Quanti hanno conosciuto o ricordano Michel ‘a palla, onesto lavoratore minorese, cartaro da sempre occupato alla cartiera dei Camera d’Afflitto (attuale elegante hotel Marmorata ai confini sul mare tra Minori e Ravello)
Nel corso del servizio militare la sua arma era per lo più la ramazza, senza responsabilità, senza punizioni, anche perchè non si cimentava quasi mai in discussioni perchè tardava a capire e farsi capire. Era anche lui presente, lavorando nel fondo da sistemare, alla scoperta della Villa Romana attraverso un buco che dava nella sala della musica.
Quando si portò a Salerno per “passare” la visita per ottenere la pension e (allora questa era la prassi), raggiunse l’ufficio indicato a furia di domande (tutto “arravogliato” in un cappotto più grande della sua stazza: era di mio padre); rfientrò a pomeriggio inoltrato. Passò un pò di tempo perchè potesse iniziare a percepire la pen sione, misera ma utile.
Abitava al villaggio Monte e a sera, quasi sempre avvinazzato, impiegava molto per raggiungere la sua modesta abitazione, dove arrivò l’energia elettrica abbastanza tardi.
Faceva coppia con un suo fratello, calzolaio che abitava e lavorava a san Cosma di Ravello e da dove per diversi giorni non si allontanava tranne il venerdi per portarsi a Salerno per l’acquisto delle pelli. Al rientro si fermava a Minori, ospite di Michele, ed erano fiumi di vino rosso, stocco e patate e pollo allo spiedo. Michele usava intercalare le discussioni (chimamole così) con chi tentava di prenderlo in giro con: ‘o scemo, nun fa ‘o scemo, mò si scemo ‘e scemo. Questa sua espressione faceva impazzire dal ridere un illustre latinista locale.
Un bel giorno si fidanzò e conseguentemente, in vista di qualcosa di più concreta, e seria, dovette cresimarsi: il suo padrino era Ignazio, altro personaggio minorese-amalfitano; poi tutto naufragò e Michele rientrando nei ranghi continuò a vivere da solo.