11 settembre 1943, data storica per la Penisola Sorrentina. Le truppe tedesche affondavano la motonave “Giovannina”

11 settembre 2024 | 11:34
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11 settembre 1943, data storica per la Penisola Sorrentina. Le truppe tedesche affondavano la motonave “Giovannina”

30 vittime tra morti e feriti

L’11 Settembre del 1943 fu per la penisola sorrentina il giorno più tragico tra quelli che seguirono la proclamazione dell’armistizio. Era un sabato e nelle prime ore del pomeriggio la “Giovannina”, motobarca dei fratelli Aponte di S. Agnello, cadde sotto il tiro dell’artiglieria tedesca mentre a due miglia dalla costa navigava tra Torre Annunziata e Castellammare di Stabia.
La “Giovannina” era una tipica feluca sorrentina, di 14 tonnellate, dotata di motore e di una vela latina ausiliaria; varata nel 1902 nei cantieri della Marina di Cassano ed adibita al trasporto passeggeri fra cui i “Corrieri Sorrentini”, precursori dell’odierno pacco celere. Costoro, nei caratteristici abiti da marinaio in tela grigia o blu, assicuravano i trasporti minuti fra Sorrento  e Napoli  fin da epoche remote.
Nelle loro bisacce e panare portavano di tutto: lettere, plichi, documenti, preziosi, olio, latticini e altro ancora. Erano passeggeri e marinai al tempo stesso, collaboravano nello stivare il carico, alla manovra e nel governo di vela e timone; il più anziano fungeva spesso da bigliettaio e da collettore di offerte “à nferta”  in suffragio delle anime sante del purgatorio, cui era dedicata la chiesuola della Marina di Cassano.
Dai primi di settembre solo la “Giovannina” e la “Principessa di Piemonte”, della SPAN, collegavano ogni giorno la penisola con Napoli in quanto i tedeschi avevano bloccato quelli via terra (verso Castellammare).
La mattina dell’11 settembre da Napoli arrivano notizie allarmanti, il capoluogo partenopeo in mano ai tedeschi era “come una città assediata, mancavano viveri, di ogni mezzo igienico”, questo e l’ordine della Capitaneria (navigazione entro due miglie dalla costa) indussero  i Fratelli Aponte ad anticipare la partenza di un’ora.
Mollato l’ormeggio, con oltre 100 passeggeri, la motobarca puntò prima  su San Giovanni a Teduccio e da qui verso lo scoglio di Rovigliano, antistante Torre Annunziata. Appena doppiato questo la “Giovannina” incrociò il  Sant’Antonio (motobarca militarizzata dei Fratelli Savarese di Vico Equense) che navigava a tutta forza verso il largo. Giuseppe Aponte e Mariano Lauro ricordano che a bordo avvertirono di non avvicinarsi al porto che ormai, dopo aspri combattimenti, era caduto in mano tedesca. Subito dopo però una prima granata esplose a pelo d’acqua appena 50 metri dietro la barca; dopo un minuto ne cadde una seconda. Era l’esplicito ordine, come sostiene Mariano Lauro, di accostare ma da bordo non si diede ad intendere di volerlo ascoltare, anzi qualcuno ordinò : “Votta fora” (“dirigi verso il largo”).
La mancata osservanza dell’intimazione ad accostare per farsi identificare ingenerò nei tedeschi il sospetto che si trattasse di un natante nemico e giunse così una terza granata che, esplodendo a circa un metro dalla barca provocò lo sfondamento della murata e di gran parte della poppa.
Fu l’inizio della tragedia. Per prima cosa lo spostamento d’aria provocato dallo scoppio scaraventò in mare una decina di passeggeri mentre la barca, con il motore in avaria e crivellata di schegge, sbandata su di un fianco, iniziava una lenta rotazione per essere caduto in mare anche il timoniere Giuseppe Aponte, ferito ad un ginocchio che sul suo diario di bordo poi scrisse: “… i colpi partivano da terra e in breve urla strazianti si levarono da ogni parte. Mio Zio Luigi, con il collo squarciato da una scheggia perdeva sangue a fiotti e stava per cadere in mare per l’improvviso sbandamento della nave, nello sporgermi per trattenerlo avvertiii un dolore fortissimo al ginocchio e caddi in mare, colpito a mia volta”.
Fortunatamente qualcosa indusse i tedeschi a sospendere il fuoco e il natante, a velocità ridotta, con un corriere al timone, tale ‘Taturiello detto Anatroccola, andò ad arenarsi sulla spiaggia di Pozzano.
Nel timore che la nave stesse affondando però molti si tuffarono tentando di mettersi in salvo a nuoto e fra questi Michele “e Zaccheo” che di questi terribili momenti conserva questi ricordi: “…. debbo la mia vita all’unico bottone della mia mutanda militare. Sulla G. mi ero disfatto della mia divisa di marinaio per sfuggire all’ eventuale cattura ed ero rimasto in mutande, ma la presenza di numerose donne fra i passeggeri mi indusse ad appartarmi per reindossare almeno i pantaloni; e tale circostanza rappresentò la mia salvezza in quanto mi consentì di allontanarmi, appena in tempo, dal punto dove esplose la terza granata che provocò la strage. Così mi lanciai in mare e iniziai a nuotare verso lo Scraio. Il mare era calmo e così potei soccorrere almeno sei naufraghi assicurandoli a dei relitti di legno e a richiamare l’attenzione del Sant’Antonio che navigava nei paraggi nonostante fosse stato inquadrato a sua volta, da una selva di ben sei granate cadute per fortuna in acqua. Cessato il cannoneggiamento, in quanto i tedeschi si erano resi conto della nostra innocuità, anche io fui raccolto dal Sant’Antonio che si diresse verso il porto di Castellammare dove intendeva sbarcarci. A circa cento metri dalla costa preferii rituffarmi in mare in quanto, per essere un marinaio disertore, temevo di poter essere arrestato dai miei stessi camerati ed anche perché volevo, con suprema incoscienza, recuperare il mio zaino che avevo lasciato sulla G., arenatasi nel frattempo sulla spiaggia di Pozzano. Raggiunsi la riva nei pressi della nave già piantonata da diversi militari germanici, che con le armi spianate, m’ingiunsero di avvicinarmi per identificarmi: fortunatamente mi ritennero un civile e mi consentirono di andare sulla G. a cercare le mie cose. Salii così per l’ultima volta sulla barca e restai sconvolto alla vista del sangue e dei resti umani disseminati in prossimità del punto dove era esplosa la granata. Recuperato lo zaino mi allontanai verso la strada alla ricerca di un mezzo per tornare a Piano dove giunsi verso sera, con uno degli ultimi tram in servizio”.
Mentre Michele “e Zaccheo” viveva quest’avventura Giuseppe Aponte, stremato e sanguinante, raggiungeva la riva aggrappato a un relitto e qui fu soccorso dal Dottor Sassi che, insieme ai militari di sanità tedeschi, era accorso dal convalescenziario del Quisisana, da dove avevano assistito al tragico evento.
In Penisola quella fu una tragica sera. Appena diffusasi la notizia molti partirono per prestare soccorso. Il giorno successivo, il 12 Settembre, di domenica, si svolsero i funerali delle vittime e grande commozione suscitò il passaggio delle bare dei vecchi Aponte uniti nella morte come insieme avevano trascorso la loro lunga esistenza sul mare.