Piano di Sorrento, Giacomo Franci incanta la platea sorrentina di Villa Fondi con il suo progetto “Classicismo e Romanticismo in Bianco e Nero” foto

Piano di Sorrento (NA) Mercoledì 14 agosto sulla splendida terrazza belvedere di Villa Fondi, nell’ambito della rassegna “Estate Blu 2024” si è tenuto il concerto del pianista toscano di nascita ma newyorchese d’adozione Giacomo Franci. L’evento, organizzato dalla Società dei Concerti di Sorrento con la direzione artistica del M° Paolo Scibilia, ha registrato la partecipazione di un pubblico attento e numeroso che alla fine ha tributato più di un applauso alla performance dell’artista italo americano. Giacomo Franci, 59 anni, come scrivono i colleghi de “Il Tirreno”: vive suonando e componendo. Il Maestro ha una sua orchestra, i New York Chamber Players (quaranta musicisti con cui esegue tutto il repertorio classico per orchestra e per pianoforte e orchestra), incide dischi, si esibisce in concerti in tutto il mondo, dalla Carnegie Hall di Manhattan a Pechino, la nuova frontiera. In Italia torna spesso a Massa dove vive la sua famiglia di imprenditori del marmo con oltre mezzo secolo di tradizione. Mercoledì sera a Villa Fondi ha presentato il suo progetto “Classicismo e Romanticismo in Bianco e Nero” dedicato a “La Tempesta” di Beethoven, il Notturno nr.1, lo Scherzo nr.2 e la ⁠Polacca Op. 53 di Chopin, con un omaggio finale a Paganini – Liszt con la trascrizione per pianoforte del celebre Studio nr. 3 “La Campanella”, scritto originalmente per violino solo da Paganini. Lo stesso Giacomo Franci, in sede di presentazione aveva dichiarato: “Ho scelto di eseguire la Sonata 31 no.2 La Tempesta di Beethoven perché è una delle mie preferite. Il primo ed il terzo movimento, secondo me, esprimono la voglia di equilibrio dell’individuo anche se agenti interni a sé stesso od esterni a sé stesso compromettono spesso questo equilibrio. Da qui il titolo “La Tempesta” che sempre secondo me può essere un elemento esterno come spiega il titolo: come un tornado in Florida, che spacca tutto e provoca gravi problemi…. Ma la stessa cosa può avvenire all’interno della persona. Da qui la ricerca della risoluzione (equilibrio di cui ho parlato prima). Il secondo movimento rappresenta per me il raggiungimento della risoluzione od equilibrio. Inciderò questa sonata a settembre nel sesto CD dell’opera completa delle sonate di Beethoven. I pezzi di Chopin sono fra i più famosi: la bellissima melodia del Notturno no.1 che è divisa fra sentimenti di malinconia e di dolcezza, lo Scherzo no.2 che con le prime 4 note (la, si bemolle, re bemolle, fa) rappresenta una domanda a cui non si trova una risposta effettiva. È forse una domanda angosciante? Forse sì… È una domanda che riguarda la nostra esistenza? Probabilmente sì…. Chopin prova chiaramente a rispondere alla domanda, con sentimenti di dolcezza (come nel secondo tema) ma il sentimento dominante è sicuramente quello della rabbia ed il disappunto che regna abbastanza sovrano fino alla fine del pezzo. La Polacca Eroica è un pezzo famosissimo e appunto rappresenta l’eroe che vince su tutte le traversie della vita. Quindi “La Campanella”, che è una trascrizione di Liszt per pianoforte dal pezzo di Paganini per violino. Immaginate tutte le sfaccettature musicali che hanno ispirato Paganini e Liszt dal suono di un piccolo campanellino!” A Giacomo Franci ispirato interprete capace di emozionare sempre il suo pubblico, anche quando composto da esperti,  ho avuto il piacere e l’onore di realizzare l’intervista che segue.

Giacomo FranciGiacomo Franci a Villa Fondi

Buonasera Maestro e complimenti per l’ottima performance, iniziamo dall’emozioni, quelle che Ravel sottolineava: “vengono sempre prima di tutto”. Lei stasera ne ha regalate molte, una in particolare però ha commosso Lei e noi, quella legata all’esecuzione di “Anima e Core” del sorrentino Salvatore D’Esposito, ce ne vuole parlare?

– Ho pensato di dedicare questo brano, il bis chiestomi dal pubblico di Villa Fondi a Michele Orsino, che tra l’altro era napoletano. Le spiego, arrivato a New York avevo bisogno di un lavoro, lui mi offrì il mio primo contratto nel suo ristorante. Michele in quel locale aveva un pianoforte, e dopo avermi sentito suonare mi chiese di esibirmi nel suo locale a tempo pieno. Uno pensa al pianobar e crede che sia una cosa da poco, io però praticamente ho suonato il pianoforte che prima di me avevano suonato Liberace prima e Nat King Cole poi. Grazie a Michele Orsino ho imparato a conoscere i segreti della Grande Mela a capire perché è la Capitale del mondo. Michele mi chiedeva di suonargli sempre “Anima e Core”, ecco perché stasera a distanza di tre anni dalla sua scomparsa, l’ho voluta suonare su una terrazza davanti dal Golfo di Sorrento, e ho scoperto con il pubblico che il dolore e l’emozione che sento quando la interpreto pensando al signor Orsino è sempre vivo.

Non sbaglio se dico che New York è la sua vita oramai?

– Sì, non sbaglia. New York è dove vivo e dove ho formato anche la mia orchestra, chiamata New York Chamber Players, appunto, con la quale realizzo produzioni regolarmente alla Carnegie Hall. Suono, lavoro e insegno a New York tutto l’anno, d’estate invece di solito vengo in Italia per concerti.

Il suo rapporto con il pianoforte?

Il pianoforte è come se mi avesse stregato fin da bambino. Posso dire che sono stato scelto dal pianoforte, nel senso che la prima volta che ho visto un pianoforte, l’ho suonato. I miei erano entrati in un negozio di arredamento. Avevo sette anni e in una delle sale c’era un piano, mi avvicinai alla tastiera e cominciai a suonare un brano a orecchio, ricordo anche che pezzo: Luci della Ribalta di Charlie Chaplin. Gli altri clienti si  meravigliarono e chiesero a mia mamma da quanto tempo prendevo lezioni di pianoforte. Mia madre, più sorpresa di loro, disse che era la prima volta che vedeva suo figlio suonare un pianoforte. Posso confessarle, a distanza di tanti anni, che quel giorno ero stato attratto dai tasti bianchi e neri, gli stessi della tastierina che mi avevano regalato a Natale, una Bontempi. Andò così.

Mi parla invece del suo rapporto con la musica di Copland, quando ha scoperto questo grande compositore?

A me piace il discorso tonale di Copland, in particolare il pezzo “Cat and Mouse”, che rispecchia le lezioni che aveva preso da Nadia Boulanger (1887 – 1979 N.d.A). Copland è venuto fuori perché io collaboravo con l’etichetta discografica Fonè, praticamente il CEO, anzi per essere più precisi l’ingegnere del suono della label aveva chiesto di occuparmi di un compositore americano, visto che avevo scelto di stare a New York. All’inizio provai a leggere la musica di Charles Ives (1874 – 1954 N.d.A), ma, come dirle, non mi calzava, non la sentivo vicina alle mie corde. Così decisi di studiare Copland che mi aveva impressionato anche per il rapporto con la mitica Boulanger grazie alla quale aveva imparato a conoscere compositori antichi e moderni, come Monteverdi, Bach e Ravel.

Invece la scelta di Stravinsky?

Stravinsky è venuto fuori dopo il progetto musicale su Aaron Copland, che aveva registrato un grandissimo successo di critica. Nel 2010, a dodici anni di distanza da Copland Complete Edited Piano Works, sempre per la Fonè lavorai all’opera di Stravinsky. In questo caso fui io a proporlo alla label. Chiesi e ottenni un’audizione su alcuni pezzi di Stravinsky, fui convincente e così mi proposero l’esecuzione dell’intera produzione. Ricordo che ci lavorai una settimana. Ero sempre chiuso nello studio, dove praticamente mi capitava anche di dormire. Era l’adrenalina a tenermi desto, credo che chiudevo gli occhi solo per 3-4 ore a notte. Cominciavo alle 10 del mattino e finivo alle 3 del mattino del giorno dopo.

Una riflessione sul progetto musicale di stasera?

La Tempesta è uno di quei brani che suono da quand’ero ragazzo, e sempre su questa sonata sto lavorando ad un progetto che uscirà a settembre. Mi piace proporla al pubblico così come il Notturno e lo Scherzo di Chopin proprio perché sono famosi. A me piace proporli proprio perché sono strafamosi. Ogni volta, grazie a loro, si crea un certo feeling con il pubblico che adoro. Atri musicisti potrebbero innervosirsi, spaventati dall’idea che chi li ascolta conosce a memoria ogni nota della composizione interpretata, perché in questo caso la critica per un’esecuzione mediocre sarebbe feroce, ma a me questo non preoccupa, io suono per il pubblico e un pubblico che mi segue su ogni nota lo trovo ancora più stimolante, si crea un feeling impagabile.

Infine mi tolga una curiosità, a questo punto della sua vita, si sente più toscano o più newyorchese?

Le potrei rispondere che sono un toscano che parla inglese o meglio un newyorchese d’adozione che ha conservato l’accento toscano. Non vedo grandi differenze tra l’essere toscano o newyorchese, salvo forse che il loro umorismo è meno salace e graffiante del nostro, per farle un esempio, il Benigni dei primi tempi, non credo che sarebbe stato apprezzato.

Grazie

a cura di Luigi De Rosa

 

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