Giuseppe Di Lieto: un pittore funambulo tra la meraviglia e il sogno
Rileggere l’esperienza artistica di Giuseppe Di Lieto, oltre quarant’anni di pittura, quasi tutti dedicati all’immagine di Positano, fino a farne un’icona, obbliga a riflettere sui concetti di meraviglia e di sogno. Cos’è la meraviglia, sentimento di stupore essenziale e indispensabile che sollecita l’approccio dello sguardo con il mondo, con l’improvvisa, inaspettata realtà che si palesa ai nostri occhi? È lo stupore che si fa deterrente di un sentimento alimentato dal desiderio, direi la necessità di esplorare il mondo: il desiderio di conoscenza.
Nell’opera di Di Lieto è la meraviglia il punto centrale di uno stato emotivo spirituale, uno stato di estasi che guida l’immaginario dell’artista in un percorso creativo, intrecciando la dimensione morale, l’amore profondo per la sua terra, per quei luoghi eletti, nel tempo, come ‘paesaggi’ dell’anima reiterati sulla tela e la scelta estetica di un linguaggio naïf, proprio del sogno.
Di Lieto muove, quindi, il suo sguardo tra la meraviglia, quale sentimento di stupore, e il sogno che, per Freud, realizza un desiderio sollecitato dalla sfera dell’inconscio, in quanto appagamento di un desiderio o, meglio ancora, “è la soddisfazione di un desiderio”.
Per l’artista positanese desiderio è cristallizzare la meraviglia, in pratica la visibilità, nell’accezione proposta da Italo Calvino, del primo incontro con la realtà del paesaggio della costa che incornicia Positano, quando vi è arrivato, da Ravello, negli anni Cinquanta. Una realtà che non è solo visione della natura, quanto di una vita lontana dal ‘chiasso metallico’ delle metropoli: un angolo del Mediterraneo arcaico, ove la vita scorre lenta e silenziosa ma, al tempo stesso, è animata da artisti, scrittori, cineasti, poeti, musicisti, flâneurs internazionali che in quel decennio decidono di vivere senza passato.
Positano si presta a tale vita, per il suo paesaggio di case bianche che scivolano fino al mare, protette dalle vette dei monti, per l’azzurro intenso del mare sul quale ‘galleggiano’ le isolette de Li’ Galli, per i bar e i bistrot, allineati ai lati della scalone dei leoni sulla marina. Sono questi gli elementi della narrazione che Di Lieto mette in campo unitamente allo spirito di una joie de vivre che rapisce e incanta l’umanità che vi abita. “Come minuscoli porti – scriveva Siegfried Kracauer ricordando i soggiorni sulla costa – dai quali si può partire, i bar si estendono nella terra ferma delle città del Sud. In essi gli elementi di un’esistenza sicura vengono messi nella stiva senza riguardo al loro rango, le strutture dei palazzi non resistono al riflesso deformante degli specchi. Così chi abbandona il porto perde il senso per la misura della vita che lascia dietro di sé”. Per Di Lieto questi ‘minuscoli porti’, assumono i segni, i colori di una condizione spirituale di un luogo, scrive Walter Benjamin nel breve racconto dedicato a Positano, Il silenzioso, che “non aveva nel sogno nulla di quello reale”.
Gli anni Cinquanta segnano per l’Italia un momento di passaggio dalla fase della ricostruzione post-bellica, avviata nella chiusa del decennio precedente alla rinascita economica e sociale che porterà alla stagione del ‘miracolo economico’ il cui abbrivio si allunga nei primi dei Sessanta. Una rinascita culturale e sociale – come ho avuto già modo di rilevare in Terrazze al sole –, pervasa da una joie de vivre, che riflette il rilancio economico, il rinnovarsi della socialità all’insegna della ‘Dolce vita’, alimentata dalle pagine patinate dei rotocalchi del tempo: sono il cinema, le arti, la moda a tradurre tale contesto creativo e ad affermarlo sulla scena internazionale.
Il decennio del ‘miracolo economico’ chiude definitivamente la pagina della ricostruzione post-bellica e proietta l’Italia a proporsi quale meta del contemporary voyage nel Mediterraneo, ambita, in particolare, dal turismo nord-americano:la Costa Azzurra, Palma de Maiorca, Portofino, Taormina, la Costa d’Amalfi, in primis
Positano, saranno le icone di quell’ebbrezza che la società occidentale vive: le loro spiagge fanno da passerella alle figure del nuovo jet set internazionale e, come accennato, ad artisti, scrittori che trovano riparo dalle inquietudini che lievitano nelle metropoli. Negli anni Sessanta tornano le ombre della guerra, la contestazione invade le strade dell’intero pianeta: la crisi violenta tra generazioni è alle porte.
A Positano si ritrovano giovani artisti provenienti da paesi diversi, in particolare statunitensi spinti dalla curiosità, sollecitata dal più volte ricordato articolo che John Steinbeck dedica al piccolo centro all’estremo della penisola sorrentina amalfitana, apparso nel 1953 nella rivista “Harper’s Bazaar”. Sarà, principalmente, l’attività del Positano Art Workshop, avviato nel 1953 da Edna Lewis e da Irma Jonas ad attrarre l’attenzione. All’attività di promozione e ai laboratori dell’Art Workshop – la cui sede newyorkese si riduceva al box “3129” della Grand Central Station, a Positano è a Villa Franca – collabora un nutrito gruppo di artisti. Tra questi Randall Morgan, al tempo trentatreenne pittore originario dell’Indiana, primo direttore artistico dell’Art Workshop al quale Di Lieto sarà legato da profonda amicizia, Gene Charlton che prenderà il suo posto, Peter Ruta, gli ateniesi Nicholas Georgiadis e Vassilis Voglis, Robin Bagier con la moglie Minnia Piras, Ed Wittstein, Roberto Scielzo, Gille Aillaud, William Grosvenor Congdon, Han Harloff, Leonardo Cremonini che vi soggiorna nel corso degli anni Cinquanta, prima del suo approdo a Panarea.
Nel 1962 vi giunge l’artista neozelandese Peter Thomson e, negli stessi anni, Sigmund Pollitzen, Errico Ruotolo, Ibrahim Kodra, Susan Temp, Charleston Rafalsky, John Casiey Deiss, Vali Myers. Poco più tardi troviamo Edoardo Arroyo, Lorenzo Tornabuoni, Tano Festa, Cesare Peverelli, Giangiacomo Spadari, Mario Schifano e il pittore, scultore architetto austriaco Friedrich Hundertwasser, che fa la sua comparsa nell’estate del 1968. Non sono solo artisti figurativi ma anche scrittori, musicisti, registi, scenografi. Tra questi annoveriamo personalità quali Gregory Nunzio Corso, Gore Vidal che prenderà casa a Ravello, Tennessee Williams e il ventenne Mick Jegger, al tempo astro nascente della musica rock. Infine, negli anni Settanta, Franco Zeffirelli aprirà la sua “Villa tre ville”, nella gola di Arienzo che, decenni prima, aveva visto la presenza di Michail de Semenoff, segretario di Djagilev ai tempi dei
Ballets Russes, del pittore ucraino Zagoruiko e, negli anni Trenta, di Stravinskij, come ricorda Roman Vlad.
Il Positano Art Workshop, era un centro culturale di carattere internazionale, riconosciuto con decreto dal Governo italiano, così come ben evidenziato nella copertina della brochure di promozione.
Qual è la filosofia del Positano Art Workshop? “Uno dei criteri che determinano un’opera d’arte – si legge nella brochure – è la VISIONE personale dell’artista.
Ognuno ha il proprio modo di vedere e lo staff del Laboratorio si concentra nell’aiutare lo studente a riconoscere e sviluppare il suo modo, sia [già] esperto o che abbia appena iniziato a dipingere. L’approccio didattico, quindi, è flessibile e varia con lo studente. Fin dall’inizio del Workshop, la sua principale preoccupazione è stata quella di fornire uno staff di artisti riconosciuti, esperti nell’insegnamento e con prospettive internazionali. […] Vengono sottolineati l’orientamento e la critica individuale nei principi del design, dell’organizzazione dello spazio e del colore, delle tecniche di disegno e dell’approccio creativo”. Inoltre, con cadenza mensile, sono invitati artisti noti (tra questi William Congdon) che tengono “un seminario nel fine settimana che include una conferenza-discussione e una critica individuale del lavoro di ogni studente”.
L’attività didattica si completa con approfondimenti in laboratorio sulle varie tecniche artistiche, compreso un corso di ceramica, tenuto in un proprio “laboratorio dotato di forni, che offre lezioni quotidiane sulle competenze di base della costruzione a mano, della tornitura e delle tecniche di smaltatura e cottura”.
Diverse le mostre allestite a Positano che sollecitano l’interesse di galleristi, com’è per la personale che Giuseppe Di Lieto tiene nel 1963 alla Roko galley di New York.
Significativa la mostra collettiva, dal titolo “The Painters Workshop” che Edna Lewis organizza nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Spoleto e allestita nella Gallery Hours a Palazzo Ancaiani dal 19 giugno al 19 luglio del 1964: in mostra le opere di Bagier, degli assemblage oggettuali neodadaisti, gli incantevoli paesaggi naïfe Di Lieto, le tele di Georgiadis, di Morgan, di Thomson e di Vassilis Voglis.
Anna Gruber, nell’articolo dedicato al festival spoletino, scrive: “Fra tutte le manifestazioni figurative mi è piaciuto e interessato l’Art Workshop di Positano diretto da Edna S. Lewis e indirizzato alla libertà e internazionalità della espressione, del quale fanno parte Randall Morgan, Bagier, Di Lieto, Voglis e Thomson” (Il Festival dei Due Mondi in alcuni incontri con Giancarlo Menotti in “Umana. Rivista di politica e di cultura”, XIII, nn.7.9, Trieste, luglio-settembre 1964, con in copertina un’opera/assemblage di Robin Bagier Macchina Magica, proveniente dall’Art Workshop di Positano).
Sull’entusiasmo indotto dalle attività del Positano Art Workshop, il continuo arrivo di personalità della scena artistica internazionale, tra questi certamente spicca il nome di Andy Warhol, nasce la galleria d’arte che Giulio Gargiulo e Nellie von Lepel aprono a Positano, sul finire della primavera del 1968, con sede al civico “75” di via Positea.
La linea espositiva della neonata galleria Gargiulo-Lepel è ben chiara dal programma che inaugura con la mostra personale di disegni e collage “Mario Schifano al mare”, allestita dall’8 al 20 giugno di quell’anno.
Segue il fitto elenco delle personali di Sigmund Pollitzer, di Tano Festa, di Vali Myers, di Peter Thomson, di Franco Angeli e di Angelo Moriconi allestita sul finire di settembre. Diverse sono le mostre collettive allestite nei tre anni di attività, nelle quali sarà sempre presente il Nostro artista, tra queste quella allestita a Palazzo Murat di Positano, tra giugno e luglio del 1969, dal titolo “Group Show”, che propone dipinti e disegni di: Bagier, Charlton (presente con un paesaggio in tempesta, acquerello su carta del 1968), Congdon, Di Lieto, Festa, Morgan, Moriconi, Pardo, Passerotti, Scielzo, Theile e Thomson.
Sono gli stessi anni nei quali nell’Arsenale di Amalfi, andavano in scena le tre rassegne d’arte contemporanea, promosse dal Centro Studi Colautti, ossia da Marcello Rumma. Delle tre rassegne solo quella del 1968, “Arte povera+azioni povere”, curata da Germano Celant, si propone come iniziativa ideata specificamente per lo spazio amalfitano. Le altre, “Aspetti del ritorno alle cose stesse, del 1966 curata da Renato Barilli e “L’impatto percettivo” del 1967, con la curatela di Filiberto Menna e Alberto Boatto, sono esposizioni già tenute in precedenza in altre città, proprie di una logica provinciale, diversamente da quanto accade a Positano.
Nel 1970 Nellie von Lepel, lascia Positano per trasferirsi sulla costa laziale a Sperlonga, ove già dalla fine degli anni Cinquanta, aveva preso casa (per l’estate), Cy Twombly, seguito, anni dopo, dall’artista tedesco Peter Krawagna.
Giulio Gargiulo continua l’attività espositiva ed apre, con il nome di galleria Gargiulo Arte Contemporanea, una rinnovata sede nei pressi della Chiesa Nuova. Di questi anni sono le collettive che includono le opere degli artisti “che hanno partecipato al ciclo di esposizioni fatte a Positano” – come si legge nella locandina –, tra questi Aillaud, Harloff, Arroyo (a questo periodo è da attribuire la tecnica mista su carta Il pittore di Monaco, datato 1967), Peverelli, Charlton, Schifano, Di Lieto, Thomson.
Significativa quella allestita in omaggio al Piccolo Festival di Positano, tenutasi tra giugno e luglio del 1972, che propone gli artisti in permanenza in galleria, tra questi Arroyo, Angeli, Festa, Charlton, Antonio Franchini, Hundertwasser, Schifano, Di Lieto, Distler, Thomson, Temp, Morgan.
Qualche anno prima della morte, nell’aprile del 2019, Gargiulo, nella lettera inviata al direttore di “Positano News”, nell’edizione cartacea, ricorda quale sia stato il segno che la galleria Gargiulo-Lepel ha lasciato nella storia contemporanea di Positano:
“Leggendo la nuova edizione cartacea del “Positano News”, apprendo con amarezza e costernazione della vostra intervista al Sig. Antonio Miniaci, attribuendogli la prima direzione della storica galleria d’arte di Positano! Senza entrare nel merito […] sono tuttavia sorpreso dal fatto che sia stato omesso che la galleria Gargiulo-Lepel esisteva già dal 1968, che ha ospitato artisti quali, Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, Vali Myers, Angelo Moriconi, Charleston Rafalsky, ecc. con ben otto mostre ogni anno. Sono state ospitate varie scuole artistiche provenienti da molteplici regioni italiane e anche artisti francesi, spagnoli e americani, creando un ritratto a matita di quello che poi sarebbe stato il magnifico quadro di Positano, che si distingue dagli altri paesi della costiera proprio grazie alla sua impronta artistica e culturale da cui è rimasta segnata”.
In questo ampio contesto, dalla fine degli anni Cinquanta ai Novanta, si cala la personalità artistica di Giuseppe Di Lieto.
Originario di Ravello, dove nasce nell’ottobre del 1926, trentenne si trasferisce a Positano, nel corso della seconda metà degli anni Cinquanta. La sua formazione artistica è da autodidatta, nel clima metafisico della città del Parsifal, Ravello avvolta nel mito di Wagner, dei soggiorni degli scrittori inglesi del primo novecento. Un piccolo centro le cui case si distendono sull’imponente roccia che si affaccia sul mare e sulla gola del Dragone che scende giù nel cuore di Atrani. A Ravello opera sin dagli anni Dieci e fino al 1948, quando si trasferisce definitivamente a Cetara, Manfredi Nicoletti.
È un pittore ben noto alle cronache non solo salernitane e napoletane, ma anche negli ambienti londinesi. Nel tempo in cui possiamo ipotizzare la formazione del Nostro artista, la pittura di Nicoletti evidenzia una particolare attenzione ai registri e ai canoni del novecentismo, in particolare per gli interni, per scene di feste, di processioni, opere che evidenziano una tavolozza scura e l’invadenza di tinte nella gamma del rosso.
È questo un modo di figurare atmosfere della realtà che ritroviamo nei primi e più maturi esiti della pittura di Di Lieto, intorno alla fine degli anni Cinquanta: penso in tal senso ai paesaggi di Agerola, databili al 1959, a quel paesaggio che inquadra un luogo immaginario che abbraccia le due coste, quella sorrentina e amalfitana, dello stesso periodo e autenticato dall’artista nel 1973.
Importante sarà l’incontro con Edna Lewis e l’assidua frequentazione degli stage e delle attività didattiche dei laboratori dell’Art Workshop. In tale ambito matura, da parte della Ingram Merrill Foundation di New York, la borsa di studio di tremila dollari che gli è assegnata, nel 1963, per il suo perfezionamento artistico. Tale occasione lo porta a New York ove, nello stesso anno tiene, dapprima una mostra personale alla Roko gallery, poi alla Art Unlimited di Rhode Island e, rientrato in Italia, al Positano Art Workshop. In futuro saranno diverse le personali che terrà a New York: alla citata Roko gallery. si aggiungeranno quelle del 1965 e del 1967, nel 1969 esporrà alla Community gallery e quelle, tenute dal 1970 al 1973, alla Rochelle Frankel gallery. Diversi sono i collezionisti: nel nutrito elenco, pubblicato in chiusura del catalogo della personale alle gallerie Schettini di Milano, tra dicembre del 1974 e gennaio 1975, figurano i nomi di Wolf Hunziker, architetto paesaggista di Basilea, i collezionisti danesi Claus e Greta Jensen, Nellie von Lepel, l’ambasciatore Douglas McArthur, Robert Miller, Norman Newman e Tennessee Williams.
All’indomani del primo soggiorno newyorkese la sua pittura registra un deciso cambiamento sia sul piano del colore, perché l’artista rischiara notevolmente la tavolozza, ricorrendo a tinte luminose, sia perché alla realtà percettiva sostituisce la visione onirica. Il paesaggio diviene un luogo senza materia; lo stupore che ha registrato al primo impatto, diviene una traccia di un viaggio interiore, come palesa Positano, la sposa, un olio su tela del 1969, verso un luogo che “non aveva nel sogno nulla di quello reale”, riprendendo quanto scrive Benjamin.
Nelle opere realizzate dopo il 1965, entra in scena, nell’impianto compositivo di numerosi paesaggi di Positano vista dal mare, una barca scura, snella che, da soggetto raffigurato nella sua realtà, diviene pian piano, fino alle ultime opere degli anni Novanta, metafora di una comunità che si ritrova sospesa tra il mare e la terra. Da dove prende spunto questa nuova presenza? È stato il figlio Antonio, preziosissima fonte di informazioni e non solo delle vicende artistiche del padre, a indicarlo nella fotografia del veliero “Ktch” della Merida Co. del Canada, ancorata alla fonda nella baia di Positano, apparsa nella prima pagina del mensile “Il Diario di Positano”, nel luglio 1965.
Un soggetto che è più volte reiterato, originando diverse soluzioni compositive, come possiamo riscontrare sfogliando le pagine del citato catalogo della mostra milanese.
A dominare l’intera proposta espositiva sono opere che l’artista ha realizzato in vari anni, quale Fantasia di Positano (1968), olio su masonite di piccole dimensioni, costruita da una variazione di tinte luminosissime che, dall’azzurro profondo ed intenso del mare, sul quale si affacciano le arcate (memoria del paesaggio di Atrani), si schiarisce nel cobalto che disegna la costa, nell’ocra e nel rosa delle case, nel verde brillante di monte Faito che incornicia il piccolo centro, quale Ho sognato Positano(1972), ove l’architettura delle case ha come pilastri la lunga sagoma del veliero con l’alto albero, infine Paesaggio di Minori (1973), racchiuso in un gioco di toni dell’azzurro, del verde, con al centro la sagoma geometrica del veliero.
Nel testo al catalogo della citata personale da Schettini a Milano, presentata con Luca Vespoli, Italo Carlo Sesti, al tempo direttore de’ “La scena illustrata” nonché autore di una significativa monografia dell’opera di Virgilio Giudi, apparsa proprio nel 1975, scrive: “La pittura del Di Lieto è frutto di una profonda ispirazione lirica, venata di delicate e suggestive sfumature religiose; niente di quello che il suo pennello riesce a dipingere sulle tele è qualcosa che non sia dettato dal suo candido accostarsi alla natura con meridionale sensibilità e con arcana religiosità. Per chi conosce la costiera amalfitana e sorrentina, ammirare i paesaggi del Nostro significa rivivere la stessa emozione, la stessa magica atmosfera che sul mare di Positano si vive”.
Nella chiusa del suo appassionato testo, Luca Vespoli afferma: “Nei tempi immemorabili v’era il sole, il mare, gli alberi, i monti; […] qualsiasi cosa facciamo ora nella nostra follia, ci saranno ancora. Importa solo l’uomo che li ama e che cerca di dire come li ama e come è felice di amarli”.