Archeologia in Penisola Sorrentina. L’Urna Funeraria del Hotel Bellevue Syrene

25 novembre 2024 | 11:52
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Archeologia in Penisola Sorrentina. L’Urna Funeraria del Hotel Bellevue Syrene

di lucio esposito

Aggiungiamo un altro tassello alla nostra speciale rubrica “Archeologia in Penisola”, un viaggio affascinante nel cuore della nostra storia antica, che ci permetterà oggi di scoprire un reperto straordinario: una urna funeraria posta sulla terrazza pompeiana del celebre Hotel Syrene a Sorrento.

Con non poca fatica e una grande passione, l’obiettivo di questa rubrica è quello di condividere e comunicare i risultati di studi e ricerche archeologiche sull’antichità della nostra penisola. Spesso questi lavori sono pubblicati in libri difficilmente accessibili e molto costosi, scritti da esperti del settore, per un pubblico ristretto di archeologi e studiosi. La nostra missione è renderli comprensibili e fruibili per un pubblico più ampio, facendo scoprire l’affascinante storia che si nasconde dietro ogni reperto.

Oggi ci occupiamo di una scoperta veramente singolare, proveniente da un libro raro e prezioso, intitolato Preneste tra archeologia e epigrafia. Questo volume, che esplora il legame tra l’antica città di Preneste (oggi Palestrina) e i ritrovamenti archeologici ed epigrafici, ci svela una storia incredibile legata a un oggetto dal valore inestimabile. La storia dell’urna funeraria, rinvenuta sulla terrazza di uno degli hotel più rinomati di Sorrento, ci porta a immaginare un legame tra la grande tradizione archeologica di Pompei e la costiera amalfitana, testimoniando come il patrimonio antico permei anche i luoghi più inaspettati e moderni.

L’urna, di pregevole fattura e dal significato storico indiscutibile, si trova in un contesto architettonico affascinante: la terrazza pompeiana del Hotel Syrene, uno degli angoli più esclusivi di Sorrento, che ci riporta alla magnificenza della vita quotidiana nell’antica Roma, tra arte, architettura e rituali funerari. Questo reperto, testimone di una storia lontana, è un altro tassello che arricchisce la conoscenza della nostra penisola e che merita di essere raccontato e condiviso, come parte di un patrimonio che non smette di affascinare.

Per chi si avvicina a questo campo, la storia dell’urna è un esempio di come anche i luoghi più inaspettati possano nascondere tracce di grande valore archeologico, legando passato e presente in un affascinante viaggio nel tempo.

Esaminiamo la scoperta e la documentazione relativa all’ara sepolcrale di Hortensia Eunoe, rinvenuta nel febbraio del 1887 nella zona di Le Colonnelle, presso Gallicano nel Lazio, un’area che in epoca romana faceva parte dell’ager Praenestinus. La scoperta è avvenuta durante la costruzione di un vigneto, e la segnalazione fu fatta dal sindaco di Gallicano, Giuseppe Sarti. L’ara, che era ben conservata, presentava emblemi, fregi e un’iscrizione importante, e venne subito esaminata dall’ispettore degli scavi di Palestrina, Vincenzo Cicerchia, su richiesta di Giuseppe Fiorelli, Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti.

Oltre a confermare la scoperta dell’ara, l’analisi ha rivelato nuovi dettagli. L’ara, che era una pietra funeraria con iscrizione, era dedicata a Mata Tlacital e celebrava le virtù della defunta Hortensia Eunoe, enfatizzando il suo valore attraverso una serie di aggettivi laudativi utilizzati dal marito. L’iscrizione riporta la data della morte di Hortensia, che avvenne nell’anno dei consoli sufferti Corellius Rufus e Funissalama Vettonianus, identificando la datazione della dedicatio dell’ara al 7 maggio 79 d.C.. Quest’informazione è anche significativa per stabilire un termine ante quem per il consolato di Rufus e Vettonianus, confermando che tale evento risale al 78 d.C.

Inoltre, durante lo scavo, venne rinvenuta una casetta cilindrica in piombo usata per la distribuzione dell’acqua, recante l’iscrizione che indicava il nome e il rango del concessionario. Si ritiene che il proprietario della villa in cui l’ara fu trovata fosse stato probabilmente il collezionista Lord William Waldorf Astor, noto per aver acquisito numerosi reperti archeologici, e che avesse trasferito l’ara dalla zona di Gallicano alla sua villa a Sorrento, dove fu esposta nella terrazza della Villa Pompeiana.

L’analisi dettagliata dell’ara e del suo contesto storico ha permesso non solo di documentare il ricco apparato decorativo, ma anche di apportare alcuni emendamenti al testo dell’iscrizione, rivelando ulteriori particolari che confermano l’importanza di questo reperto per la comprensione della storia e della cultura di Praeneste e delle sue pratiche funerarie.

Nel febbraio del 1887, la scoperta di un cippo funebre di marmo, riportato alla luce da un contadino di nome Angelo Petrinca durante la piantagione di un vigneto, segnò un’importante fase di ricerca archeologica nell’ager Praenestinus, un territorio che in epoca romana apparteneva alla città di Praeneste (oggi Palestrina). Il ritrovamento avvenne nel contesto della zona di Le Colonnelle, a Gallicano nel Lazio, un’area che, oltre ad essere abitata fin dall’epoca romana, possedeva numerose ville suburbane. Questo evento archeologico, che si inseriva in un ampio paesaggio di reperti e strutture romane, è documentato nei minimi dettagli attraverso una serie di rapporti ufficiali, lettere e scambi epistolari tra le autorità locali e nazionali, evidenziando l’importanza della scoperta e le sue implicazioni per la storia di Praeneste e per lo studio della documentazione epigrafica e archeologica.

Il cippo rinvenuto era un ara sepolcrale dedicata alla memoria di Hortensia Eunoe, una donna romana, e fu commissionata dal marito Tiberio Claudio Floriano. La sepoltura si trovava a una profondità di circa mezzo metro rispetto al piano di calpestio, in prossimità di un muro in opera reticolata ricoperto di stucchi colorati. Il muro, che risaliva probabilmente a una villa di otium (villa suburbana dedicata al riposo e al piacere), e l’ara stessa costituivano un’importante testimonianza della ricca e articolata vita culturale e sociale della zona. La scoperta del cippo funebre, che presentava un’iscrizione epigrafica ancora ben conservata, fece subito pensare alla necessità di un attento esame da parte di specialisti.

Il ruolo di Giuseppe Fiorelli e Vincenzo Cicerchia

Il Ministero della Pubblica Istruzione si attivò prontamente per l’acquisizione e la conservazione del reperto. Il Direttore Generale delle Antichità e delle Belle Arti, Giuseppe Fiorelli, incaricò Vincenzo Cicerchia, Ispettore degli Scavi e dei Monumenti di Palestrina, di condurre un sopralluogo e di preparare una relazione dettagliata. Cicerchia, che si scusò per il ritardo nel riferire sulla scoperta, inviò il 12 marzo 1887 una relazione minuziosa al Ministero, corredandola con disegni e calchi dell’iscrizione. Il suo rapporto descriveva non solo la condizione del cippo funebre, ma anche il contesto in cui era stato rinvenuto, evidenziando l’importanza di ulteriori indagini per comprendere meglio la storia e l’architettura della villa circostante. Fiorelli, che era impegnato nella supervisione degli scavi e nella pubblicazione dei ritrovamenti, aveva anche l’intenzione di rendere pubblica la scoperta attraverso la rivista ufficiale del Ministero, le Notizie degli Scavi di Antichità, presentando la documentazione ai membri della Reale Accademia dei Lincei.

La documentazione e la compravendita del reperto

Oltre agli aspetti tecnici della scoperta e del suo studio, la vicenda del cippo funebre di Hortensia Eunoe si intreccia anche con un’importante trattativa amministrativa. Il 1° aprile 1887, il Ministero della Pubblica Istruzione aveva già manifestato l’intenzione di acquistare l’ara per trasferirla in uno dei musei statali di Roma. La negoziazione fu gestita da Cicerchia, che comunicò al sindaco di Gallicano, Giuseppe Sarti, l’offerta per l’acquisto del reperto. Tuttavia, la trattativa si rivelò più complessa del previsto. Il comune di Gallicano, pur essendo favorevole alla vendita, non accettò immediatamente l’offerta economica. La somma proposta dal Ministero (sessanta lire) fu considerata insufficiente, soprattutto in ragione della parziale conservazione del reperto e delle difficoltà legate alla trascrizione dell’iscrizione. La negoziazione, quindi, non andò a buon fine e il destino dell’ara rimase incerto.

La perdita del reperto e la sua importanza

Poco dopo, il cippo funebre scomparve dalla documentazione ufficiale, e non se ne ebbero più tracce. Nonostante il tentativo di acquisizione da parte dello Stato, il reperto non venne mai realmente acquisito e, nel 1887, lo specialista epigrafista Hermann Dessau non riuscì ad esaminarlo per includerlo nel volume del Corpus Inscriptionum Latinarum. L’unico documento che permise di conoscere l’iscrizione fu la prima edizione curata da Fiorelli nella rivista Notizie degli Scavi di Antichità, che comunque non era completa in ogni dettaglio. Il corpo epigrafico dell’ara rimase quindi parzialmente conosciuto, con la sua storia legata a un progetto incompleto di pubblicazione e a una transazione mai conclusa.

Contesto storico e architettonico

Il contesto del ritrovamento era ricco di spunti per l’archeologia e la storia romana. Le ville suburbane di Praeneste, tra cui quella a cui si riferiva l’ara di Hortensia Eunoe, erano strutture che riflettevano la crescita e l’affermazione della classe aristocratica romana. La villa di Le Colonnelle si inseriva in un paesaggio di residenze lussuose, caratterizzate da ampi giardini, impianti termali e strutture decorative. La presenza di un muro in opera reticolata e di stucchi colorati rispecchiava l’influenza della pompeiana nei decorativi. La scoperta delle strutture architettoniche circostanti, come la casa colonica e l’urna cineraria, suggeriva anche l’esistenza di spazi dedicati alla vita quotidiana e alla sepoltura dei servitori o degli abitanti della villa.

La vicenda del ritrovamento e dello studio dell’ara sepolcrale di Hortensia Eunoe rappresenta un episodio significativo nell’ambito della ricerca archeologica e epigrafica dell’epoca. Essa mette in evidenza non solo le dinamiche di scoperta, ma anche la complessità del sistema di conservazione e valorizzazione dei reperti antichi. La trattativa amministrativa per l’acquisto dell’ara, sebbene non andata a buon fine, sottolinea l’interesse crescente per la tutela e la diffusione del patrimonio archeologico, che avrebbe trovato una nuova linfa vitale con il rafforzamento delle politiche culturali negli anni successivi. Allo stesso tempo, la scomparsa dell’ara e la perdita della sua traccia ci ricordano quanto fragile possa essere la memoria storica, soprattutto quando dipende da trattative amministrative e da contesti che sfuggono al controllo delle autorità competenti.

La storia dell’ara sepolcrale di Hortensia Eunoe si intreccia con il collezionismo e la storia del patrimonio archeologico tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Questo monumento, scoperto nel 1887 a Gallicano, si trova oggi nella terrazza della Villa Pompeiana dell’Hotel Bellevue Syrene a Sorrento, ma il suo percorso di conservazione è stato segnato da una serie di passaggi di proprietà e vicissitudini che meritano di essere esplorate.

La Scoperta e il Passaggio a Sorrento

Il monumento epigrafico, un’ara sepolcrale in marmo dedicata a Hortensia Eunoe, venne rinvenuto a Gallicano nel Lazio durante la piantagione di un vigneto nel 1887. Successivamente, l’ara fu catalogata insieme ad altri reperti archeologici e custodita presso una struttura ricettiva. Se inizialmente la sua destinazione finale non era chiara, un’indicazione cruciale per capire il suo passaggio a Sorrento riguarda il collezionista Lord William Waldorf Astor, un noto aristocratico anglo-americano che acquisì numerose antichità romane.

Negli inizi del Novecento, Astor divenne proprietario della Villa Tritone a Sorrento, una residenza che trasformò in un parco-museo. Tra gli oggetti acquistati, che componevano la sua vasta collezione, c’erano marmi antichi, colonne, statue e sarcofagi. La collezione era stata principalmente acquisita dal mercato antiquario di Roma, dove l’ara di Hortensia Eunoe potrebbe essere giunta con il benestare delle autorità locali, inclusi i responsabili del comune di Gallicano, che apparentemente avevano autorizzato la vendita.

Astor aveva anche riorganizzato la villa con colonne, capitelli e altri reperti, creando un collegamento scenografico tra gli spazi interni e il giardino, che venne denominato Villa Pompeiana per la sua ispirazione al mondo antico, in particolare alla Pompei. Il collegamento tra le varie strutture e l’uso di arredi antichi era un tratto distintivo delle sue trasformazioni.

Il Ritrovamento e la Collocazione a Sorrento

La segnalazione della presenza dell’ara a Sorrento arriva attraverso il Hotel Bellevue Syrene, dove, dopo il passaggio di proprietà e le modifiche apportate da Lord Astor, la struttura divenne un albergo. Nel 2019, la proprietà dell’albergo, tramite Elsa Russo e il direttore Nello Pane, ha comunicato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli la presenza dell’ara nella terrazza della Villa Pompeiana. In quel momento, né la proprietaria né il direttore erano a conoscenza della provenienza storica del monumento da Gallicano, e dei passaggi che avevano portato l’ara a Sorrento.

La Collezione di Lord Astor

La passione di Lord Astor per l’archeologia e l’arte antica lo spinse a collezionare numerosi reperti da diverse città italiane, in particolare da Roma, dove acquistò sculture e marmi antichi, inclusi sarcofagi e arule sepolcrali. La sua collezione di circa 110 pezzi comprendeva, oltre a sculture medievali e rinascimentali, reperti legati alla vita quotidiana e funeraria dell’antica Roma. Questa collezione, che si estendeva dalla Villa Tritone alla Villa Pompeiana, ha svolto un ruolo centrale nel definire l’immagine della villa come un museo all’aperto che univa la bellezza naturale del parco a quella dei reperti archeologici.

Il Monumento Epigrafico di Hortensia Eunoe

L’ara sepolcrale di Hortensia Eunoe, che oggi conserva la sua iscrizione e il corredo decorativo, era originariamente un monumento funerario opistografo (scritto su entrambi i lati), di dimensioni significative (154 x 45 x 62 cm). Presenta una decorazione ricca e simbolica, con motivi figurativi, tra cui una protome di Giove Ammone e un’aquila retrospiciente. L’iscrizione è incisa su un dado con cornici decorative, e la parte inferiore dell’ara è adornata da una ghirlanda di alloro con elementi simbolici, tipici dei monumenti funerari dell’antica Roma. L’ara, purtroppo, è stata mutilata sul retro, probabilmente a causa di un reimpiego in età tardo-antica, che ne ha ridotto la visibilità originale.

La Conservazione e la Perdita di Traccia

A causa della sua immigrazione dal contesto originario di Gallicano e del passaggio attraverso varie mani, l’ara ha subito una serie di trasferimenti e cambiamenti di contesto che hanno complicato la sua documentazione storica. La collocazione finale della scultura nella Villa Pompeiana di Sorrento, pur essendo documentata, non era nota per lungo tempo, e solo con la segnalazione dell’Hotel Bellevue Syrene nel 2019 sono emersi nuovi dettagli sulla sua provenienza e sulle vicissitudini che hanno segnato il suo passaggio.

L’ara sepolcrale di Hortensia Eunoe rappresenta un esempio emblematico di come i reperti archeologici possano essere trasferiti, collezionati e trasformati in oggetti di lusso e di scena, nel contesto di una società che, tra Ottocento e Novecento, ha visto un crescente interesse per l’antichità e il suo collezionismo. La storia dell’ara, che va dalla sua scoperta in Gallicano alla sua collocazione finale in Sorrento, evidenzia non solo il valore culturale e storico dell’oggetto stesso, ma anche le dinamiche di appropriazione e conservazione del patrimonio archeologico.

Il testo che hai fornito riguarda un’iscrizione funeraria e alcune riflessioni relative a pratiche e celebrazioni religiose romane, come i culti delle divinità inferi, la commemorazione dei defunti, e l’interpretazione di testi epigrafici.

  1. Giove Ammone e il candelabro: La descrizione della figura di Giove Ammone, con la testa di Giove e dell’aquila, e la sostituzione con un candelabro, suggerisce un cambiamento nell’iconografia, in cui l’oggetto rituale diventa il centro di attenzione. Il candelabro, con il suo fusto elaborato, è un simbolo della transizione tra la vita e la morte, una rappresentazione che può essere interpretata come un elemento di comunione tra il mondo terreno e quello divino. La presenza di dettagli come la sfinge con ali potrebbe essere un riferimento a simboli di protezione o di potere spirituale.
  2. Testo epigrafico: Il testo che segue sembra essere un’integrazione a una lapide funeraria, che fa riferimento a un sacrificio per Muta Tacita, una divinità infera legata al silenzio e ai Manes, divinità dei morti. L’invocazione di Muta Tacita come divinità tutelare in un contesto funerario è significativa, poiché i “muti” Manes erano divinità venerate in occasione di cerimonie funebri, come il Feralia o il Lemuria, in cui si cercava di pacificare gli spiriti dei defunti.
  3. Date e riferimenti storici: L’iscrizione fa riferimento a specifici eventi storici e cronologici, come i consolati di Corellius Rufus e Funisulanus Vettonianus nel 78 d.C. e la sepoltura di Hortensia Eunoe, presumibilmente celebrata con una cerimonia il 7 maggio. La scelta di questa data potrebbe essere legata ai rituali religiosi dei Lemuria, celebrati intorno a quella data, e che avevano un forte legame con le divinità dei morti, come Mania e Tacita Muta. Il riferimento alla raccolta del farro e ad altre pratiche rituali è un collegamento alle celebrazioni che avevano lo scopo di proteggere l’anima del defunto e garantirne il passaggio tranquillo nell’aldilà.
  4. Cerimonia di consacrazione: Il testo suggerisce che l’ara funeraria fu consacrata nel contesto di una cerimonia religiosa importante, che sottolinea l’importanza del culto dei defunti e delle divinità infernali. La presenza di consoli e delle date precise conferma l’accuratezza storica di questa cerimonia, inserendola nel contesto politico e religioso dell’epoca.

In sintesi, il testo fornisce una ricca interpretazione di pratiche funerarie romane e dell’influenza delle divinità infernali, come Muta Tacita, nelle celebrazioni della morte. Il candelabro e l’iscrizione testimoniano il rispetto e la devozione che i vivi avevano per i defunti e il loro passaggio nell’aldilà.

PRAENESTE TRA ARCHEOLOGIA ED EPIGRAFIA

Marietta Horster, Maria Grazia Granino Cecere (ed.)

Giovanna Di Giacomo

A proposito dell’ara sepolcrale di Hortensia Eunое e di altre antichità scoperte nella contrada ‘Le Colonnelle’ presso Gallicano nel Lazio (CIL XIV 4276-4277)

Un esame della documentazione conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma ha permesso di acquisire nuovi dati non solo sul luogo e le circostanze del la scoperta dell’ara sepolcrale opistografa di Hortensia Eanne (CIL XIV 4276), rinvenu ta nel febbraio del 1887 nel I territorio di Gallicano fappartenente, nell’antichită, all’ager Praenestinue), tra i resti di una villa di oriune in contrada Le Colonnelle, ma anche su passaggi storico-antiquari che hanno preceduto Pattuale collocazione di conservariume a Sorrento, sulla terrazza della Villa Pompeiana dell’Hotel Bellevue Syrene (ignota agli autori del CIL e al Dessan Responsabile del trasferimento dell’ara da Gallicano a Sorrento potrebbe essere stato il collezionista Lord William Waldorf Astor, che, agli inizi del Novecento, era divenuto proprietario della confinante Villa Tritone e l’aveva collegata lussureggiante parco museo alla dipendenza terrazza che, proprio per le trasformazioni da lui apportate, sarà poi denominata Villa Pompeiana. All’interno di questa cornice Lord Astor aveva fatto allestire parte di quella collezione di antichità che, tra il 1890 e il 1905, aveva acquistato soprattutto sul mercato antiquario di Roma, dove, in quegli stessi anni, poteva essere approdata, con il benestare del Sindaco e della Giunta di Gallicano, anche l’ara sepolcrale di Hortensia Eu Grazie a un sopralluogo a Sorrento è stato possibile documentare il ricco apparato decorativo del monumento e proporre alcuni supplementi ed emendamenri al testo in esso iscritto. Di particolare interesse sono la singolare consacrazione dell’ara a Mata Tlacital, la quantità di aggettivi laudativi con cui il marito esalta le virtù della defunta, il modulo formulare che ricorda la data della morte isecura facta est…) e della sepoltu ra di Hortensia Eunce nell’anno in cui furono consoli sufferti O Corellius Rufus e L Funissalama Vettonianus, e le coordinate temporali della dedicatio dell’ara, avvenuta presumibilmente il 7 maggio del 79 d.C., ia. Capfsvonio Parto et Calvizio Калоне со(м) stulibma)/ (questa integrazione ha fornito anche un importante caposaldo ante quem per attribuire il consolato di Rufus e Vetronianus al 78 d.C.). Nelle vicinanze dell’ara sepolcrale di Hortensia Euune si rinvenue anche quella che sembrerebbe una caserta cilindrica in piombo di distribuzione dell’acqua (CIL XIV 4277). Questa recava impresso per tre volte il hollownti viri) clarissimil, compo sto dal nome e dal titolo di rango del concessionario dell’acqua che, determinato momento, era verosimilmente stato il proprietario della villa in contrada “Le Colonnelle.

Il 26 febbraio del 1887 il Prefetto della Provincia di Roma segnalava alla Di- rezione Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero della Pubblica Istru- zione che il sindaco di Gallicano nel Lazio, Giuseppe Sarti, aveva denuncia- to alcune scoperte avvenute nel territorio del proprio comune’, territorio che, nell’antichità, ricadeva nell’ager amministrato dalla città di Praeneste (fig. 1). Nella contrada vocata ‘Le Colonnelle (figg. 1 e 2.1), situata sulla sommi- tà dell’omonimo colle subito a sud-est del centro storico di Gallicano (quota m 276 s.l.m.) e delimitata dal fosso del Traglione a nord e dal Colle di S. Rocco

1 Tutta la documentazione al riguardo, compresa tra il 26 febbraio e il 6 settembre del 1887, è conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma: ACSR, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti. Antichità e Scavi, II versamento, I serie, busta 253, fascicolo 4386.

a sud, un contadino, Angelo Petrinca, piantando un vigneto in un fondo che gli era stato concesso in enfiteusi perpetua dal comune, aveva riportato alla luce, “tra alcuni sassi e ruderi”, un “cippo funebre di marmo, “abbastanza ben con- servato”, con “emblemi, fregi ed iscrizione”, che-secondo il sindaco -“merita- va di essere esaminato da persona competente”. Il 5 marzo il Direttore Generale delle Antichità e delle Belle Arti, Giuseppe Fiorelli, pregava Vincenzo Cicerchia, Ispettore degli Scavi e dei Monumenti di Palestrina, di compiere con urgenza un sopralluogo: desiderava conoscere “immediatamente” le modalità e le circo- stanze in cui era avvenuta la scoperta e ricevere, “in pari tempo”, una descrizio- ne dell’apparato figurativo del “cippo” e un buon calco cartaceo dell’iscrizione in esso incisa. Il 12 marzo l’ispettore Cicerchia, scusandosi per non aver riferito prontamente sulle antichità rinvenute alle ‘Le Colonnelle’, ottemperava a quan- to richiesto e inviava a Fiorelli un “particolareggiato rapporto”, corredato da disegni (figg. 3-4) e calchi in carta velina, che il 14 aprile provvedeva a integrare anche con una “copia più esatta dell’iscrizione” incisa sul “cippo” (fig. 5), comprensiva di “qualche supplemento” emerso in seguito a una più attenta lettura.

Grazie a questo “rapporto”, che solo in parte è confluito nelle “Notizie degli Scavi di Antichità” comunicate da Fiorelli all’adunanza della Reale Accademia dei Lincei nella prima metà di aprile (fig. 6), sappiamo che il “cippo innalzato dalla madre Horten[sia] Euno[mia] e dal marito Ti. Claudius) Flor[idus] alla dolcissima Muta”, o meglio, l’ara sepolcrale commissionata da Ti. Claudius) Flor[ianus?] per la moglie Horten[sia] Euno[e] era stata scoperta a circa mezzo metro di profondità dal piano di calpestio moderno e a quattro metri di distan- za da un “muro in opera reticolata benissimo costruita e ricoperta di stucchi finissimi d’ogni colore, come, per es., rosso, bianco, verdognolo, nero, turchino, e con tracce di segni lineari”. Sempre in prossimità di questo muro Angelo Pe- trinca aveva rinvenuto anche un” urna cineraria di piombo di forma cilindrica verticale” sulla quale ritorneremo che era “segnata a lettere rilevate da una

  1. FIORELLI 1887, 121-124. 3 E precisamente tra il 1 aprile, quando Fiorelli informava Cicerchia che avrebbe tenuto conto della sua relazione “per le consuete comunicazioni alla R. Accademia dei Lincei”, e il 14 aprile del 1887, data in cui Cicerchia perfezionava la prima relazione con alcune integrazioni e ret- tifiche non figurano nella comunicazione lincea pubblicata nella rivista “Notizie degli Scavi di Antichità”, cf. anche infra, nota 47. Q

leggenda” con direzione retrograda. Altri muri rivestiti “di piccola opera qua- drata con legamenti di laterizio” erano stati riutilizzati nella costruzione della casa colonica del fondo; a una quota più bassa rispetto alla casa, verso occiden- te, si conservava anche “un edificio in parte diruto di opera reticolata” coperto con una volta a botte; un piccolo riquadro di opera reticolata, infine, era visibi le, ancora nel 1970, nel muro esterno del vicino casale detto ‘Il Conventaccio. Tutte queste strutture erano verosimilmente riconducibili a diverse pertinenze di una delle ville di otium (figg. 1 e 2.1) che connotavano il paesaggio suburbano di Praeneste tra la tarda età repubblicana e l’età imperiale, cui faceva pendant, sul versante opposto del Colle ‘Le Colonnelle’, a una quota più alta (m 313 s.l.m.), la grande villa (figg. 1 e 2.2), alimentata da due cisterne per l’acqua, con annessi un impianto produttivo (un doliarum, due vasche e una cisterna ipogea) e un sepolcreto (forse riservato al personale che vi prestava servizio), che è stata indagata tra il 2006 e il 2011 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. Dal carteggio tra Fiorelli, Cicerchia e il sindaco Sarti si evince che il 1 aprile del 1887 il Ministero della Pubblica Istruzione aveva già formalmente manife- stato l’intenzione di acquistare “a buone condizioni” l’ara marmorea di Hor- tensia Eunoe per trasferirla in uno dei musei statali di Roma. A tal proposito Cicerchia, incaricato da Fiorelli di condurre le trattative della compravendita, il 14 aprile lo informava che il sindaco di Gallicano era favorevole all’alienazione a titolo oneroso e aspettava dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti “l’offerta del prezzo” da sottoporre per l'”accettazione finale” alla giunta comunale. Dopo mesi di silenzio, il 6 settembre del 1887, il Ministero della Pubblica Istruzione, rispondendo a una sollecitazione inviata il 26 agosto dallo stesso Sarti, offriva al comune di Gallicano “sessanta lire” quale corrispettivo per l’acquisizione dell’ara, in ragione della “non integrità” del supporto e “spe cialmente dell’iscrizione. La contrattazione, tuttavia, non sembra sia andata a buon fine. Non abbiamo, infatti, notizie in merito all’accettazione del prezzo da parte del sindaco e della giunta di Gallicano. L’unico dato certo è che del monu- mento epigrafico si persero poco dopo le tracce, tanto che Hermann Dessau nel 1887 non riuscì a esaminarlo per la pubblicazione nel volume XIV del “Corpus Inscriptionum Latinarum” (fig. 7), ma si baso sulla prima edizione curata da Fiorelli nella rivista “Notizie degli Scavi di Antichità” (fig. 6)

catalogata insieme ad altri beni archeologici ivi conservati, l’aveva lasciata in custodia presso la struttura ricettiva. Risalendo indietro nel tempo, non sembra a questo punto irragionevole sup- porre che l’acquirente dell’ara e il responsabile del suo trasferimento a Sorren- to sia stato il collezionista americano, poi naturalizzato cittadino britannico, Lord William Waldorf Astor”, primo barone di Hever Castle nella contea di Kent in Inghilterra. Agli inizi del Novecento, infatti, Lord Astor era divenuto proprietario della villa sorrentina che, dopo la sua morte, assumerà il nome di Villa Tritone”, e l’aveva scenograficamente collegata con un lussureggiante parco, arredato con colonne, capitelli, basi, statue, trapezofori, vasi decorati e sarcofagi, alla dipendenza con terrazza che, proprio per le trasformazioni da lui apportate, sarà poi denominata Villa Pompeiana. Nelle sale interne di questa dipendenza Lord Astor aveva voluto realizzare una riproduzione della domus 12 Sul personaggio e le sue collezioni di antichità: STRONG 1965; ASTOR 1969. 13 Il nome attuale della villa, costruita alla fine dell’Ottocento dal barone calabrese Labonia, si deve infatti all’olandese Gerard Hero Omko Geertsma che, dopo il 1919, l’acquisto dagli eredi di Lord Astor. 14 Sulla storia, la formazione e la consistenza della raccolta di Villa Tritone (circa 110 pezzi, anti- chi o all’antica, tra i quali sono comprese anche sculture medioevali e rinascimentali, indicative dello spirito ecclettico di Lord Astor): GASPARRI 2010, 610-618.

Dobbiamo a una segnalazione la conoscenza dell’attuale collocazione di conservazione dell’ ara sepolcrale: la terrazza della Villa Pompeiana dell’hotel Bellevue Syrene a Sorrento” (fig. 8) che, in passato, era stata una dipendenza della confinante Villa Tritone. La proprietaria del complesso alberghiero, Elsa Russo, e il direttore Nello Pane” non conoscevano la provenienza prenestina del monumento epigrafico e, di conseguenza, neppure i passaggi storico-antiquari che ne avevano determinato la migrazione da Gallicano fino a Sorrento. Alla pari dei precedenti proprietari, avevano infatti trovato l’ara già sistemata nella terrazza della Villa Pompeiana e, in tale occasione, avevano provveduto anche a segnalarne la presenza alla Soprintendenza Archeologica di Napoli, che, dopo averla

9 CIL XIV 4276 (EDR169123). 10. La collocazione a Sorrento, senza ulteriori precisazioni, era già nota a SOLIN 2008, 300. 11 Che vorrei qui ringraziare non solo per avermi permesso di visionare l’ara sepolcrale il 30 agosto del 2019, ma anche per la disponibilità e l’ospitalità che mi hanno riservato in quell’occasione.

dei Vettii di Pompei e probabilmente anche in questa cornice antichizzata, comme nel contiguo parco-museo, aveva fatto allestire parte di quella collezione di tichità che, tra il 1890 e il 1905, aveva comprato nel circuito degli antiquari di Napoli, Firenze e Roma”. D’altra parte, la principale fonte di acquisizione dei marmi antichi esposti nella Villa Tritone era, per l’appunto, il mercato antiqua- rio di Roma, dove in quegli stessi anni poteva ben essere approdata, con il benestare degli organi istituzionali di Gallicano, anche la nostra ara sepolcrale. 1. Il monumento sepolcrale di Hortensia Eunoe e il suo corredo epigrafico (CIL XIV 4276) Il monumento destinato a perpetuare nel tempo il ricordo di Hortensia Eunoe è un’ara parallelepipeda opistografa con zoccolo e coronamento modanati (154 x 45 x 62 cm), mutila sul retro degli angoli superiore e inferiore sinistro e priva della metà destra, segata probabilmente a scopo di reimpiego già in età tardo- antica; il coronamento, centinato, era in origine compreso tra due pulvini late- rali con strozzatura centrale, decorati da una rosetta a sette petali. Sulla fronte (figg. 9-10) il campo della centina conserva solo parte di uno schema ornamen- tale ricorrente, composto di due spirali nastriformi, simmetriche e contrappo- ste, chiuse nelle volute centrali da una rosetta a otto petali e inquadrate ai lati da due semipalmette a rilievo; il dado, occupato dall’iscrizione (a), impaginata sia entro uno specchio epigrafico definito da cornice a gola rovescia (86 x 23; lett. 5-2 cm), sia nello spazio compreso tra quest’ultimo e lo zoccolo (8 x 45; lett. 1,7-1,2 cm), è decorato, all’angolo superiore, con una protome di Giove Ammone e, all’angolo inferiore, con un’aquila retrospiciente ad ali spiegate, due motivi figurativi che dovevano ripetersi specularmente anche nella metà perduta. Sul fianco sinistro (figg. 10-12) campeggia un’elaborata ghirlanda di foglie e bacche di alloro, le cui estremità, in un primo momento, erano entrambe annodate, tramite eleganti tenie con lembi dall’andamento sinuoso, alle corna

15 Il nucleo principale della raccolta di antichità costituita durante il soggiorno in Italia fu trasfe- rito nel 1905 da Lord Astor nella tenuta di Hever, acquistata nel 1903, per essere sistemato nel castello e, soprattutto, nello splendido giardino all’italiana che era stato appositamente creato dall’architetto paesaggista Joseph Cheal: STRONG 1965; ASTOR 1969. Tra questi reperti archeo- logici si segnalano, in particolare, tre are sepolcrali (CIL VI 8439a, 9052; 27028), due cinerari (CIL VI 21943; 26108 = 34170) e un sarcofago (CIL VI 383431733) provenienti da Roma: ASTOR 1969, 1; 5; 8 s. 12, nn. 3; 38; 47; 76; 82; 103. 16 GASPARRI 2010, 608-610; 617. A causa dei diversi passaggi di proprietà che interessarono, alla morte di Lord Astor, la Villa Pompeiana, le antichità ivi conservate, pur essendo parte integran- te della stessa collezione destinata all’arredo di Villa Tritone e dell’annesso parco, non sembra abbiano ricevuto uguale attenzione da parte degli studiosi.

ricurve delle protomi angolari di Giove Ammone: a sinistra, infatti, la testa di Giove Ammone e quella dell’aquila sottostante sono state accuratamente scal- pellate e sostituite da un candelabro di pregevole fattura, poggiante su una pic- cola base, che è stato lavorato a rilievo smussando e abbassando lo spigolo del dado; il fusto del candelabro è composto da un calice di foglie di acanto, una sfinge (?) ad ali spiegate, un doppio calice a due file di foglie, concentriche e

ramento e ampliamento, quella suggerita a suo tempo da Vincenzo Cicerchia (figg. 3 e 5-6) e, soprattutto, da Theodor Mommsen nell’edizione in CIL. XIV 4276 (fig. 7). Il testo può essere sciolto e integrato come segue (fig. 16): recto (a) Mutae Tacitae sanctissimae sacrum]. Hortensiae-lib(erta)? 3 Eunoleae) Tiberius) Claudius Ti(beri)? lib(ertus)?| Florlianus?. coniugi ofbsequentissimae), dominae dulcissimae et] 10 indulgentissimae et püssimae, bonae) animae locupletissimae et candidis/simae, feminae?) simplicissimae atque is incundlissimae atque excellentissimae atque benemerentissimae, omni) bono dignissimae fecit), cum qua vixi bolnam et piam vitam? 20 compluribus annis). Secura facta est Vidus Octobr(es) et sepulta III idus mensis eiusdem?/ Corellio et Vettoniano co(n)s(ulibus); curante? Ti(berio)? Claudio?–, ara dedicata est nonis Mais Caę sennio Paeto et Calvisio Rusone coin)- s(ulibus).

a, 1 Mutae T(iti) f(iliae)) Cicerchia, Mutae Tutelae?/ Mommsen;

4 Horten/sius), poi ret- tificato Hortensia Cicerchia;

5 Eunomia mater et] Cicerchia;

7 Florfidus—?] Cicer- chia, Florfus/ Mommsen; 8 ofptimae) Cicerchia, clarissimae Mommsen; 12 locupleti Mommsen; 14-16 simplicitate?/iucunditate et?/excellentia Cicerchia; 17 benemerenti omni Cicerchia, Mommsen; 19 bonus et Cicerchia, bolnam vitam) Mommsen; 22 CO/Cicerchia, coniugis iussu ei] Mommsen; 23 Carco(n)- s(ulibus)) Cicerchia. QQ

322 Giovanna Di Giacomo come taciti e, viceversa, i fasti Antiates maiores indichino Tacita Muta, quale divinità destinataria di un sacrificio 1’11 maggio, con il nome di Malnial, non diversamente da quanto attestato in altre fonti (Mania, i.e. mater Larum)”. Sono dunque la natura di divinità infera, l’associazione non solo onoma- stica ma anche cultuale ai Manes, con i quali condivide il silenzio proprio dei morti, i “sacra” celebrati in suo onore durante i Feralia e nel secondo giorno del triduo dei Lemuria”, a spiegare le ragioni per cui il nostro dedicante abbia consacrato l’ara funeraria della moglie a Muta Tacita, optando per una formula di apertura, che, a giudicare da un confronto con il resto della documentazione epigrafica, si rivela del tutto inusuale: la dèa, infatti, appare altrimenti invocata (anche insieme ai Manes, definiti-significativamente-muti e taciti) solo in una sfera sepolcrale parallela ma sotterranea, quella delle defixiones”, per le quali, come è noto, la consacrazione a una divinità infernale era uno dei fattori impre- scindibili per assicurarne l’efficacia. Proseguendo la lettura del testo, incontriamo i nomi della defunta, Horten- sia Eunoe, e del marito dedicante, un Tiberius Claudius, il cui cognome potreb- be completarsi con Floridus o, più probabilmente, con Florianus per ragioni legate all’impaginazione e alle dimensioni della lacuna laterale destra. Sempre

  1. Ov, fast. 5, 421-422: ritus erit veteris, nocturna Lemuria, sacri: / imperias tacitis Manibus illa dabunt. 27 A. Degrassi, Interft XIII 2, 10,11 (11 maggio): H Lemuria), nefastus) / Maniae), ef, anche A. Degrassi, Inserit XIII 2, 456; DONATI STEFANETTI 2006, 59 (con bibliografia precedente); vd. anche MANCINI 1921, 95, che ha suggerito, dubitativamente, la possibilità di integrare l’anno- tazione con Manibus). 28 Varr. ling, lat. 9. 61: Videmus enim Maniam mater Larum dici, Mact. sat. 1, 7, 35:… ut pro familiarum suspitate pueri mactarentur Maniae deae, matri Larum, Arnob, nat. 3, 41: Varro similiter baesitans nunc esse illos Manes et ideo Maniam matrem esse cognominatam Larum, nunc aerios rursus deos et heroas pronuntiat appellari, nunc antiquorum sententias sequens larvas esse dicit Lares, quasi quosdam genios et functorum animas mortuorum, ef. anche Fest. 114 1… ant Mania est eorum (scil, larvarum, ie. Manium) avia materve; Fest. 115 L:… Sunt qui Maniam larvarum (ie. Manium) matrem aviamque putant. 29 Ov. fast, 2, 571-582. 30 Cf. ampra, nota 27. 31 AE 1921, 95 (ΑΕ 2008, 1080 AE 2010, 109: Pannonia superior Siscia), 13. 16. 3-5: mutact faciat). Muta Tagita (1) adver<s>a<i>o<s> / nos/s/tro<s> o<br>mut’escant ne contra nos lo’qu’aentur>…. AE 1958, 150 (= AE 2010, 109: Raetia Cambradumum) 1-4 Mutae Tacitar ut mutus sit / Oma (furiens

A cristallizzare sul marmo l’avvenuto trapasso di Hortensia Eunoe nella quiete della morte che libera dalle preoccupazioni e dai pericoli della vita è – nedita l’espressione secura facta est, cui fanno seguito la registrazione del giorno del decesso, (scil. ante diem) V idus Octobr(es)], 1’11 ottobre, e, probabilmen- te, nella metà perduta, l’indicazione del giorno della sepoltura. Quest’ultima, tenuto conto dei tempi necessari alla presentazione delle denuncia di morte e all’organizzazione delle esequie, sarà stata di poco successiva al giorno del de- cesso, come ad esempio il 13 ottobre, i.e. (sepulta (scil. ante diem) III idus mensis eiusdem?), oppure, se vogliamo prestare fede a una controversa glossa di Servio, avrà avuto luogo il nono giorno dalla morte ovvero il 19 ottobre, i.e. (sepulta (scil. ante diem) XIV kal(endas) Novembres?/”. L’anno è espresso con l’indicazione della coppia di suffetti in carica, Q. Corellius Rufus e L.. Funisulanus Vettonianus”, il cui consolato, certamente precedente per ragioni prosopografiche al 20 settembre del 82 d.C., è stato dubitativamente ascritto all’anno 78 d.C.”.

  1. Che tra il decesso e i funerali intercorresse un breve intervallo di tempo si deduce, in particolare, dalla lex libitinaria di Puteoli (ΑΕ 1971, 88 – ΑΕ 2004, 421, cf. anche CASTAGNETTI 2012), che contiene alcune prescrizioni volte a garantire soprattutto per ragioni religiose e igieniche – la rapidità dei servizi di sepoltura, come, ad esempio, quella che prevede penalità per l’impresa di pompe funebri che ritardi lo svolgimento delle prestazioni relative alle esequie; quella di portare via i corpi dei suicidi e degli schiavi nello stesso giorno della denuncia di ritrovamento dei cadaveri o, al massimo, in quello successivo; e, infine, quella di accordare la precedenza. all’espletamento dei funerali dei decurioni e degli impuberi (cf., a questo proposito, Svet. Nero 33, secondo cui il fumes acerbum di Britannico fu celebrato il giorno successivo alla morte). 36 Serv. ad Verg. Aen. 5, 64-66: Per nonam diem, alludit ad novemdialia Romanorum sacra pro mortuis: servabantur enim domi cadavera septem dies, octavo cremabantur, nono reliquiae sepulchro mandabantur. 37 Si tratta di una proposta di integrazione basata sul sopracitato luogo di Servio (cf. supra, nota 36) che, tuttavia, è stato messo in discussione con argomentazioni persuasive da SCHED 2011, 144-146. Lo studioso, infatti, attraverso un riesame complessivo delle altre fonti disponibili (ivi comprese le prescrizioni della legge appalto puteolana, su cui cf. supra, nota 35), è pervenuto alla conclusione che i funerali fossero generalmente celebrari poco dopo la morte: ne consegue che il sacrificio novendiale cui allude Servio, celebrato nove giorni dopo il decesso (novemdialia Romanorum sacra pro mortuis…), al momento della sepoltura della salma (… nono reliqmae sepulchro mandabantur), non sarebbe altro che il risultato di una confusione con il sacrificio novendiale che chiudeva il periodo del lutto iniziato con il seppellimento del defunto, ef., a que sto proposito, Apul. met. 9, 30-31… peractis feralibus officis, frequenti prosequente comitatu, (scil. opifices dominum) tradunt sepulturae…. lamque nono die rite completis apud tumubon sollemnibus (scil. filia) familiam suppellectilemque et omnia wonenta ad hereditariam deducit auctionem, Porph. ad Hor epod. 17, 48: Cineres reliquarum vult intellegi. Nam novemdiale dicitur sacrificium, quod mortuis fit nona die, qua sepultura est, PIR C 1294. 38 39 PIR F 570, cf. DNP IV (1998) 771 s.v. Funisulanus (W. Eck).

Nell’ultima riga è ricordata la cerimonia di consacrazione dell’ara, che fu celebrata, forse per cura dello stesso dedicante o di un suo liberto, nonis Mais, il 7 maggio, di un anno espresso con una seconda coppia consolare, questa volta però in gran parte in lacuna. Restano, tuttavia, in margine di frattura, tre lettere appartenenti al nome del primo membro della coppia consolare, una C, una A e l’asta verticale di una E (ancora integra all’epoca del Cicerchia). Si tratta, con un buon margine di certezza, delle iniziali del secondo gentilizio di L. lunius Caesennius Paetus”, che assunse i fasci con P. Calvisius Ruso Iulius Frontinus proprio nell’anno 79 d.C. I due senatori subentrarono come suffeti a Tito e al fratello Domiziano il 1ª marzo del 79 d.C. ed erano ancora in carica il 29 maggio dello stesso anno: un intervallo temporale, dunque, nel quale si inserisce perfettamente il giorno della dedicazione della nostra ara. Questo supplemento fornisce anche un importante caposaldo ante quem per attribuire il consolato di Q. Corellius Rufus e di L. Funisulanus Vettonianus al 78 d.C. perché, come suggerisce il buon senso, la sepoltura di Hortensia Funoe e la consacrazione del monumento destinato a preservarne la memoria non fu- rono eventi molto lontani nel tempo. Veniamo ora all’iscrizione incisa sul prospetto posteriore (b) (fig. 18), che, a giudicare dall’uguale altezza delle quattro lettere conservate e dallo spazio disponibile nel campo scrittorio, doveva disporsi su tre righe, composte al mas- simo di 5/7 caratteri e separate da un’ampia interlinea. Della sua solidalită per epoca e contenuto all’iscrizione incisa sulla fronte non vi è ragione di dubitare: le lettere sembrano realizzate dalla mano dello stesso marmorario e la rilavora- zione che ha interessato l’apparato decorativo può ben spiegarsi con un ripen- samento del dedicante, soprattutto considerando i mesi intercorsi tra la morte di Hortensia Eunoe, la commissione e la dedicazione dell’ara.

42 La scelta di dedicare l’ara il 7 maggio potrebbe essere significante perché questo giorno è in qualche modo collegato alla ricorrenza dei Lemuria e, di conseguenza, alla festa in onore di Mania-Tacita Muta. Secondo Serv. ad Verg, ecl. 8, 82, infatti, dal 7 fino al 14 maggio, le tre Vestali più anziane attendevano alla mietitura, trebbiatura e macinatura rituale delle spighe di farro con cui avrebbero preparato la mola salsa: queste operazioni erano compiute alternis diebus e, pertanto, ricadevano nelle giornate dei Lemuria (9, 11 e 13 maggio) o alla loro vigilia (8, 10 e 12 maggio); il farro, non ancora maturo perché raccolto anzitempo, richiamava, inol tre, quello che era stato il destino terreno dei lemures, uomini morti prima di aver formato una famiglia e di aver generato figli (due elementi necessari per acquisire, dopo la morte, la qualità di parentes-antenati: SABBATUCCI 1988, 165 s., cf. A. Degrassi, Inserit XIII 2, 454, 43 PIR C174, 44 PIR C350. 45 CIL VI 597 (= CIH. VI 30801a), cf. anche KIENAST ET AL. 2017, 102, 106 e 110: Vespasiano e

Generico novembre 2024

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