Piano di Sorrento, il racconto del Prof. Ciro Ferrigno: “Il tempo dei miracoli, Regina Sacratissimi Rosarii”
Riportiamo l’interessante racconto del Prof. Ciro Ferrigno dal titolo: «Non sappiamo con esattezza quando la pala della Madonna del Rosario sia giunta nella chiesa dell’Abbazia di San Pietro a Cermenna. Tutto lascia supporre che sia stata scelta sull’onda emotiva della vittoria nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, quando la flotta cristiana sbaragliò e sconfisse quella islamica. Fu un momento storico molto importante, dai risvolti miracolistici e il trionfo dei cattolici fu attribuito alla Madonna del Rosario, diventata da quel momento la Regina delle Vittorie.
È probabile che i padri benedettini scegliessero un’Icona già pronta, forse dipinta anni prima da un buon pittore fiammingo, Wenzel Cobergher. Forse bisognava dotare la chiesa di una pala di pregio, abbellire un altare rimasto spoglio per decenni. Negli anni Venti del Sedicesimo secolo i predoni mauri, provenienti da zone rivierasche dell’Africa del Nord avevano assediato e distrutto il villaggio di Galatea e tutto lascia supporre che pure l’Abbazia subisse la stesa sorte, essendo ricca ed importante. I seguaci dell’Islam, ovunque passavano, portavano distruzioni e morte, tutto incendiavano e devastavano.
La Pala del Rosario fu oggetto di culto da parte della popolazione di Cermenna per un secolo e mezzo, almeno fino a quando l’Abbazia, cessato il periodo di grande espansione, non cominciò a declinare fino a giungere alla chiusura, nel primo ventennio del Settecento. Fu allora che si decise di trasferire la Pala nella chiesa della Santissima Trinità presso Sant’Agostino. Il distacco non fu semplice né pacifico, si aprì un lungo ed aspro contenzioso tra la gente di Cermenna e quella di Sant’Agostino, fino a giungere ad un patto: l’Icona sarebbe tornata ai Colli nei giorni della festa di San Pietro e vi sarebbe rimasta per tre mesi, ovvero tutta l’estate. Il patto venne meno allorquando l’Abbazia diventò un rudere e con essa la chiesa, fabbricati che si trasformarono in vere e proprie cave di pietre da riutilizzare per le nuove costruzioni. Con il passare del tempo i tre mesi diventarono cinque giorni e poi tre, com’è ancora oggi.
Nella chiesa di Trinità, una donna, Candida Pollio, monaca di casa, semi inferma, trascorreva gran parte del giorno ai piedi dell’Immagine, in meditazione e preghiera, in costante dialogo con la Vergine Santissima. Giorno dopo giorno riuscì a ottenere dalla Madonna un numero incalcolabile di grazie che la resero nota ovunque. Cominciarono a giungere veri e propri pellegrinaggi, era gente del popolo che chiedeva con suppliche accorate l’intercessione. Candida otteneva guarigioni da malattie, il ritorno di uomini catturati e fatti prigionieri dagli arabi e quello di naviganti scomparsi da mesi e mesi. Le sue preghiere erano ascoltate, il viso della Vergine si illuminava tanto da essere visibile anche nel buio. Nell’estasi chiedeva favori solo per gli altri, per quelli che avevano la sofferenza stampata sul viso, ai quali restava come ultima speranza la benevolenza della Madonna del Rosario. Oramai la donna viveva i suoi giorni tra petali di rose e ceri votivi, sussurri e lacrime, profumo di incenso e grida di gioia, felice di poter alleviare le sofferenze degli ultimi. Per ringraziare la Madonna, Candida cominciò ad implorare il Vescovo che procedesse all’incoronazione dell’Icona come segno di riconoscenza per tutto quanto Ella aveva concesso ascoltando le sue umili suppliche. L’Incoronazione avvenne il 23 settembre 1773 e fu l’apoteosi, tutto per la gloria di Maria, tanto che la cappella del Rosario, fu elevata a Santuario Mariano.
Sono passati 250 anni da quel giorno, da quel tempo dei miracoli e cosa ne resta? L’amara consapevolezza che la Madonna del Rosario è sempre quella, siamo noi che non sappiamo più chiedere, perché forse ci manca la fede vera, quella che muove le montagne e consente di parlare a tu per tu con il divino. Forse oggi le nostre preghiere, le nostre suppliche sono troppo deboli, si fermano sospese a mezz’aria, tra il cielo e la terra».