No violenza del branco a Sorrento

23 ottobre 2024 | 22:50
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No violenza del branco a Sorrento

#MADICOSAPARLIAMO
Ancora oggi notizie di cronaca vedono protagonista ragazzi violenti contro coetanei per varie questioni di relazioni pseudo amicali e per futili motivi.
Il nome Branco con cui si va nominando un fenomeno che non si sa come chiamare quando si verificano atti gratuiti di violenza serale contro un ragazzo reo di difendere un amico o la ragazza di turno presa di mira dal bulletto del quartiere .
E allora i ragazzi che compiono cose infami li si chiama così: un branco.
Di qualsiasi colore: italiani, romeni, extracomunitari.
Nessuno escluso…
La violenza sta colpendo anche in zone tranquille come la Penisola Sorrentina e in particolare modo diventa pericolo nelle notti vissute dai giovani a Sorrento.
Si assiste a continui minacce nei confronti di ragazzi tranquilli che non sposano tendenze di gruppo.
Barbarie e atti di violenza a tradimento.
Come fossero dei nuovi barbari con modi compartimentali da ragazzi impazziti che salgono dagli scantinati delle nostre case e delle nostre province o che vengano da chissà dove. Si trasformano in personaggi violenti per affermare supremazia psicologica e materiale tra gli amici.
Nelle analisi dei cosiddetti opinionisti non si va al di là di qualche predica osservando fenomeni con poca attenzione.
Una società della violenza; della sopraffazione; una società del possesso, e bla bla bla….che non riesce a proporre adeguati strumenti legislativi e normative di contrasto a un fenomeno grave che sta prendendo piega anche in zone turistiche come Sorrento,da sempre cittadina pacifica, sarà inquinata e condizionata dal pericolo sociale e da problemi di sicurezza ambientale.
No alla violenza di gruppo dichiara alla redazione un papà affranto deluso e incazzato perché un giovedì sera, della settimana scorsa figlio diciottenne di Sorrento è stato picchiato a tradimento. Parecchi ragazzi hanno aggredito la vittima da dietro, spaccando zigomo e mandibola, responsabile solo per aver difeso un coetaneo.
La denuncia ai carabinieri per scoprire i violenti ed accertare i fatti, analizzare meglio il caso e la triste e vergognosa vicenda.
Li chiamano ‘branco’ e riversano tutto il loro scandalo su questi ragazzi colpevoli di crimini efferati, di bestialità e di violenze inquietanti. E con questo nome pensano di aver nominato il peggio della nostra società. Le analisi non vanno molto più in là. Lo sguardo preferisce non indagare oltre. Li bollano come animali. E via. Dando la colpa un po’ alla società, ai rigurgiti razzisti, schizzando accuse neanche tanto velatamente politiche.
Tutto vero, probabilmente. Ma è poco. È troppo poco bollare il fenomeno come ‘branco’. Richiamare i responsabili educativi all’enorme sforzo da compiere per arginare questi fenomeni. Come affermò in una sua dichiarazione il presidente della Repubblica Napolitano. Secondo il Presidente, c’è un problema educativo alla radice di questi problemi. Anzi, ancor più alla radice c’è il relativismo e il suo gemello deteriore, il nichilismo, come diceva il cardinale Ruini in una sua conferenza del passato al collegio San Carlo di Milano. Si pensa forse di eleggere queste tendenze a bandiere chic del nostro tempo senza dover poi pagare il dazio del loro impatto sulle giovani generazioni? Non ci si fermi dunque alla facile etichettatura. Alla facile condanna di atteggiamenti violenti. Si provi a ragionare, con appassionata lucidità, con urgenza e senza timore. Non si finga di credere che la violenza cieca che sorge tra gruppi anche eterogenei di ragazzi differenti per provenienza e formazione, venga da generali cause sociali, o per colpa di qualcuno nel campo politico avverso. C’è qualcosa che agisce nel ragazzo italiano, come nel giovane di colore o romeno: una legge della violenza che non trova più correzioni o argini. Si abbia dunque il coraggio di affermare che l’uomo, ogni uomo, se convinto di essere solo e slegato da qualsiasi legame tende inevitabilmente a organizzarsi in branchi. Che tali branchi siano nelle periferie degradate o nei salotti non fa troppa differenza, da questo punto di vista. Si abbia il coraggio di dire che la sistematica, continua e pervasiva distruzione di qualsiasi legame (religioso, familiare, solidale) avvenuta attraverso l’affermazione ad ogni livello del principio che recita ‘io sono mio’ è la inevitabile anticamera dell’organizzazione in branchi, in salotto o in periferia. Il ragazzo a cui si fa credere di essere l’arbitro assoluto della propria vita si organizzerà in ‘branchi’ di individui­ arbitro, la cui unica norma è la soddisfazione di quell’idea: essere arbitri, padroni. Insisto, a costo di scandalizzare tanti ‘benpensanti’: non c’è differenza, in questo senso, tra il branco che si ritrova nelle sere desolate di Nettuno e cerca in modo debosciato l’emozione forte, e il branco che si costituisce per motivi di potere o di interesse in qualche salotto o circolo. Sempre branchi sono, individui­ arbitro riuniti in gruppo per farsi forza. Un potente messaggio educativo si sta riversando in questi mesi dagli organi di informazione e di propaganda del nostro paese: tu sei padrone di te stesso, quando vivi e quando muori. Poi su quegli stessi organi ci si scandalizza della nascita dei branchi. Si dirà che ci deve essere un argine: il rispetto della legge, o di certi valori (fissati da chi?). Ma se convinci un ragazzo che per essere se stessi bisogna autodeterminarsi, per quale motivo egli dovrà poi assoggettarsi a una legge che lo limita o a una norma morale ? Lo farà solo se gli conviene, se non osta troppo al suo ‘dominio’. Li chiamano ‘branco’, e intanto li nutrono. Perché l’individuo­ arbitro facilmente diventa l’uomo lupo.