scriveva Polese Ranieri il 13 ottobre 2011 sul Corriere della sera.
I barbieri, all’inizio dell’anno, ne facevano omaggio ai clienti più affezionati, che li custodivano con cura nel portafogli: perché erano 《veniali segreti – cito ancora Polese Ranieri – che i padri di famiglia tenevano nascosti》.

salone del barbiere

I saloni erano anche scuola per chitarra e mandolino. La tradizione vuole che il barbiere avesse una particolare vocazione per la musica. Spesso faceva parte di gruppi, chiamati ad allietare le feste di matrimonio, che si svolgevano rigorosamente in casa.
Le origini del lavoro del barbiere si perdono nella notte dei tempi. Presso i romani quest’attività aveva una reputazione notevole. Il buon cittadino dell’antica Roma gli faceva visita ogni giorno per tenersi in ordine. Per un adolescente la prima rasatura era un evento che segnava il passaggio al mondo adulto.
Dal barbiere si andava, si va ancora, per tutti i normali bisogni di pettinatura e taglio di capelli. Un po’ meno, per la barba. Ma, una volta, si ricorreva a lui anche per piccoli interventi chirurgici, per applicare le sanguisughe (era il rimedio più seguito per contrastare l’ipertensione), o per fare un clistere, incidere bolle e pustole, addirittura per cavare i denti.
Dal Medioevo il simbolo convenzionale usato dai barbieri è il palo rotante a strisce bianche e rosse. Passando con l’auto per il corso Garibaldi, a Salerno, se ne vede ancora uno fare bella mostra davanti a un salone.

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