Questa sera, alle ore 21, sul belvedere di Villa Guariglia, ospiti della XXVII edizione de’ “I concerti d’estate”, Gennaro Minichiello, violino Giovanna D’Amato, violoncello ed Ezio Testa, alla fisarmonica e due coppie di ballerini, Gisela Tacon e Nelson Piliu e Malena Veltri e Luis Delgado, ci renderanno partecipi dell’epopea di questa danza
Di Olga Chieffi
Con Astor Piazzolla, che sta al tango come Miles Davis sta al jazz, nasce il tango moderno. Il suo genio è il primo a sperimentare vie musicali nuove, il tango con il jazz, con altri impasti sonori, altri strumenti e armonie. Piazzolla, grande incompreso, esule volontario per anni in Italia, dove canta con Milva e suona con Tullio De Piscopo, Piazzolla che è genio di oggi, perché negli anni ’60 e ’70 la sua musica non poteva piacere ai puristi, ma neanche ai giovani che amavano la novità del rock, oggi, nel centenario della sua nascita, ci obbliga ad una riflessione su di un’eredità vastissima e non semplice da tramandare. La XXVII edizione dei Concerti d’estate di Villa Guariglia, tributa al padre del tango moderno un doveroso omaggio: stasera alle ore 21, sul Belvedere di Villa Guariglia, i riflettori su Astor Piazzolla e dintorni, ovvero il viejo tango, il nuevo e la strambata Galliano. Ci addentreremo in questo mondo sonoro con un trio composto da Gennaro Minichiello, violino Giovanna D’Amato, violoncello ed Ezio Testa, alla fisarmonica e due coppie di ballerini, Gisela Tacon e Nelson Piliu e Malena Veltri e Luis Delgado. La formazione ci introdurrà ai ritmi, i colori e le passioni della musica portena”, in quell’universo in cui la strada da Congo Square ai bordelli di Buenos Aires è veramente breve: operai e giocatori d’azzardo, prostitute, fuorilegge e tutta la varia umanità che approdava in quella babele, un’umanità fervida e dolente, triste e allegra, che nelle sale dei caffè e nei prostiboli, luoghi di un meticciato culturale appartenente alla stessa epoca, creava una nuova danza dal nome ammaliante, ricca di vibranti emozioni, il tango. Il concerto non utilizzerà il Tango come classica rappresentazione dell’Argentina ma verrà scomposto per ricomporlo, ognuno con il suo linguaggio: quello del jazz, del suono classico del violino, miscelati, ma sempre riconoscibili come le sabbie colorate nelle bottiglie. Utilizzando gli strumenti come colori si cercherà di sottolineare il pathos del romanzo scritto dal genio di Mar del Plata. Verrà, così, attivato quel melò rioplatense, quel romanzo ardente e frusciante che è fuga dal fantastico. Il tango è una espressione artistica originalissima, letteraria, estetizzante, individualista, esotica e trasgressiva, assimilabile alla commedia dell’arte e al jazz. Nel mantice della fisarmonica, la lunga lotta del tango contro i borghesi benpensanti e gli aristocratici che attaccavano la danza argentina, nata nei bassifondi, nei postriboli, praticata da ubriaconi e prostitute, di cui non venivano tollerate le posizioni così sconvenienti ed equivoche. Quella stessa lotta che italiani, ebrei, neri, cinesi, pellerossa, dovettero affrontare per sopravvivere e per essere accettati, andando a fondare le Americhe contribuendo alla nascita del jazz. La ricchezza dell’apparato tematico delle opere di Piazzolla, vivificato dal cimento e dall’invenzione degli strumentisti, nonché dalla propensione trasparente per un eloquio diretto, la forza propulsiva del sentire argentino, quella ripetizione ossessiva in progressione, di alcuni temi, quasi a voler significare che il normale spettatore deve ascoltare più volte quella particolare espressione musicale prima di poterla gustare, sarà la caratteristica di buona parte del programma, esaltante in Esqualo, quella sfida perenne tra mantice e violino, simbolo di quel popolo che si è messo finalmente in moto, in viaggio, con la sua musica, il suo simbolo, il “Mito” del tango che allora nasceva. La figura di questo compositore originalissimo in un viaggio evocativo nel cuore della sua vita e della sua musica, attraverso le composizioni più rappresentative della sua produzione. Piazzolla, è stato un grande innovatore. Ha avuto forza e coraggio di rigenerare il tango tradizionale per farne, con l’aiuto di musica classica, jazz e dodecafonia, un genere definitivamente universale. Una rivoluzione della musica argentina che gli provocò non pochi nemici nel suo Paese. In Argentina il tango è un simbolo, una bandiera, una maniera di vivere. Intoccabile, inscalfibile. E purtroppo, come tutti gli innovatori, anche Piazzolla, con la sua opera ha pagato a caro prezzo il desiderio di cambiare la tradizione fino a essere definito “l’assassino del tango” da chi non riusciva ad accettare un modo di intendere questo straordinario universo musicale che non fosse quello di Carlos Gardel. Ma Piazzolla non ha ucciso il tango, anzi, al contrario, lo ha fatto rivivere a livelli altissimi: lo ha estrapolato dai bassifondi di Buenos Aires per portarlo nelle sale da concerto di tutto il mondo. Quindi, faremo un lungo viaggio attraverso i virtuosismi di questa danza, da Cancion de La Venusianas, nata dall’incontro con di Piazzolla con Horacio Ferrer, alla celebre Adios Nonino Adiós Nonino, dedicata al padre Vicente “… ha un tono intimo – scrisse lo stesso autore – sembra quasi funebre e, senza dubbio, questo tango, nel genere ruppe tutto. Era un periodo in cui quasi tutti i temi avevano un ritmo molto incalzante, invece, Adiós Nonino terminava al contrario, come la vita, se ne andava uscendo, si spegneva”. Piccolo portrait di Carlos Gardel, El Morocho, con “Por una Cabeza”, un tango composto dalla premiata ditta Carlos Gardel e Alfredo Le Pera, nel 1935, dedicato al mondo delle corse dei cavalli. L’incollatura, la cabeza in spagnolo, è nel gergo ippico una unità di misura e corrisponde alla testa di un cavallo, piccolo vantaggio che può determinare la vittoria o la sconfitta in una corsa, quindi, nella vita. Ancora Guardia Vieja con La Cumparsita, un tango uruguagio firmato da Matos Rodriguez, prima di fare un’incursione con l’erede francese di Piazzolla con il tango musette di Galliano e il suo “Tango pour Claude” che lo lanciò come pupillo dell’argentino che però diceva che tra la fisarmonica e il bandoneon c’è la stessa differenza che passa tra un limone e un’arancia: per il grande musicista argentino lo strumento di noi italiani era effervescente, acuto, allegro, al contrario dell’interprete privilegiato del tango, segnato da un’aura di malinconia. Piazzolla incontrò Richard per la prima volta intorno al 1980 in un concerto all’Olympia e l’unica cosa che gli rimproverò fu unicamente di non suonare il bandoneon. Seguirà ancora una evocazione del duo Piazzolla Ferrer con Chiquilín de Bachín, datato 1969 e dedicato ad un ragazzino di undici anni che, per portare a casa qualche soldo, girava tra i tavoli del Bachin vendendo fiori. Si chiamava Pablo Alberto González. Il contrasto tra i clienti che mangiavano sazi e soddisfatti ai tavoli e la povertà del bambino ispirò quel brano dedicato al venditore di rose. Quindi i grandi classici, il lento, dolcissimo, a tratti struggente Oblivion, che Piazzolla scrisse nel 1984, per la colonna sonora del film Enrico IV, di Marco Bellocchio e Violentango non vicinissimi a certo “purismo” filologico per spaziare liberamente tra contaminazioni varie ritenendo e rendere un buon servizio allo spirito del Tango, nato anch’esso dalla commistione di ritmi, etnie, musiche, suggestioni incontratesi quasi per caso nei vicoli e nei bordelli di Buenos Aires. Vuelvo al Sur”, un meraviglioso e struggente tango la cui musica è stata composta da Astor Piazzolla e il testo da Fernando Solanas che fa parte della colonna sonora del film Sur di cui è regista lo stesso Fernando Solanas e parla del ritorno, alla fine della dittatura, in Argentina, prima di passare per Meditango e S’ il vous plait e chiudere con “Don’t cry for me Argentina di Webber.