Accadde oggi: la tragedia del Vajont con 1918 vittime dell’incuria umana. L’allarme lanciato da una giornalista
Accadde oggi: la tragedia del Vajont con 1918 vittime dell’incuria umana. L’allarme lanciato da una giornalista . Incuria, indifferenza, arroganza, presunzione e superficialità, che ancora oggi ci sono , anche a livello locale, anche fra la costa di Sorrento e Amalfi, di cui ci occupiamo, quando le istituzioni sono infastidite dalle segnalazioni .
Il 9 ottobre 1963, alle ore 22.39, 260 milioni di metri cubi di terra si staccarono dal monte Toc franando nel bacino della diga del Vajont, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. La frana sollevò un’onda di cinquanta milioni di metri cubi. Solo la metà scavalcò di là della diga, solo venticinque milioni di metri cubi d’acqua ma furono sufficienti a spazzare via dalla faccia della terra cinque paesi: Longaron e, Pirago, Rivalta, Villanova, Faè. Nella tragedia persero la vita 1918 persone, tra cui 487 bambini e adolescenti.
La diga, gioiello dell’ingegneria italiana, restò in piedi. Era stata costruita dalla Sade, ente gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, per produrre energia e “pompare” il boom economico post guerra.
L’evento fu dovuto a una serie di cause, di cui l’ultima in ordine cronologico fu l’innalzamento delle acque del lago artificiale oltre la quota di sicurezza di 700 metri voluto dall’ente gestore, operazione effettuata ufficialmente per il collaudo dell’impianto, ma con il plausibile fine di compiere la caduta della frana nell’invaso in maniera controllata, in modo che non costituisse più pericolo. Questo, combinato a una situazione di abbondanti precipitazioni meteorologiche e a forti negligenze nella gestione dei possibili pericoli dovuti al particolare assetto idrogeologico del versante del monte Toc, accelerò il movimento della antica frana presente sul versante settentrionale del monte Toc, situato sul confine tra le province di Belluno (Veneto) e Pordenone (Friuli-Venezia Giulia). I modelli usati per prevedere le modalità dell’evento si rivelarono comunque errati, in quanto si basarono su una velocità di scivolamento della frana nell’invaso fortemente sottostimata, pari a un terzo di quella effettiva.
Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della Sade i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico. Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità peraltro ritenuta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono dolosamente i dati a loro disposizione con il beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei Lavori Pubblici. Non si trattò, quindi, di un fenomeno naturale ma di una tragedia provocata
Oggi il Vajont è il simbolo della catastrofe che si doveva e poteva evitare. Non un fenomeno naturale, ma una tragedia, una delle tante, provocate dall’uomo.
Molti dimenticano che una grande giornalista fece di tutto per evitare questa tragedia, subì minacce, persecuzioni e una denuncia. Questa era Tina Merlin. Viene ricordata, più che per la sua pur ricca produzione letteraria, per avere aiutato, con caparbietà e ostinazione, a mettere in luce la verità sulla costruzione della diga del Vajont. Dando voce alle denunce degli abitanti di Erto e Casso, riuscì a mostrare i pericoli che avrebbero corso i due paesi se la diga fosse stata effettivamente messa in funzione. Inascoltata dalle istituzioni, nel 1959 il conte Vittorio Cini, ultimo presidente della SADE, fece denunciare la giornalista dai carabinieri di Erto per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico” tramite i suoi articoli, ma lei fu processata e assolta il 30 novembre 1960 dal giudice Angelo Salvini del tribunale di Milano perché il fatto non costituiva reato. Pochi anni dopo , purtroppo, con la tragedia, si dimostrò che aveva ragione.