Archeologia in Penisola Sorrentina. Le Mura Vicereali di Sorrento.
Riaperto il Camminamento di Ronda delle Mura Vicereali di Sorrento: Un Viaggio nella Storia della Città
Questo pomeriggio, il sindaco di Sorrento Massimo Coppola, accompagnato dal Soprintendente per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Napoli, Mariano Nuzzo, ha ufficialmente inaugurato il camminamento di ronda delle antiche mura vicereali, edificate nel Cinquecento come difesa contro le incursioni saracene. Questo restauro ha consentito di riportare alla luce uno dei pochi tratti sopravvissuti della cinta muraria storica di Sorrento, un’opera di grande valore storico e architettonico.
L’intervento di recupero ha interessato in particolare il camminamento di ronda, che, ormai ridotto a rudere, è stato ricostruito e riportato alla sua struttura originaria. Il percorso si estende dal Bastione Parsano, recentemente restaurato e reso accessibile al pubblico, fino al Bastione San Valerio, situato all’interno di Villa Fiorentino. “Questa passeggiata storica offre ai cittadini e ai visitatori un’esperienza unica – ha dichiarato il sindaco Coppola – che consente di riappropriarsi di un luogo carico di significato, capace di attrarre turisti e residenti, che potranno ammirare una porzione delle antiche fortificazioni vicereali ben visibile da via degli Aranci, a testimonianza del passato urbanistico della città”.
Il progetto è stato realizzato grazie a un cofinanziamento del Ministero della Cultura, attraverso il Fondo per la Cultura, e del Comune di Sorrento. Tra i principali interventi strutturali, il restauro ha previsto l’installazione di arcate in acciaio Corten al posto di quelle originarie, ormai compromesse dal degrado e dalla vegetazione infestante, preservando le porzioni residue della cinta muraria originale. Questa cinta muraria di epoca spagnola rappresenta uno dei pochi esempi rimasti nel sud Italia, e la sua conservazione è considerata di grande importanza per il patrimonio culturale della regione.
Parallelamente, è stata avviata un’iniziativa digitale con la piattaforma “SurrentumWeb”, disponibile all’indirizzo www.surrentumweb.it, che consente una fruizione più ampia del patrimonio storico-archeologico e architettonico di Sorrento. Il portale mette a disposizione schede dettagliate sui siti di interesse, documenti d’archivio, fotografie d’epoca e curiosità storiche, offrendo inoltre spunti per itinerari tematici. Grazie alla digitalizzazione, la storia di Sorrento sarà accessibile a un pubblico ancora più vasto, valorizzando il legame tra passato e presente della città.
La Rinascita del Camminamento di Ronda sulle Mura Cinquecentesche di Sorrento: Una Festa per la Storia
Sorrento ha celebrato un momento storico con l’inaugurazione del restauro del camminamento di ronda sulle sue mura cinquecentesche, un’opera ambiziosa che unisce passato e presente e restituisce alla comunità e ai visitatori un simbolo della sua identità storica. Questo progetto di recupero, finanziato dal Ministero della Cultura e dal Comune di Sorrento, segna un traguardo di grande rilevanza per l’intera penisola sorrentina, restituendo ai cittadini un pezzo di storia spesso inaccessibile, ora valorizzato e pronto ad accogliere il pubblico.
Il camminamento di ronda, ora restaurato, collega il bastione San Valerio al bastione di Parsano, due punti nevralgici delle antiche difese cittadine. Durante la cerimonia, il sindaco Massimo Coppola ha evidenziato l’importanza di questo progetto, che non solo esalta l’architettura rinascimentale delle mura, ma rafforza l’identità storica di Sorrento. “Oggi queste mura non ci difendono più da attacchi, ma sono testimoni della nostra storia”, ha affermato il sindaco, rimarcando l’importanza di conservare e valorizzare un patrimonio che definisce la città stessa.
La scelta dei materiali per il restauro è stata attenta e mirata a rispettare l’integrità storica del sito. Il camminamento è stato infatti ripristinato nelle parti superstiti e ricostruito in acciaio corten, un materiale contemporaneo scelto per integrare l’antico e il moderno senza compromettere l’autenticità della struttura. Questa innovativa combinazione di materiali rappresenta il dialogo tra epoche, rendendo le mura non solo un pezzo di storia, ma anche un punto di riferimento culturale attuale e accessibile.
Durante l’inaugurazione, il Soprintendente Mariano Nuzzo ha lodato il lavoro sinergico tra il Ministero, il Comune e i tecnici coinvolti, che ha permesso di completare i lavori in tempi record. “Questo è un esempio di quanto possa essere realizzato grazie alla collaborazione e alla determinazione comune”, ha dichiarato Nuzzo, sottolineando come il restauro sia stato portato a termine in meno di un anno grazie all’impegno congiunto delle istituzioni.
L’evento, seguito da cittadini, storici e appassionati, è stato anche un’occasione per presentare “Surrentum Web”, un progetto digitale di valorizzazione del patrimonio storico-artistico di Sorrento, che permette di accedere a informazioni e contenuti digitali grazie a un QR code posizionato lungo il percorso. Questa innovazione consente a turisti e cittadini di scoprire la storia locale in modo interattivo, offrendo una fruizione più completa e moderna del patrimonio culturale della città.
Con il restauro del camminamento di ronda, il Comune di Sorrento non solo recupera un pezzo di storia antica, ma rende la città stessa un museo a cielo aperto, un’opera che celebra il passato ma guarda al futuro, aprendo la strada a ulteriori interventi di riqualificazione previsti per i prossimi anni.
All’indomani dell’inaugurazione del Camminamento delle Mura Vicereali la redazione cultura di Positanonews ha ritienuto opportuno, per meglio apprezzare la bellezza storica architettonica dei luoghi, un approfondimento storico attraverso le fonti bibliografiche disponibili.
– Sorrento. Ieri, oggi e domani di Antonio Bertini CNR
– Entro la cerchia delle antiche mura di Antonino Di Leva
– Le antiche mura di Sorrento di Fabrizio Guastafierro
Sorrento. Ieri, oggi e domani di Antonio Bertini CNR
La città ha anche consistenti tratti di mura risalenti al Cinquecento,
caso assai raro, probabilmente unico, nel panorama di tutto
il Mezzogiorno d’Italia. …………….. Antonio Bertini
– Il centro antico è stato oggetto di interventi di demolizione e
sventramento sul finire dell’ottocento e gli inizi del novecento, così
come tante altre città d’Europa. Un “Piano di Risanamento” (così
veniva chiamato all’epoca un intervento sulle strutture della città
esistente con la finalità di migliorare la ventilazione all’interno delle
strade cittadine e le condizioni di salubrità delle residenze) realizzato
attraverso interventi distruttivi di parte della cinta muraria
incluse le porte urbane presenti e lo sventramento, nella parte settentrionale,
dell’antico impianto urbano (Fig. 6). Costituisce, infine,
un caso- studio esemplare per l’ottimo rapporto tra giacitura e
morfologia: l’insediamento antico, infatti, è ottimamente disposto
sul leggero pendio che si affaccia sul golfo di Napoli.
Al contrario di quanto ipotizzato da più studiosi, nell’area della
città di Sorrento non è stato rinvenuto nulla di greco: solo la tecnica
muraria nella realizzazione di due delle porte urbiche potrebbe essere
riconducibile alla conoscenza tecnica e tecnologica dei greci.
In epoca romana e pre-romana, a causa dell’impervio passaggio
da Vico Equense alla piana di Sorrento gli scambi commerciali avvenivano
presumibilmente e prevalentemente via mare. Ciò è sottolineato
anche dalla presenza di due porte, delle cinque porte urbane
totali, che si aprivano verso il mare, l’una nella parte nordoccidentale
e l’altra in quella nord-orientale del centro abitato, collegate
alle marine, la Marina Piccola e la Marina Grande, con due
scalinate. La cinta muraria che percorreva i lati est, sud e ovest lasciando
aperto (ma non indifeso) il lato esposto a nord a picco sul
mare toccava, come fa ancora oggi, i punti più alti dei precipizi,
sorgendo sul ciglio dei fossati26
Nell’area,infatti, sono stati fatti numerosi ritrovamenti di ville di epoca romana,
ma della città osca non è stata rinvenuta alcuna traccia. Sin
da subito la città racchiusa entro le mura comprendeva estese aree
non edificate, ma idonee per accogliere eventuali abitanti in un ipotizzabile
aumento della popolazione27. Così le mura con un perimetro
di circa 1600 metri cingevano un’area urbana di circa 29 ettari
- Dell’antica cinta muraria osca si è conservato ben poco. Un
rudere di dimensioni molto limitate (poco più di tre metri di altezza
e di larghezza) della cortina occidentale è possibile osservarlo, in
località via Sopra le Mura, portato alla luce nel 193329.
29 Le vestigie furono scoperte nel corso degli scavi effettuati nel 1921 allorché
si pensò che risalissero all’epoca di Augusto. Queste mura restarono a difesa della
città durante l’età medievale. Il rifacimento iniziò nella seconda metà del Cinquecento
e fu terminato dopo l’invasione dei Turchi del 1558. Con il passare dei secoli
è mutato il disegno, ma non la pianta delle cortine e, solo verso la metà del
quattrocento, le cortine, non resistendo più all’impatto degli attacchi pesanti, crollarono
rovinosamente.
Nei pressi della porta di “Parsano
Nuovo”, al di sotto della strada e in posizione quindi nascosta,
è possibile ancora oggi scorgere un tratto delle mura osche, realizzate
con tecnica greca con i blocchi di pietra dell’arco sistemati di
lungo e di testa. La porta che dà accesso alla Marina Grande (Figg.
12 e 13), come in antico al porto, nonostante i vari rifacimenti subiti
è indubbiamente antica30.
Le antiche mura di Sorrento di Fabrizio Guastafierro
Visitando il centro storico di Sorrento, non si può resistere al fascino esercitato dalla mura che, anticamente circondavano la città.
Ben visibili nel tratto di Via degli Aranci che congiunge Piazza Antiche Mura con il Corso Italia, e lungo la strada che si può percorrere solo a piedi e che collega Via San Nicola con la Marina Grande, i resti dell’ antica fortificazione di Sorrento che si possono ammirare risalgono al periodo vicereale successivo alla seconda metà del XVI secolo.
In realtà si tratta del frutto di un massiccio intervento che si rese indispensabile in seguito alla invasione saracena del 1558, in seguito alla quale buona parte delle fortificazioni pre-esistenti furono distrutte o gravemente compromesse.
Al di sotto di alcuni tratti di queste antiche mura, però, sicuramente esisteva una cinta muraria molto più antica e, probabilmente risalente ad epoca greco-romana.
Il particolare risulta evidente tanto in prossimità della Porta che isolava la Marina Grande dal resto della Città, quanto grazie agli scavi visibili all’ altezza della cosiddetta porta di Parsano che si trova alla sommità di Via Sersale.
Proprio in quest’ ultima zona, si possono cogliere anche altri particolari che hanno caratterizzato le più moderne fortificazioni, ad esempio, con la predisposizione di cannoniere destinate ad impedire attacchi alle stesse porte, così come ispirato da modelli tipicamente spagnoli.
Proprio lungo la stessa zona, inoltre, si può ammirare – a confini del parco Ibsen – il particolare sistema di difesa utilizzato per rendere inaccessibile Sorrento.
Lì, infatti, le antiche mura si innestano sullo scosceso costone tufaceo che, in passato, costituiva la naturale prosecuzione della stessa mutazione e che, di fatto, ospita il celebre Vallone dei Mulini all’ interno di una incantevole e suggestiva gola all’ interno della quale, oltre a poter ammirare alcuni resti di antiche costruzioni, si possono ammirare anche alcune rare forme di vegetazione – in particolare di felci – che crescono proprio grazie alle particolari condizioni climatico-ambientale del luogo.
Un adeguato sistema di illuminazione consente di poter apprezzare la bellezza delle antiche mura anche in orari notturni ed, anzi, di poter cogliere sfumature diverse da quelle che possono restare impresse nella memoria durante il giorno.
Purtroppo la parte più significativa dell’ antico sistema di fortificazione cittadina non è più visibile da un paio di secoli.
La porta principale – quella che consentiva l’ ingresso alla città per quanti provenivano dalle altre località della Costiera Sorrentina (fatta eccezione per Massa Lubrense), assieme al Castello di Sorrento, è andata distrutta in seguito ad imprese militari che iniziarono con il periodo della rivoluzione partenopea, proseguirono in occasione dell’ alternanza tra il regno borbonico e quello filo-napoleonico e terminarono con l’ unificazione italiana.
Fabrizio Guastafierro
“Entro la Cerchia delle Mura Antiche: L’Evoluzione delle Fortificazioni di Sorrento dal Cinquecento a Oggi”
Sorrento, situata su un altopiano naturalmente protetto da ripidi burroni, ha da sempre sfruttato la propria posizione strategica per difendersi da attacchi esterni. Fin dall’antichità, la città si è trovata quasi isolata dal resto del territorio circostante grazie a queste barriere naturali, che rallentavano gli assedianti e ne compromettevano la formazione e l’organizzazione di battaglia. Il tratto difensivo orientale e occidentale era rinforzato da dirupi che si estendevano fino alle due marine, mentre a nord una rupe a picco sul mare completava il sistema di protezione naturale di Sorrento.
Le prime mura risalgono all’epoca romana: secondo lo storico Beloch, attorno alla città correva una cinta primitiva, poi arricchita con torri, soprattutto per proteggere le porte, considerati i punti più vulnerabili della fortificazione. Le torri si stagliavano in rilievo rispetto al muro principale e servivano a coprire i fianchi con il tiro degli arcieri, una disposizione difensiva che Vitruvio aveva già descritto nel “De Architectura”, specificando la distanza ottimale tra le torri in base alla gittata delle frecce.
Durante il Medioevo, Sorrento continuava a essere protetta da mura e torri, due delle quali, ancora presenti fino all’Ottocento, si trovavano presso la porta occidentale, nota come Porta di Massa. Fonti del XVIII secolo descrivono una città circondata da mura per circa un miglio e dotata di quattro porte, due rivolte verso il mare e due verso l’entroterra, ciascuna con ponti levatoi per impedire l’accesso a potenziali nemici.
Nel lato meridionale, i burroni erano interrotti da un fossato che correva lungo le mura tra le porte di Parsano Nuovo e Vecchio, lasciando però questo tratto di cinta esposto ad attacchi diretti. Le cronache dell’epoca riportano che durante gli assedi, gli abitanti di Sorrento riuscivano a difendere la città con pochi uomini grazie all’efficacia delle mura e alla posizione vantaggiosa, che rendeva ardua ogni tentativo di assalto.
Uno degli assedi più noti è quello del 1648, quando la città fu attaccata da circa 4500 uomini guidati dal condottiero Grillo. Gli abitanti, pur essendo in inferiorità numerica, si difesero coraggiosamente, sfruttando le mura e le torri. L’assalto fu respinto anche grazie al valore dei cittadini, che combatterono con ardore, supportati da un’organizzazione militare ben strutturata. Un affresco del pittore Giacomo del Po, realizzato nel 1685, celebra la vittoria dei Sorrentini e si può ammirare ancora oggi nella basilica di Sant’Antonino.
La protezione delle mura è legata anche alla leggenda di Sant’Antonino, considerato il patrono e il salvatore della città. Secondo le cronache, nel 835 Sorrento fu assediata da Sicardo, principe di Benevento, e solo grazie all’intervento del santo patrono la città fu liberata. In segno di gratitudine, fu collocata una sua statua sulla porta orientale.
Nel Cinquecento, la minaccia della pirateria saracena spinse i viceré spagnoli a ordinare il rafforzamento delle mura di Sorrento, rendendole più resistenti e aggiungendo torri e baluardi. Questo intervento fu determinante per l’efficacia difensiva delle mura che, a tratti, si possono ancora osservare oggi. Tra i bastioni sopravvissuti, il Bastione di Parsano e quello di San Valerio, recentemente restaurati, offrono la possibilità di ammirare da vicino un pezzo di storia vicereale, testimonianza della strategia difensiva che per secoli ha protetto Sorrento e i suoi abitanti.
La causa del rifacimento delle fortificazioni medievali: l’evoluzione delle armi
Nel corso della storia, l’architettura difensiva delle città medievali è stata strettamente influenzata dall’evoluzione delle armi e delle strategie di attacco. Con la diffusione della polvere da sparo, la tecnica militare cambiò radicalmente, provocando una crisi nei tradizionali sistemi di difesa. Fino a quel momento, i centri urbani erano protetti da alte mura e torri sporgenti, progettate per garantire una “difesa fiancheggiante” e permettere ai soldati di attaccare i nemici sui lati, rallentandone l’assalto. Tuttavia, il sopraggiungere delle nuove tecnologie di combattimento costrinse le città a ripensare completamente le proprie difese.
Prima dell’introduzione della polvere da sparo, le tecniche d’assedio prevedevano l’uso di macchine come l’ariete per abbattere le mura, e di torri mobili che venivano spinte contro le fortificazioni, permettendo ai soldati di superare le mura tramite ponti mobili. I difensori, dal canto loro, sfruttavano una difesa strutturata, come osserva Sabart, con parapetti e feritoie che permettevano il “tiro piombante” contro gli assedianti. Questo metodo era efficace contro le macchine d’assedio, poiché consentiva ai difensori di colpire i nemici dall’alto con proiettili o macigni, rendendo rischiosa qualsiasi manovra ravvicinata.
Ma con l’introduzione della polvere da sparo, la difesa medievale si trovò improvvisamente obsoleta. L’invenzione delle armi da fuoco, probabilmente intorno al XIII secolo, portò rapidamente allo sviluppo di artiglierie in grado di abbattere le mura. Le torri, troppo alte e facilmente individuabili dai cannoni nemici, divennero bersagli vulnerabili e dovettero essere abbassate e rinforzate. Per contrastare questa nuova minaccia, nel XV secolo le fortificazioni subirono una serie di modifiche: le mura vennero abbassate, le torri ridimensionate e gli edifici difensivi furono dotati di terrapieni per assorbire meglio i colpi di artiglieria. Questo fu l’inizio dell’evoluzione del sistema difensivo, che introdusse gradualmente l’ordinamento bastionato.
La crescente diffusione delle armi da fuoco portò alla nascita di armi personali, come lo schioppo, seguito dall’archibugio e dal moschetto. L’archibugio, in particolare, rappresentava una svolta nell’armamento personale e richiedeva il sostegno di un bastone con una forchetta per stabilizzarlo durante il tiro. Con il miglioramento della precisione e della gittata, le difese vennero adattate per sfruttare la potenza dell’archibugio, che poteva superare i cento metri di portata, una distanza raddoppiata grazie alla rigatura della canna.
La città di Sorrento, come molte altre, si trovò costretta a modernizzare le proprie difese. Durante l’assedio del 1648, ad esempio, le forze di difesa sorrentine contarono sull’arrivo di nuove armi portate da una galea, tra cui duecento archibugi. Anche se alcune armi tradizionali continuarono a essere utilizzate fino al XVI secolo, la pressione degli eserciti moderni obbligò Sorrento ad adattarsi. Così, nei secoli successivi, la città mantenne le sue mura e le sue torri ma con fortificazioni rinnovate e rinforzate, mantenendo l’efficacia difensiva in un’epoca di transizione dall’armamento medievale a quello moderno.
In sintesi, il rifacimento delle fortificazioni medievali fu un adattamento essenziale alle nuove tecnologie belliche, una trasformazione forzata dall’avanzamento delle armi e delle tattiche di guerra. La città di Sorrento e le sue fortificazioni rappresentano un esempio eloquente di come le innovazioni nel campo degli armamenti possano influire profondamente sulla struttura e sull’organizzazione delle città, plasmando l’evoluzione delle tecniche difensive attraverso i secoli.
I conflitti tra Carlo V e Francesco I e le vicissitudini della città di Sorrento nel periodo rinascimentale
Nel periodo compreso tra la fine del XV e il XVI secolo, l’Italia fu teatro di sanguinosi conflitti tra le maggiori potenze europee, in particolare tra Spagna e Francia. Le guerre ebbero origine dalla discesa in Italia di Carlo VIII di Francia nel 1494, rivendicando diritti ereditari su Milano e Napoli, appartenuti rispettivamente ai Visconti e agli Angioini. Quest’evento aprì una lunga stagione di guerre, che avrebbero segnato profondamente la Penisola e portato alla frammentazione politica e a devastanti saccheggi.
Nel 1495, Carlo VIII riuscì a occupare Napoli, ma dovette abbandonarla a causa della resistenza locale e dell’opposizione della Lega Santa, una coalizione di potenze italiane e straniere. Napoli tornò così sotto il dominio aragonese, per poi diventare oggetto di ulteriori contese tra Francia e Spagna. La pace fu effimera: con la salita al trono di Luigi XII di Francia nel 1498, la guerra riprese vigore, culminando con il trattato di Granata (1500), nel quale Spagna e Francia si accordarono per spartirsi Napoli.
In questo contesto di instabilità, anche Sorrento e le sue vicinanze furono coinvolte. Nel luglio 1501, le città di Sorrento, Vico e Massa decisero di allearsi per difendersi dagli invasori francesi. Tuttavia, la resistenza si rivelò insufficiente e, dopo un breve scontro, la città di Sorrento fu costretta a sottomettersi al conte di Sarno, comandante delle forze francesi. Tale periodo segnò un tempo di grande precarietà per la città, che si trovava sotto una minaccia costante e in balia degli eserciti stranieri.
Negli anni successivi, con la morte di Luigi XII e l’ascesa di Francesco I in Francia e di Carlo V in Spagna, la situazione si riaccese. Il nuovo sovrano francese, Francesco I, ambiva ancora a controllare il territorio italiano, nonostante avesse firmato accordi diplomatici con Carlo V. Nel 1527, Giovanni di Lorena, su invito di papa Clemente VII, tentò un’incursione in Italia, spingendosi verso Napoli e conquistando brevemente Sorrento. L’occupazione fu però di breve durata: le forze di Carlo V, guidate dal viceré di Napoli, Carlo di Lannoy, respinsero gli invasori, restituendo la città al controllo spagnolo.
Francesco I, imperterrito, continuò a sfidare Carlo V, inviando in Italia nuove truppe guidate da Odetto di Foix, visconte di Lautrec, che riuscirono a penetrare profondamente nel territorio italiano. L’assedio di Napoli del 1528 fu uno dei momenti più critici: la città fu circondata e soffocata, causando gravi problemi di approvvigionamento. Tuttavia, la peste, la scarsità di viveri e la resistenza degli imperiali condannarono alla disfatta le ambizioni francesi, mentre lo stesso Lautrec morì di peste. La tregua di Cambrai del 1529 obbligò Francesco I a rinunciare alle pretese su Napoli, senza però concludere definitivamente le ostilità.
I due sovrani, grazie alla mediazione di papa Paolo III, giunsero infine alla pace di Nizza del 1538, garantendo una tregua decennale. Tuttavia, le tensioni riemersero nel 1542, quando Francesco I tentò nuovamente di invadere l’Italia, in una serie di scontri che si chiusero solo con la pace di Crépy del 1544.
Con l’ascesa di Enrico II di Francia nel 1547 e il ritiro di Carlo V a favore del figlio Filippo II, i conflitti tra Spagna e Francia si trascinarono fino alla pace di Cateau-Cambrésis del 1559, che pose fine definitivamente alle pretese francesi sul regno di Napoli.
Il protrarsi delle guerre franco-spagnole e le frequenti incursioni da parte dei Turchi mantennero la popolazione italiana, e in particolare quella di Sorrento, in uno stato di costante ansia e precarietà. La popolazione viveva sotto l’incessante minaccia delle invasioni e delle scorrerie, impoverita dai conflitti e dalle tasse elevate imposte dai conquistatori stranieri per finanziare i loro sforzi bellici. Sorrento, pur essendo una città di piccole dimensioni, si trovò così al centro delle grandi vicende politiche e militari dell’epoca, pagando un caro prezzo per la sua posizione geografica e la sua lealtà alle varie potenze in lotta per il controllo della Penisola.
La pirateria saracena e la difesa delle coste italiane nel XVI secolo
Nel XVI secolo, la pirateria saracena divenne una minaccia costante per il Mediterraneo, affliggendo le popolazioni costiere e causando ingenti danni a economie e comunità. Questo fenomeno si manifestò attraverso feroci attacchi da parte dei pirati ottomani, appoggiati spesso dall’Impero Ottomano e guidati da figure temute come il Barbarossa e il Dragut, che seminavano terrore e distruzione.
Tra i capi pirata, uno dei più noti fu Khaired-Din, detto Barbarossa, che, dal 1533 al 1546, guidò la flotta ottomana per volontà del sultano Solimano il Magnifico. Durante quel periodo, la Turchia ottomana rappresentava una potenza temibile: secondo lo storico Jurien de La Gravière, “ai tempi di Solimano il Magnifico, i Turchi facevano tremare il mondo”. La portata delle incursioni e l’audacia della pirateria musulmana erano tali da mettere in seria difficoltà le difese degli stati cristiani, che spesso non riuscivano a tenere testa a queste implacabili minacce.
Un evento significativo fu l’alleanza tra il re cristianissimo Francesco I di Francia e i pirati ottomani contro l’imperatore Carlo V. Questo patto, volto a danneggiare il rivale, comportò un’alleanza inaspettata e scioccante tra uno dei maggiori monarchi cristiani e le forze musulmane.
L’attacco alle coste italiane e le misure di difesa
Le città di Algeri, Tunisi e Tripoli divennero basi strategiche della pirateria nel Mediterraneo, lanciando numerose incursioni contro i territori controllati dalla corona spagnola. Anche le coste italiane, in particolare quelle meridionali, subirono pesanti razzie. Carlo V cercò di contrastare il fenomeno nel 1535, lanciando una spedizione contro Tunisi, dove riuscì a liberare migliaia di schiavi cristiani. Tuttavia, una successiva spedizione contro Algeri, nel 1541, fallì miseramente, lasciando le coste italiane vulnerabili a nuovi assalti.
L’Italia meridionale fu particolarmente colpita dalle scorrerie dei saraceni, con città e villaggi costieri frequentemente presi di mira. Sotto il comando di celebri pirati come Barbarossa, Dragut e Pialì Pascià, le incursioni raggiunsero anche il golfo di Napoli, lasciando dietro di sé distruzione e insicurezza.
L’opera dei viceré: le torri costiere
Per contrastare le incursioni saracene, il viceré spagnolo Pedro Alvarez de Toledo, tra il 1532 e il 1553, ordinò la costruzione di una rete di torri costiere armate e fortificate lungo le coste del Regno di Napoli. Queste torri, sia sulle spiagge che nei luoghi più elevati, fungevano da avamposti di difesa e comunicazione,
SORRENTO DEVASTATA DAI TURCHI: LA TRAGICA NOTTE DEL 1558
Rievocazione di una delle incursioni più devastanti nella storia della città, che segnò la fine della pace per Sorrento e i suoi abitanti.
Sorrento, una città immersa nella quiete della costa napoletana, nel giugno del 1558 fu teatro di un terribile evento: la brutale invasione dei turchi, un’incursione che segnò uno dei momenti più devastanti e memorabili per la popolazione sorrentina. Questa drammatica vicenda è narrata in un documento dell’epoca, pubblicato da Bartolommeo Capasso nel suo libro Memorie storiche della chiesa sorrentina. Il testo racconta la cronaca di quei terribili giorni attraverso le parole di un anonimo scrittore, probabilmente testimone oculare degli eventi, che descrisse in latino la “depopulazione della città di Sorrento.”
Il preludio dell’attacco e la sottovalutazione del pericolo
Nelle prime settimane di giugno, il Viceré di Napoli, Giovanni Manriquez de Lara, aveva inviato un commissario a Sorrento per avvertire la popolazione del pericolo imminente. Le flotte turche, con a capo il temuto Dragut, avevano infatti iniziato a razziare le coste calabresi. Il commissario ordinò che donne e bambini lasciassero la città per rifugiarsi in luoghi sicuri, ma gli abitanti, confidando nella pace e nella protezione divina, non colsero la gravità della situazione e rifiutarono di abbandonare la città.
In un clima di apparente tranquillità, però, la minaccia divenne presto concreta. Circa 115 soldati spagnoli giunsero a Sorrento in cerca di alloggio, ma l’accoglienza che ricevettero fu fredda. Gli abitanti temevano il peso economico e le razzie che questi soldati avrebbero potuto infliggere, così si rivolsero al Viceré per ottenere la loro partenza. A pochi giorni dall’allontanamento dei soldati, l’orda turca attaccò Sorrento.
La devastazione dell’alba e il ruolo di un traditore
Nella notte tra l’11 e il 12 giugno, una flotta di 116 triremi turche approdò alla costa campana, seminando distruzione nelle città di Massa e poi di Sorrento. Secondo il racconto, l’alba colse i sorrentini nel sonno, ignari della minaccia incombente, quando la porta della marina venne aperta. Qui emerge un sinistro dettaglio: alcuni storici attribuiscono il gesto a un servo turco della famiglia Correale, che, approfittando della fiducia del suo padrone, aprì la porta per far entrare i soldati turchi.
La città fu travolta dal caos. I turchi, penetrati tra le mura ancora addormentate, colpirono indiscriminatamente la popolazione. Nobili, contadini, uomini, donne e bambini furono catturati o uccisi, mentre le chiese venivano profanate, le reliquie sacre distrutte e le campane asportate.
La brutalità della razzia e la tragedia della popolazione
La testimonianza dell’anonimo sorrentino è vivida e straziante. I turchi non solo razziarono la città, ma trattarono gli abitanti con estrema brutalità: le donne venivano legate per i capelli e trascinate come greggi di animali, mentre altri prigionieri erano costretti a trasportare oggetti saccheggiati come fossero bestie da soma. Le chiese, ridotte a spelonche, divennero simbolo del disonore imposto alla comunità sorrentina.
La flotta turca abbandonò Sorrento solo dopo aver esaurito ogni forma di violenza. L’indomani, una pattuglia napoletana accorse per verificare l’entità dei danni, ma era troppo tardi: la città era stata “ripulita” e abbandonata, “vedova” e devastata, come riporta l’angoscioso testimone.
Il destino dei prigionieri e la ripartenza dei turchi
Terminata la razzia, la flotta turca si diresse verso Procida, dove, secondo un manoscritto dell’epoca, i prigionieri furono venduti al mercato. Il riscatto dei cittadini sorrentini non si concretizzò mai e la maggior parte dei prigionieri venne deportata in Oriente. Per i sopravvissuti e per quelli che assistettero impotenti alla devastazione, la fuga verso i monti di Faito divenne l’unica via di scampo.
Un’eredità di dolore e la ricostruzione
La devastazione di Sorrento segnò profondamente la comunità e il territorio. Da quel momento, la città si attivò per riedificare le proprie mura e rafforzare le difese, consapevole che la protezione divina, invocata con fiducia prima dell’attacco, non sarebbe stata sufficiente contro future minacce.
Oggi, la memoria di questo tragico evento persiste, ricordando alla comunità sorrentina l’importanza della difesa e della solidarietà di fronte alle avversità. Il “sacco dei turchi” del 1558 è rimasto un monito di resilienza e speranza per una città che, nonostante le sue tragedie, ha sempre saputo rialzarsi.
Pedro Trevigno: Un Ingegnere tra Italia e Spagna, tra Fortezze e Identità
Nel panorama dell’ingegneria militare del Cinquecento, un periodo in cui le potenze europee si sfidavano sul terreno dell’architettura difensiva, spicca la figura dell’ingegnere Pedro Trevigno. Sebbene le informazioni sulla sua vita siano scarse, è citato in alcune cronache grazie ai suoi legami con i grandi maestri italiani del tempo. Il Maggiorotti, nel suo saggio sugli architetti militari, menziona Trevigno come un membro del gruppo di tecnici incaricati dal Duca di Sessa e da Giovanni d’Austria per la difesa di Granada, al seguito di Battista Antonelli, noto ingegnere militare italiano.
Pedro Trevigno, a quanto si legge, era un ingegnere spagnolo con esperienza in Italia, dove si era formato e dove lavorò a stretto contatto con le grandi figure della scuola militare italiana del tempo. Nel 1574 è documentata la sua presenza a Napoli, segno che l’Italia fu per lui un luogo di formazione e ritorno, essendo coinvolto in progetti di fortificazione di rilievo.
La Scuola Italiana e il Circolo di Antonelli
Nel periodo rinascimentale, le famiglie italiane di ingegneri militari costituivano autentiche scuole, come sottolinea Maggiorotti. In particolare, la famiglia Antonelli spicca come uno dei nuclei attorno ai quali si formavano allievi italiani e stranieri. Le fortificazioni italiane attraevano i migliori architetti e ingegneri d’Europa, ed è qui che Trevigno apprese l’arte delle difese militari. Questo contesto è essenziale per comprendere l’importanza della sua formazione: l’Italia cinquecentesca era considerata una fucina di competenze in architettura militare, e le opere italiane erano richieste da molte corti europee.
L’Italia e la Spagna: Un Ingegnere tra Due Regni
La Spagna, nella sua espansione imperiale, si rivolse all’Italia per trovare ingegneri che avessero un’elevata esperienza in fortificazioni. Era pratica comune, per i nobili spagnoli, inviare i propri ingegneri a perfezionarsi nella Penisola, come fece con Pedro Trevigno e altri tecnici iberici. Il nome di Trevigno compare, italianizzato, in una serie di documenti in cui è indicato come “Pietro di Trevigno,” un adattamento italiano di “Pedro de Treviño,” dovuto alla difficoltà di traslitterare il suono tipico della “ñ” spagnola.
Il Progetto di Fortificazione di Sorrento
Nel 1558, Pedro Trevigno ricevette un incarico di rilievo: il progetto di rifacimento delle fortificazioni di Sorrento, all’epoca fondamentale per la difesa costiera del Viceregno di Napoli. Quest’opera sottolinea l’importanza strategica della sua figura, vista la responsabilità di un progetto militare in una città chiave per il controllo del Golfo di Napoli. La trascrizione “Pietro di Trevigno” che compare nelle fonti italiane rispecchia non solo un adattamento linguistico ma anche la rilevanza del suo ruolo, allineato alla tradizione ingegneristica militare italiana.
La Distorsione del Nome e l’Identità di un Ingegnere
La storpiatura del nome, da “Treviño” a “Trevigno” e l’aggiunta della preposizione “di,” tipica dell’italiano, contribuì ad alterare ulteriormente la sua identità. Tale evoluzione linguistica riflette il tentativo di italianizzare la figura di un tecnico straniero, rendendolo parte di una tradizione che, nel XVI secolo, era considerata il massimo dell’eccellenza in Europa.
Pedro Trevigno rappresenta dunque una figura emblematica dell’interazione culturale e professionale tra Italia e Spagna. Il suo percorso riflette il clima di scambio e di apprendimento reciproco tra due delle maggiori potenze dell’epoca, che, attraverso ingegneri come lui, influenzarono la struttura difensiva dei principali stati europei.
Sorrento nell’incisione del Pacichelli: Una Finestra sulla Città Fortificata del ‘600
Sorrento, durante la dominazione spagnola, fu una città dall’aspetto ben diverso da quello che conosciamo oggi. Le sue fortificazioni, erette per proteggere il territorio dalle incursioni nemiche, sono state tramandate attraverso antiche stampe, tra cui una preziosa incisione pubblicata dall’abate Giovanni Battista Pacichelli nel suo libro Il Regno di Napoli in prospettiva (Napoli, 1703). Questo raro documento grafico ci offre uno sguardo d’epoca sulla città e ci restituisce un’immagine che, pur non essendo precisa dal punto di vista proporzionale, è ricca di particolari e di fascino storico.
L’Incisione del Pacichelli: Un Documento Straordinario
L’incisione di Pacichelli, di piccole dimensioni (120 x 172 mm), non rispetta né le proporzioni né le distanze reali della città. La veduta “a volo d’uccello” è per lo più immaginaria, ma, nonostante questo, si tratta di una delle rappresentazioni grafiche più dettagliate e rare di Sorrento dell’epoca. Rispetto ad altre due stampe coeve, realizzate rispettivamente da Coronelli e Parrino, quella di Pacichelli si distingue per la ricchezza di particolari. Un cartiglio in basso a sinistra della stampa indica che la pianta è dedicata ai patrizi sorrentini Vincenzo, Urso e Mario Falangola, un omaggio alle famiglie di spicco della città.
Le Fortificazioni e le Porte della Città
La stampa di Pacichelli rappresenta le mura urbane con attenzione: sul lato orientale della cinta muraria si distingue il castello, affiancato dalla porta Maggiore, nota anche come porta di Sant’Antonino. Sul lato sud, la fortificazione è interrotta da tre bastioni, sormontati da piccole torri di guardia chiamate “garette”. Tuttavia, Pacichelli commette un errore: i bastioni effettivi erano quattro, e uno di essi si trovava vicino alla porta di Parsano nuovo.
Sul lato occidentale, la porta greca della Marina Grande segna il limite delle fortificazioni. Qui, la spiaggia era protetta dall’artiglieria posizionata su una piattaforma difensiva e da una torre, probabilmente identificabile con la Torre della Manganella. Sul lato nord, a picco sul mare, si vedono mura e alcuni imponenti edifici posizionati lungo la costa, destinati alla sorveglianza nelle situazioni di conflitto o di sospetto di attacchi nemici.
I Bastioni e le Torri: Un Sistema di Difesa Completo
L’incisione del Pacichelli mostra una Sorrento militarizzata, organizzata per difendersi. Le guardie, in caso di pericolo, venivano posizionate in punti strategici: la Torre della Manganella, la Scesa di Prospetto, la Torre dell’Orto a Corte, tutti luoghi di avvistamento strategici. La stampa riporta anche dettagli della Porta di Parsano vecchio, chiamata anche porta di San Bacolo o della Potenza, a fianco della quale sorgeva un bastione, sebbene Pacichelli ne rappresenti solo uno.
La Scomparsa delle Fortificazioni: Un Patrimonio Perduto
La Sorrento rappresentata nell’incisione del Pacichelli è in gran parte perduta. Durante il XIX secolo, molte delle fortificazioni cittadine vennero demolite. Scomparvero la porta Maggiore, il castello e le mura adiacenti, il ponte della porta di San Bacolo e la stessa porta, oltre alle torri bastionate. Anche la piattaforma vicino alla Marina Grande fu distrutta, probabilmente per un crollo, e la Torre della Manganella perse la parte superiore. Queste demolizioni privarono la città di elementi architettonici di grande valore storico e strategico.
Una Memoria di Sorrento e della sua Storia Militare
L’incisione di Pacichelli rimane un documento insostituibile per comprendere l’organizzazione urbanistica e militare di Sorrento nel XVII secolo. Sebbene l’immagine sia idealizzata, essa offre una testimonianza visiva di un’epoca in cui le mura e le torri erano parte integrante della vita cittadina e simbolo di protezione contro le minacce esterne. Questo piccolo e prezioso pezzo di storia su carta ci ricorda l’importanza di conservare e studiare le rappresentazioni antiche per preservare la memoria di un passato che, altrimenti, rischierebbe di andare perduto.
L’Ordine Bastionato: Il Genio Italiano nelle Fortificazioni del Cinquecento
Con l’evoluzione della guerra d’assedio nel Cinquecento, le fortificazioni europee cambiarono radicalmente. I vecchi bastioni e le mura semplici vennero abbandonati a favore di un nuovo assetto difensivo noto come “ordinamento bastionato”. Questo innovativo sistema militare, progettato dai migliori ingegneri italiani dell’epoca, modificò la concezione delle fortezze, portando a una rapida diffusione di bastioni a forma pentagonale lungo tutta Europa.
L’Origine del Sistema Bastionato
Il sistema bastionato italiano nacque per rispondere ai nuovi strumenti e tattiche di guerra che caratterizzavano il Cinquecento. Riconosciuta l’insufficienza delle mura antiche contro l’artiglieria pesante, si optò per strutture più complesse, dove le cortine murarie, che collegavano i baluardi, proteggevano e facilitavano il “fiancheggiamento” delle truppe. Questa organizzazione permetteva di coprire con fuoco laterale ogni avvicinamento nemico, rendendo la fortezza più resistente e strategicamente superiore.
La Struttura del Bastione: Un Miracolo di Geometria
La nuova fortificazione a poligono stellato prevedeva bastioni disposti ai vertici. Ogni bastione era composto da due facce rivolte verso l’esterno e due fianchi laterali, formando un angolo saliente orientato verso il nemico. Il lato posteriore del bastione, chiamato “gola”, restava aperto per facilitare i movimenti interni. L’intersezione tra i fianchi dei bastioni adiacenti e le cortine veniva definita “angolo del fianco”, un punto cardine per il posizionamento delle cannoniere.
Gli ingegneri italiani, come il celebre Francesco De Marchi, affinarono ulteriormente la tecnica, sviluppando fianchi ritirati, che posizionavano cannoniere in punti protetti e angolati in modo da evitare i colpi frontali dell’artiglieria nemica. Le spalle quadre e gli orecchioni sui lati dei bastioni garantivano una protezione aggiuntiva, consentendo a questi elementi difensivi di ospitare troniere basse e sparare tiri radenti che colpivano gli assalitori lungo il perimetro delle mura.
I Bastioni Meridionali e le Fortificazioni Italiane
I bastioni divennero i punti più strategici delle fortificazioni, in particolare nei lati sud delle città italiane dove l’artiglieria bassa era utilizzata per tiri di fiancheggiamento. Questo accorgimento costruttivo caratterizza anche le strutture difensive di città come Sorrento, con i suoi bastioni San Renato, Sant’Attanasio e Sant’Antonino. L’accuratezza ingegneristica e il perfezionamento dei fianchi ritirati resero queste fortificazioni tanto temute quanto inespugnabili.
Una Rivoluzione Architettonica che Ha Ispirato l’Europa
Il sistema bastionato, introdotto e perfezionato in Italia, ebbe un impatto straordinario sulle fortificazioni europee, dettando il modello difensivo fino al XVII secolo. Le fortificazioni a poligono stellato diventarono simbolo di innovazione e potenza militare, testimonianza del genio ingegneristico italiano. Da Venezia a Napoli, passando per città spagnole e francesi, l’ordinamento bastionato si diffuse come un modello unico, in grado di unire resistenza, geometria e strategia.
L’eredità dell’ordinamento bastionato rimane ancora oggi un esempio di architettura militare avanzata, incarnazione di un’epoca in cui la difesa e l’ingegno andavano di pari passo, contribuendo a definire il paesaggio urbano e la storia delle grandi città fortificate d’Europa.
Il Parziale Rifacimento della Fortificazione di Sorrento nel Cinquecento: Un’Opera di Ingegneria Militare e Adattamento
Nel corso del Cinquecento, le mura di Sorrento furono oggetto di un parziale rifacimento, mirato a integrare le antiche difese con le nuove esigenze di guerra d’assedio. Nonostante la crescente influenza del sistema bastionato, la cinta muraria della città non fu completamente sostituita: l’ingegnere Pedro Trevino conservò le strutture medievali ritenute ancora utili, come alcune torri e le porte cittadine, rinforzandole per adattarle alle necessità del tempo e ridurre i costi.
Un Compromesso tra Innovazione e Risparmio
Come ben descritto dallo storico Maggiorotti, le prime fortezze rinforzate seguivano una strategia di integrazione, piuttosto che di sostituzione totale delle mura medievali. L’aggiunta di baluardi agli angoli e il consolidamento delle lunghe cortine rappresentavano il tentativo di applicare i princìpi dell’ordinamento bastionato senza demolire del tutto le vecchie difese. Così fece Trevino: sulla parte meridionale della cinta muraria, ritenuta più vulnerabile, egli operò un completo rinnovamento, mentre altrove preferì modificare soltanto ciò che era indispensabile.
I Bastioni dei Cinque Santi: Protezione e Simbolismo
Nella nuova cinta muraria della città, il patrizio sorrentino Antonio Teodoro volle lasciare un tributo spirituale alla città, intitolando i bastioni ai cinque santi protettori di Sorrento. Il bastione San Valerio, originariamente detto di Parsano, si trova sul limite occidentale della contrada omonima; un secondo baluardo, Sant’Antonino (prima noto come Sovradonno), è stato costruito nei pressi di una delle porte. Seguono i bastioni Sant’Attanasio, nella zona di Santa Maria della Pietà, e Sant’Agnello del Vico, chiamato anche San Renato. Questa nomenclatura religiosa rifletteva non solo la devozione popolare, ma anche il desiderio di radicare le difese della città in un senso di identità spirituale e comunitaria.
Innovazioni e Adattamenti del Terreno
La fortificazione cinquecentesca di Sorrento non seguiva una struttura geometrica perfetta. Trevino dovette adattare la pianta alle irregolarità del terreno, compreso il burrone che segnava il confine naturale della città. Nonostante l’adattamento, rispettò le linee guida dell’ordinamento bastionato: ogni sezione della fortificazione doveva essere in grado di difendere la sezione successiva, in modo che la linea di difesa consentisse di colpire efficacemente chiunque si avvicinasse alle mura.
Linea di Difesa Ficcante e Fuoco di Fiancheggiamento
Le linee di difesa di Trevino rispettavano il principio della “difesa ficcante”: un tracciato che consentiva al moschetto di coprire efficacemente l’angolo difeso del bastione opposto. Sebbene oggi la vegetazione rigogliosa e le moderne costruzioni, come la centrale elettrica, oscurino alcune di queste linee, originariamente esse garantivano un fiancheggiamento efficace.
Una Difesa Irregolare ma Strategicamente Superiore
Il rifacimento della fortificazione sorrentino nel Cinquecento testimonia una fase storica di compromesso tra tradizione e innovazione, una necessità imposta sia dal paesaggio che dai limiti economici. In questo adattamento Trevino riuscì a dare vita a una difesa integrata, che sfruttava il meglio della tecnologia militare del tempo, rispettando la struttura preesistente e arricchendola di elementi nuovi e protettivi. Ancora oggi, gli ultimi resti della cinta muraria raccontano una storia di pragmatismo ingegneristico e devozione verso la città.
Le Cannoniere nella Fortificazione di Sorrento: Testimonianza di un’Arte Difensiva
Le cannoniere o troniere rappresentano una delle innovazioni più significative nelle fortificazioni cinquecentesche, e Sorrento non fu certo esente da queste strutture che vennero realizzate per ospitare l’artiglieria, fondamentale nelle guerre di assedio. Questi speciali spazi all’interno delle mura erano progettati per consentire ai soldati di manovrare i cannoni e rispondere al nemico con il fuoco ravvicinato, senza esporsi direttamente al pericolo.
La Struttura delle Cannoniere: Funzione e Design
Le cannoniere erano strutture scavate nei fianchi dei bastioni, le aree più vulnerabili delle fortificazioni, dove il fuoco di fiancheggiamento poteva dare il massimo vantaggio strategico. Ogni cannoniera, che poteva essere dotata di collo o priva di collo, era caratterizzata da un’apertura detta vacuo o tromba, la cui funzione era quella di ospitare il cannone in modo che potesse sparare senza ostacoli. Le pareti laterali di queste aperture venivano chiamate “guance”, mentre la parte inferiore, rialzata rispetto al suolo, veniva definita piano o pendio. Questo accorgimento permetteva di manovrare i cannoni più facilmente e in modo più sicuro.
Un altro elemento distintivo era la ginocchiera, una porzione di muro che si trovava tra il suolo e il piano della cannoniera. Questo elemento, che prende il nome dalla sua funzione protettiva (ovvero per proteggere le gambe dei soldati che maneggiavano l’artiglieria), faceva parte di una progettazione pensata per minimizzare i rischi di chi utilizzava le cannoniere.
Cannoniere con e senza collo
Le cannoniere venivano distinte in due tipologie: quelle con il collo e quelle senza. Il “collo” era una parte del canale che collegava l’interno della cannoniera all’esterno, consentendo una maggiore precisione nel tiro e una più facile manovra del cannone. Le cannoniere senza collo, che erano più semplici, non avevano questo canale stretto, e l’apertura per l’artiglieria era più diretta. Nella fortificazione sorrentina, le troniere ancora visibili nei fianchi ritirati dei bastioni, come quelle appartenenti al bastione Sovradonno, sono tutte prive di collo, un dettaglio che le rende particolarmente interessanti per gli studiosi di architettura militare.
I Resti delle Cannoniere di Sorrento
Oggi, le troniere superstiti della città sono testimonianze affascinanti di un’epoca passata. Sebbene molte delle cannoniere siano andate perdute, alcune di esse sono ancora visibili, soprattutto nelle mura più antiche. Il viandante che percorre la strada verso la porta di Parsano può osservare due di queste antiche strutture, una testimonianza tangibile del sistema difensivo che un tempo proteggeva la città. Tuttavia, il tempo e l’incuria hanno fatto il loro lavoro: le pietre delle troniere sono ora sconnesse, e la struttura appare pericolante. La zona è stata recintata con una rete metallica per prevenire incidenti, poiché sembra che un crollo imminente sia prossimo.
Un’Invenzione Cruciale nella Storia della Difesa
Le cannoniere furono una risposta alle nuove esigenze di difesa del Cinquecento, periodo in cui l’artiglieria divenne sempre più decisiva negli scontri. Questi spazi non solo permettevano di utilizzare armi da fuoco pesanti, ma cambiavano anche il modo di concepire la guerra: le mura non dovevano più solo ostacolare l’ingresso del nemico, ma dovevano essere in grado di rispondere attivamente con il fuoco. Sorrento, con le sue fortificazioni, si inserisce a pieno titolo in questo scenario, utilizzando queste strutture come parte di un sistema difensivo che rifletteva le innovazioni del periodo.
Le cannoniere sono, quindi, un importante esempio della capacità di adattamento e ingegno degli architetti militari del Cinquecento, che seppero integrare l’antico con il nuovo, preservando la città da minacce sempre più sofisticate.
Le Garettie e il Riempimento del Burrone di Sorrento: Un Capitolo di Dimenticanza e Trasformazione
Il burrone di Sorrento, con la sua straordinaria bellezza naturale, è stato testimone di un’importante trasformazione urbanistica che ha coinvolto non solo l’aspetto paesaggistico, ma anche il destino della fortificazione cittadina. Una delle peculiarità della difesa della città, come mostrato nelle incisioni del Pacichelli, erano le garettie o piccole torri situate sugli angoli salienti dei bastioni. Queste strutture avevano la funzione di ospitare le sentinelle e servivano come punti strategici per il controllo del territorio circostante. Tuttavia, le garettie, che un tempo rappresentavano una parte integrale della difesa della città, scomparvero lentamente a causa dei crolli, che segnano l’inizio del lento processo di degrado delle mura e delle strutture fortificate.
L’Indifferenza verso il Degrado: Una Storia di Abbandono
Nel corso del tempo, il deterioramento delle bastionate e la loro trasformazione da difesa a discarica divennero un fenomeno di normale amministrazione. La parte meridionale del burrone, per esempio, fu utilizzata come luogo di scarico per detriti e materiali di demolizione, un’operazione che iniziò in modo spontaneo e che poi venne ufficializzata dalle autorità comunali. Nel 1899, infatti, la giunta comunale di Sorrento riconobbe l’urgenza di trovare un’area per il deposito dei materiali da demolizione, sollevando il problema che molti proprietari si astenevano dall’iniziare nuove opere a causa della difficoltà di smaltire i rifiuti edili. Così, il burrone di Parsano fu scelto come luogo ideale per accogliere questi materiali.
La necessità di riempire il burrone divenne ancora più evidente nel 1912, quando la giunta comunale approvò un progetto che prevedeva il trasporto di detriti accanto alle mura di Parsano, un’area che doveva essere riempita gradualmente. Questo piano si concentrava sul riempimento del ramo meridionale del burrone, a partire dalla porta fino al bastione dei Bagnagatti, in un’operazione che trasformò completamente il paesaggio.
Il Progetto di Colmamento e le Prime Resistenze
Nel 1912, il Consiglio comunale dichiarò di pubblica utilità l’opera di colmamento del burrone e diede il via alla costruzione di un collettore per il convogliamento delle acque piovane verso la marina. Nonostante il progetto di scarico avesse suscitato resistenze, soprattutto per la trasformazione che avrebbe subito l’ambiente naturale, la necessità di affrontare il problema dei rifiuti divenne prioritaria. Tuttavia, i lavori di scarico non erano privi di critiche, soprattutto quando si cominciarono a depositare enormi cumuli di detriti in una zona che era frequentata da numerosi turisti e visitatori, e la bellezza panoramica del luogo sembrava destinata a scomparire per sempre.
Nel 1913, il Presidente della giunta sollevò il problema, chiedendo di fermare i lavori e di intervenire per fermare la deposizione di detriti accanto alle antiche mura. La situazione sembrava essere diventata insostenibile, ma il comune continuò a insistere sulla necessità di usare quel terreno per i detriti edili.
La Proposta di Salvataggio del Burrone: Una Decisione Cruciale
Un tentativo di espropriare il terreno e collegare le due piazze della città attraverso il riempimento del burrone fu avanzato, ma questa proposta fu bloccata grazie all’intervento di autorità locali, tra cui l’avvocato Cappiello, che si oppose fermamente alla completa distruzione del burrone. La sua azione fu determinante nel preservare almeno una parte di quel paesaggio naturale, evitando una perdita irreversibile di uno degli angoli più suggestivi di Sorrento.
Anche se il burrone non fu completamente colmato, la storia di Sorrento è segnata da un lungo periodo di incuria e disinteresse verso le proprie bellezze naturali, dove il degrado strutturale delle mura e la trasformazione della natura in discarica riflettono un cambiamento di priorità e una visione più utilitaristica del territorio.
L’Impatto e la Riflessione
Oggi, sebbene il burrone di Parsano sia stato in parte preservato, il ricordo di questo passato di abbandono e di trasformazione forzata resta vivo nella memoria collettiva. Le vecchie mura, i bastioni e le garettie sorrentine sono ormai parte di una storia che racconta non solo di difese militari, ma anche di un paesaggio che ha visto modificarsi il suo volto a causa delle necessità del tempo. La gestione del territorio di Sorrento, come in molti altri luoghi, è stata spesso segnata da interventi che, seppur necessari in alcuni casi, hanno provocato una perdita di valori storici e naturali che oggi, a distanza di decenni, possono sembrare difficili da recuperare.
In conclusione, la storia del burrone di Sorrento è un monito sull’importanza di preservare il patrimonio storico e naturale, evitando che la fretta di risolvere problemi pratici possa cancellare la bellezza che ci racconta il passato.
Il Bastione San Valerio o di Parsano: Storia e Trasformazioni
Il bastione San Valerio, noto anche come bastione di Parsano, è uno dei principali elementi difensivi delle antiche mura di Sorrento, ed è caratterizzato da un’architettura irregolare che lo distingue dalle altre strutture simili. Questo bastione, situato nella parte sud della città, è di forma cuneiforme, con un angolo difeso ottuso che si apre su un angolo di 115°, più ampio rispetto ai 100° previsti come valore massimo per la difesa. Tale irregolarità lo rende un esempio interessante di adattamento alle esigenze del terreno e della strategia difensiva.
La Struttura del Bastione: Irregolarità e Soluzioni Difensive
Il bastione San Valerio si presenta con caratteristiche uniche che merita di essere esaminate più nel dettaglio. La forma del fianco ritirato del bastione non è parallela alla cortina, ma diverge leggermente per dirigersi verso l’angolo difeso dal bastione opposto, un’innovazione architettonica che evidenzia la cura posta nell’organizzazione della difesa. Questo particolare permette di ottimizzare l’azione di fiancheggiamento, in modo che le artiglierie dei due fianchi possano coprire in modo più efficace la cortina e le aree vulnerabili.
Le troniere e le cannoniera costruite nel bastione sono un altro elemento interessante. Le cannonere furono progettate per seguire una norma precisa: quella di garantire che i pezzi di artiglieria posizionati nelle troniere fossero in grado di coprire tutta la cortina o la faccia del baluardo opposto. Le trombe delle troniere, così come le cannonere, sono oblique rispetto alla cortina, indicando che l’architetto incaricato aveva una solida conoscenza dei principi difensivi e delle tecniche di costruzione fortificata.
Le Cause dell’Irregolarità
L’irregolarità del bastione non è dovuta solo a scelte estetiche, ma a necessità pratiche legate alla difesa. L’architetto, nella progettazione, dovette adattarsi alla conformazione del terreno e agli spazi limitati. Se fosse stato costruito un bastione regolare nell’angolo del recinto, la cortina di collegamento con il bastione Sant’Antonino sarebbe risultata troppo corta, compromettendo la difesa del fossato. Inoltre, le necessità di fiancheggiamento delle artiglierie non sarebbero state soddisfatte. Per evitare questi difetti, l’architetto preferì un progetto irregolare che potesse garantire una difesa più efficace.
Il Progetto di Demolizione e il Salvataggio del Bastione
Nel 1890, l’ingegnere Enrico Smith fu incaricato dal Comune di redigere un progetto per la sistemazione della contrada Parsano, che prevedeva anche la demolizione di parte del bastione San Valerio per far spazio alla costruzione di un caseggiato destinato a scuderie e magazzini. Il progetto di Smith, che comprendeva anche la costruzione di nuove abitazioni, fu una proposta concreta di ristrutturazione della zona, ma prevedeva l’abbattimento di una parte significativa del bastione.
La demolizione fu pianificata in modo da inserire il caseggiato lungo la cortina tra i bastioni di Sant’Antonino e San Valerio, sfruttando la costruzione come supporto per il muro posteriore del caseggiato. Tuttavia, questo piano non venne mai attuato, e il bastione fu salvato dalla demolizione grazie all’intervento di diverse circostanze, tra cui la mancata apertura della strada prevista nel progetto di Smith, che avrebbe comportato la distruzione del bastione stesso.
La Conservazione e l’Importanza Storica
Il salvataggio del bastione San Valerio è stato fondamentale per la conservazione del patrimonio storico di Sorrento. Nonostante le trasformazioni urbanistiche che hanno interessato la zona di Parsano, il bastione è rimasto uno dei simboli storici della città, testimoniando l’ingegnosità della progettazione difensiva dell’epoca. Oggi, il bastione rappresenta un legame tangibile con il passato e una testimonianza del saper fare degli architetti che hanno saputo adattarsi alle difficoltà del terreno per garantire la sicurezza della città.
Il bastione di Parsano non solo ci parla di difese e guerre passate, ma racconta anche delle sfide legate alla crescita urbanistica di Sorrento, un compito che, nel corso dei secoli, ha richiesto compromessi tra conservazione e sviluppo. La storia del bastione San Valerio ci invita a riflettere sul delicato equilibrio tra la protezione del patrimonio storico e la necessità di adattarsi alle esigenze moderne.
Il Bastione di Sant’Antonino o di Sovradonno: Storia e Memorie Perdute
Il Bastione di Sant’Antonino, conosciuto anche come bastione di Sovradonno, si erge accanto alla storica Porta di Parsano nuovo, e rappresenta uno degli elementi difensivi più affascinanti e misteriosi delle antiche mura di Sorrento. Si tratta dell’unico bastione dotato di locali interni, la cui esistenza era stata dimenticata per secoli, fino a quando alcune indagini non ne hanno rivelato l’importanza.
La Scoperta delle Gallerie Interne
Nel 1891, una deliberazione della Giunta comunale sollevò la questione riguardante la possibile esistenza di gallerie all’interno del Bastione di Sovradonno. Secondo le indagini sommarie, vi era la possibilità che il bastione nascondesse grandi spazi sotterranei, che, se confermati, sarebbero stati di grande utilità per la comunità, offrendo nuovi locali pubblici come scuderie, depositi o altri usi. La Giunta decise quindi di intraprendere dei saggi per cercare di rinvenire queste gallerie, e i risultati furono positivi: i locali vennero effettivamente scoperti.
Oggi, questi spazi sono adibiti a deposito per il materiale della nettezza urbana, e vi si accede attraverso una breccia aperta sulla faccia destra del bastione. Un altro accesso fu creato anche sulla faccia sinistra, ma successivamente murato. È interessante notare che l’antica entrata ai locali interni del bastione pare fosse situata poco dopo la porta, sul lato sinistro dell’attuale via Antonino Sersale.
Il Design e le Troniere
Il bastione di Sovradonno si distingue per l’inserimento di due coppie di troniere, una su ciascun fianco ritirato, un design che riflette le esigenze difensive della struttura. Le troniere, progettate per ospitare artiglierie, erano parte integrante della difesa del bastione, e il loro posizionamento strategico avrebbe permesso di garantire una protezione efficace contro eventuali attacchi. La posizione delle troniere e la loro integrazione nella struttura testimoniano l’ingegno degli architetti militari dell’epoca.
Rappresentazioni Ottocentesche del Bastione
Nonostante l’usura del tempo e la naturale erosione causata dalle intemperie, che ha danneggiato il bastione e in particolare la sua torretta, il Bastione di Sovradonno ha continuato a suscitare l’interesse degli artisti. Un disegno ottocentesco, conservato nel Museo di San Martino, mostra il bastione ancora in buono stato, con la porta di Parsano nuovo visibile sul lato destro e il paesaggio circostante intatto. L’autore del disegno, D. Antonio Cammarano, fratello di Giuseppe, allievo di Hackert e Knipp, ha catturato la bellezza del sito, che in quel periodo appariva come un angolo di serenità e fascino. L’iscrizione sulla sua opera recita: “Mura di Sorrento accanto alla porta del Vescovado – È interessante vedere ancora un resto delle mura della patria del celebre nostro poeta Tasso”, un chiaro omaggio alla storia e alla cultura di Sorrento.
Anche Giacinto Gigante, uno degli artisti più rappresentativi del periodo, ha ritratto il bastione in uno dei suoi celebri disegni, conservato anch’esso nel Museo di San Martino. L’iscrizione che accompagna l’opera recita: “Ricordo del bel chiaro di luna – Ricordo di Paradiso”, una riflessione poetica sulla bellezza del sito, che ormai è stato in parte rovinato dal passare del tempo. Gigante descrive un paesaggio sereno e silenzioso, con la porta di Parsano nuovo visibile sul lato destro e le colline che circondano il bastione. Questo angolo di Sorrento, un tempo un vero e proprio paradiso, non esiste più a causa delle trasformazioni urbanistiche e dei cambiamenti del paesaggio.
La Degradazione e la Memoria Storica
Nel corso degli anni, il bastione di Sovradonno ha subito numerosi danni, sia a causa delle intemperie che della vegetazione selvatica che ha contribuito al suo deterioramento. La parte alta della struttura è crollata, e solo le mensole di tufo, sulle quali un tempo poggiava la garitta, sono ancora visibili. La torretta che caratterizzava il bastione è scomparsa, lasciando dietro di sé solo un ricordo di ciò che fu.
La bellezza di questo luogo, che un tempo rappresentava una difesa strategica di grande importanza, è stata immortalata dai disegni degli artisti dell’epoca. Tuttavia, la sua alterazione a causa del passare del tempo e delle modifiche urbanistiche ha privato Sorrento di un angolo di grande fascino e di valore storico.
Il Bastione di Sant’Antonino, o Sovradonno, rimane un importante simbolo della storia difensiva di Sorrento. Le sue gallerie interne, la progettazione innovativa delle troniere e i numerosi disegni che lo ritraggono sono testimonianze preziose di un’epoca passata. Sebbene oggi sia stato in gran parte deteriorato, il bastione continua a essere un punto di riferimento storico per la città, ricordando le sue radici difensive e culturali. La sua conservazione è fondamentale per mantenere viva la memoria storica di Sorrento, un patrimonio che ha attraversato i secoli e che merita di essere preservato per le future generazioni.
I Bastioni di Sant’Attanasio e San Renato: Difesa e Dignità Sorrentina
I bastioni di Sant’Attanasio e San Renato (noto anche come Sant’Agnello del Vico) rappresentano due delle fortificazioni storiche più significative di Sorrento. Questi baluardi, situati sulla sommità della rupe e ai margini del burrone, erano strutturalmente protetti dalla natura stessa, e sono esempi emblematici di come le fortificazioni medievali potessero sfruttare la geografia per garantirsi una difesa impenetrabile.
La Posizione Strategica
La collocazione di questi due bastioni sulla cima del dirupo conferiva loro un’incredibile vantaggio difensivo. La ripidità e l’altezza delle pareti di tufo che circondano questa parte della città rendevano impossibile ogni tentativo di scalata, mentre qualsiasi assalto diretto sarebbe stato contrastato dalla potenza dei bastioni stessi. La posizione sopraelevata, infatti, rendeva la città praticamente inespugnabile da questo lato, eliminando la necessità di rinforzi particolari per resistere a un attacco frontale. A differenza di altri bastioni, come quello di Sovradonno, che proteggevano una zona più vulnerabile, i bastioni di Sant’Attanasio e San Renato erano meno massicci, ma perfettamente adeguati alla difesa della zona più sicura di Sorrento.
Il Bastione di Sant’Attanasio
Il bastione di Sant’Attanasio, talvolta conosciuto anche come il bastione dei “Bagnagatti” per il nome di una località vicina, si trovava sulla sommità del burrone, proteggendo una parte della città particolarmente elevata. Il fianco ritirato destro di questo bastione era dotato di due cannoniere, che si vedono in una vecchia fotografia che testimonia la sua configurazione originaria. Queste strutture, sebbene oggi quasi dimenticate, erano strategicamente collocate per coprire eventuali attacchi laterali o pericolose incursioni. La cortina di collegamento tra il bastione e la vicina porta di Parsano si estendeva lungo la zona del burrone, avvolgendo quasi completamente il fianco del bastione, il che ne aumentava ulteriormente la protezione.
Sull’altro fianco del bastione, è stata identificata una sola cannoniera, un ulteriore segno dell’efficienza difensiva di questa fortificazione che, pur essendo meno imponente di altre, era comunque in grado di offrire una difesa valida per il sito che proteggeva.
Il Bastione di San Renato
Il bastione di San Renato, o di Sant’Agnello del Vico, è oggi in condizioni più rovinate, ma nella seconda metà del XIX secolo era ancora ben conservato e dotato di una garetta, come documentato in una fotografia dell’epoca. Sebbene la sua struttura sia ormai quasi completamente distrutta, questa fortificazione era una parte essenziale delle difese di Sorrento, essendo situata vicino alla sponda orientale del burrone.
Il fianco ritirato destro di San Renato ospitava una coppia di cannoniere basse, una tipica configurazione difensiva dell’epoca. La parte sinistra del bastione e il rispettivo fianco sono andati perduti, ma è probabile che queste aree ospitassero una disposizione simile di artiglieria, poiché non si poteva lasciare indifeso il lato che si affacciava sull’altro versante del burrone. Il bastione, seppur mutilo, giocava un ruolo cruciale nel sistema di difesa di Sorrento, proteggendo il confine orientale della città.
La Cortina di Collegamento
L’ultimo tratto di cortina collegava il bastione di San Renato al vicino castello, completando un sistema difensivo che percorreva le ripide cime dei dirupi. Quest’ultimo tratto di mura, purtroppo meno documentato, percorreva il bordo del burrone con una pendenza che rendeva ulteriormente difficile ogni tentativo di assalto.
I bastioni di Sant’Attanasio e San Renato sono testimoni silenziosi della forza difensiva di Sorrento, che nei secoli ha dovuto proteggere se stessa dalle incursioni e dai pericoli esterni. Sebbene oggi siano in parte distrutti, e altrettanto parte della loro storicità sia andata perduta, questi baluardi restano un simbolo della città, tanto per la loro ingegnosità architettonica quanto per la bellezza e la funzionalità della loro posizione.
L’equilibrio tra l’architettura difensiva e la geografia naturale, che ha permesso a Sorrento di resistere agli attacchi, è una testimonianza del genio degli architetti militari dell’epoca, che hanno saputo sfruttare le risorse naturali e progettare una città che, pur essendo vulnerabile da un lato, era quasi impenetrabile dall’altro. Oggi, i bastioni di Sant’Attanasio e San Renato continuano a rappresentare la forza e la resilienza storica di Sorrento.
La Descrizione della Fortificazione sul Lato Occidentale della Città di Sorrento
La fortificazione che cingeva il lato occidentale della città di Sorrento, purtroppo in gran parte demolita nel corso dell’Ottocento, rappresenta una delle strutture difensive più interessanti e complesse della città, ma la ricostruzione della sua fisionomia è stata un compito arduo. Le demolizioni ottocentesche furono così radicali che difficilmente si trovarono tracce visibili di questa antica fabbrica. La pianta del Pacichelli, che avrebbe potuto offrire spunti, non riuscì a riprodurre accuratamente la realtà dei luoghi, quindi è stato necessario fare affidamento su documenti storici e disegni rari per poter ricostruire l’aspetto di questa parte delle mura cittadine.
L’Ottocento e la Rappresentazione Artistica
Nel corso dell’Ottocento, numerosi artisti e disegnatori che visitarono Sorrento preferirono concentrarsi sulla bellezza della porta di San Bacolo, trascurando la descrizione della parte adiacente della fortificazione, probabilmente ritenuta meno suggestiva dal punto di vista artistico. Pochi sono i disegni o le incisioni che rappresentano con precisione la struttura difensiva sul lato occidentale della città, ma alcuni documenti ci permettono di ricostruirla parzialmente.
Una fotografia risalente a prima del 1890 fornisce un’immagine nitida del bastione di San Valerio e della cortina adiacente, che si interrompeva nel punto dove oggi sorge il corso Duomo, all’epoca chiamato Italia. La fotografia mostra anche la vegetazione lussureggiante che ricopriva l’area, sia dentro che fuori le mura. Al piede della fronte del Convento della SS. Annunziata, è visibile un antico rudere di torre, che fu demolita durante i lavori di apertura della strada provinciale per Massa Lubrense nel 1865.
Documenti Storici e Ricostruzione Grafica
Un altro documento utile nella ricostruzione della fortificazione è un incartamento conservato nell’Archivio Militare di Stato di Napoli. Questo fascicolo, datato 13 settembre 1855, riguarda una richiesta del Principe di Tricase, che chiedeva che venisse censito un terreno di sua proprietà situato in una “borrane naturale”, cioè in una valle o fossato, che si trovava vicino alla Porta Parsana. L’istanza descrive una cortina difensiva affiancata da due torri simili a bastioni e piantagioni che decoravano la zona. Il documento include anche un “croquis” (schizzo) che raffigura la porzione di mura di Sorrento in questione.
Inoltre, esistono vedute antiche che rivelano la struttura della Porta di Parsano, come quella di Achille Gigante, che ha disegnato il ponte e la porta, oggi conservato nel Museo di San Martino a Napoli. Questa rappresentazione offre uno spunto utile per comprendere la configurazione delle fortificazioni cittadine.
La Torre di San Bacolo e la Muraglia della Manganella
Un altro elemento di grande rilevanza storica è la Torre di San Bacolo, situata accanto alla porta omonima. Sebbene questa torre fosse molto diversa dai bastioni militari tipici del XVI secolo, la sua costruzione risale a un periodo in cui Sorrento era difesa da mura e torri, una caratteristica tipica delle fortificazioni medievali. Nel disegno di Gigante, accanto alla torre, si vedono delle mensole che sostenevano una “bertesca” o “garetta”, una piccola torretta di osservazione posta sopra la muraglia. Queste strutture erano generalmente utilizzate agli angoli dei bastioni, ma originariamente erano comuni lungo le mura della città.
La Torre di San Bacolo, che faceva parte della difesa della città, fu successivamente adattata in stile bastione, con l’aggiunta di due cannoniere sul suo fianco sinistro. La fotografia che rappresenta la fortificazione mostra anche altre due cannoniere, poste ai lati della porta, progettate per colpire frontalmente gli assedianti. La muraglia della “Manganella”, situata a nord della porta, aveva una configurazione simile, con due troniere visibili nel disegno dell’epoca.
Il Convento della SS. Annunziata e la Struttura della Torre
Accanto alla porta, vi era un’altra torre, costruita vicino al Convento della SS. Annunziata dei Padri Agostiniani. Questo convento, che in seguito divenne sede dell’Ospedale Civile di Sorrento, risale al 1600, quando fu fondato l’Ospedale Civile di Santa Maria della Misericordia, intitolato alla cappella vicina. L’ospedale fu trasferito nel convento degli Agostiniani nel 1780, e nel 1834 ritornò definitivamente nel convento della SS. Annunziata. Anche questa torre risaliva alla stessa epoca dell’altra, e la sua struttura ha un aspetto caratteristico che si nota anche nei disegni conservati.
La Ricostruzione di Vincenzo Stinga
La ricostruzione grafica di questa parte della fortificazione è stata affidata al prof. Vincenzo Stinga, il quale ha saputo restituire l’immagine di un luogo perduto con una straordinaria delicatezza. Le sue ricostruzioni, realizzate con un mix di precisione storica e affetto per la città, mostrano la porta di San Bacolo, le due torri laterali, il bastione di San Valerio e la cortina di mura che si estendeva fino al burrone sottostante, il quale rappresentava una difesa naturale fondamentale per la città.
Questa ricostruzione conferma che il lato occidentale di Sorrento, con le sue mura e torri, non necessitava di particolari rinforzi, poiché era già protetto dalla ripidità del terreno. Tuttavia, la presenza di piccole piattaforme e bastioni lungo la muraglia, che venivano utilizzati per contrastare gli attacchi, contribuiva ad aumentare la sicurezza della città.
La ricostruzione della fortificazione sul lato occidentale di Sorrento è un viaggio attraverso la storia della città e della sua architettura difensiva. Sebbene molte di queste strutture siano andate perdute, attraverso documenti storici e disegni rari, possiamo ancora oggi apprezzare la bellezza e l’ingegnosità delle mura di Sorrento, che un tempo proteggevano la città da attacchi esterni. Il lavoro di ricostruzione grafica, come quello realizzato da Vincenzo Stinga, ci permette di immaginare un Sorrento diverso, ma altrettanto affascinante, con le sue fortificazioni che raccontano storie di difesa e resilienza.