Overtourism: una parola sulla bocca di tutti, per alcuni il problema è quello dei nuovi “Cafoni”, ricchi di denaro ma poveri di spirito, per altri solo le masse nel 10% dei luoghi più visitati.
Che vive in città e borghi d’arte lo sa: dai dati ufficiali risulta che l’80% dei turisti visita solo il 10% delle mete turistiche disponibili, condizionati soprattutto da cineturismo, social-media, vip ed influencer. Da una promozione errata, che crea aspettative fuorvianti e scollate rispetto alla realtà, non proporzionate all’effettiva capacità di “capienza” dei luoghi, non sostenibile, che è diventata una delle principali cause del sovraffollamento turistico.
Raccontare il patrimonio paesaggistico e culturale con immagini artefatte, non è il modo migliore per porgere il valore che merita un territorio: i frequenti danni provocati dal turismo irresponsabile, sono l’inevitabile risposta al modo in cui le nostre località più pregiate vengono promosse sui media.
Recentemente l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), ha avviato dei procedimenti istruttori nei confronti di alcuni influencer per aver pubblicato foto e video con brand e strutture turistiche, senza dichiarare la reale natura promozionale.
Tali casi vengono attenzionati per il rischio di frode fiscale, ma non per i danni riconducibili all’overtourism, un fenomeno incoraggiato proprio da questo tipo di pubblicità, incontrollata e controproducente per alcuni luoghi a scapito di altri.
L’articolo 9 della Costituzione Italiana, riconosce tra i principi fondamentali quello di tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni. Eppure i danni legati al turismo sono in aumento: dai “cafoni ricchi” di Capri ai “nudisti” notturni di Ravello, dalla folla claustrofobica di Positano, al dilagare dei b&b in Penisola Sorrentina, all’eclatante “tag” sul muro di Ercolano, agli incendi nei Parchi Regionali, solo per fare alcuni esempi tra quelli a noi più vicini.
Assurdi episodi, che sono però solo il “sintomo” di un “male”: l’incapacità di gestire i flussi turistici, l’inconsapevolezza ed impreparazione delle comunità residenti e dell’intera filiera che governa il territorio, che non riesce a realizzare una fruibilità sostenibile, in grado di scongiurare il consumo stesso dei beni.
Istituire ticket ingresso, inasprire le punizioni o iniziare campagne anti-turismo con l’aumento dei costi di trasporto, sono tutti palliativi per attutire nel breve dei sintomi, dato che nel prossimo decennio, la circolazione turistica sul territorio italiano, è stimata tre volte maggiore, sicché probabilmente si sarà costretti a “chiudere”, per riuscire a preservare il patrimonio.
Nei nostri borghi al calo dei residenti si contrappone l’aumento degli spazi affidati a gestori e commercianti per concessione, come nei centri commerciali, ignorando il sacrosanto concetto di base, secondo il quale il diritto all’accesso al patrimonio culturale e naturalistico, non si può valutare semplicemente in base ad un prezzo.
Dai musei alle particolarità paesaggistiche di pregio, dai sentieri dei parchi regionali tutelati a quelli archeologici, le attività di “promozione” messe in atto stanno trasformando tutto in un “prodotto” soggetto alle regole del mercato, cosicché da diritto inalienabile e fondante per la costituzione, questi patrimoni pubblici sono diventati quasi solo beni di consumo.
Rielaborare l’educazione al patrimonio è un passo indispensabile: al diritto di fruizione va corrisposto il dovere di tutela, secondo il principio che la cultura non si può ridurre ad intrattenimento per tour festivi, come un driver di rotte turistiche.
Una tale inversione di tendenza presuppone idonee competenze di “management turistico”: il filosofo Stefano Zecchi, professore di estetica all’Università di Milano, in un’intervista sull’argomento, sorridendo ha ironicamente parlato di “esame”, ai turisti che si accingono a visitare Venezia!
Mettendo da parte i “massimi sistemi” tuttavia, almeno giornalisti e pubblicisti potrebbero astenersi dal diffondere a cascata notizie su presunti “avvistamenti” di vip, o cronache di lussuose vacanze patinate, così come gli operatori del settore non vanno illusi che un cambio di passo non comporti la riduzione del numero di visitatori!
Nelle ore dello sfregio del “graffito” di Ercolano, si annunciava con orgoglio l’ennesimo “record” di 30mila ingressi giornalieri a Pompei. Ogni record tuttavia, per natura nasce per essere superato, tuttavia inseguendo questa retorica, il rischio è quello di avere sempre più gente, con la conseguenza inevitabile, di un consumo ed un danno sempre più accelerato.
Molto meglio alzare la qualità, rivolgersi a un pubblico ampio, ma senza abbassare il livello dei contenuti, proporre una conoscenza profonda con la giusta lentezza di percorrenza dei territori, affidando il giusto valore alle figure di alta professionalità che si occupano del patrimonio culturale ai massimi livelli.
Non occorre rinunciare alla totalità del turismo, ma solo a quel “visitatore veloce” che invade in maniera incontrollabile alcune località concentrandosi nei weekend, inconsapevole del valore del patrimonio che si accinge a visitare.
La ricchezza e la diversità è spesso ignorata da questo tipo di visitatori, così come anche dai residenti, che nauseati dal carosello infernale del turismo, non sono più motivati alla conoscenza della loro stessa “casa”, cosicché i luoghi, svuotati dalla vita partecipativa della comunità autoctona, finiscono per diventare asettiche “architetture”, dove la visita non è più un’esperienza formativa ma solo una carrellata di immagini da immortalare nei selfie, nell’egocentrismo di non comunicazione col mondo reale.
Il turismo è un settore a bassa produttività e definirlo il “petrolio d’Italia” è un abbaglio: se intensivo prospera solo perché riesce a scaricare i costi sulla comunità…