Procida, dietro le dimissioni dell’assessore Carannante la penate senza della Cassazione sulla tentata estorsione

11 novembre 2024 | 15:19
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Procida, dietro le dimissioni dell’assessore Carannante la penate senza della Cassazione sulla tentata estorsione

Diverse settimane fa l’assessore del Comune di Procida, Carannante presentava le sue dimissioni. Oggi emerge la verità sul “doloroso” passo. Le dimissioni del professionista procidano dalla giunta guidata dal sindaco Dino Ambrosino sarebbero legate alla sentenza della Corte di Cassazione che lo condanna. Nel novembre 2023, dopo l’assoluzione con rito abbreviato in primo grado, l’ex assessore era stato, infatti, condannato in Appello per tentata estorsione: inutile il ricorso per Cassazione, respinto dalla Suprema Corte che di fatto ha chiuso la sua esperienza politica. Non ci sono motivazioni, pertanto, di natura personale, politica o di altra natura alla base delle dimissioni dalla carica di assessore del Comune di Procida, Antonio Carannante. Una avventura durata ben nove anni e chiusa dalla condanna definitiva, causata dalla sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione. La vicenda era valsa persino gli arresti domiciliari al politico e nel merito della quale è stata scritta la parola fine dalla Seconda Sezione Penale che ha respinto il suo ricorso alla condanna presentato dallo stesso Carannante, che era assistito dagli avvocati Luigi Tuccillo e Alessandro Iazzetti.
LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO
Come viene evidenziato nel dispositivo, il ricorso era stato proposto contro la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 30 novembre 2023 con cui il Pubblico Ministero ha dichiarato Antonio Carannante colpevole del reato di concorso in tentata estorsione.  Carannante – in concorso con Giuditta Rita Giacquinto (la condanna della quale è divenuta irrevocabile in quanto non impugnata) – quale avvocato nonché assessore al Comune di Procida con deleghe al contenzioso, con minaccia consistita nel rappresentare a Salvatore Costagliola che, nel caso in cui questi non avesse provveduto all’immediato versamento a favore della Giacquinto di 20.000 euro, quest’ultima avrebbe denunciato ai carabinieri i presunti abusi edilizi consumati dallo stesso Costigliola, aggiungendo che la Giacquinto era ‘molto arrabbiata’ per il fatto che il Costagliola non aveva evaso le sue precedenti pretese e che dunque avrebbe agito nei confronti di quest’ultimo ‘a trecentosessanta gradi’, facendo a tale riguardo pressioni sull’Agente di Polizia Locale del Comune di Procida affinché procedesse a controlli sul manufatto del Costagliola, in tal modo compiendo atti idonei e diretti in modo non equivoco a procurare a sé ed alla Giaquinto un ingiusto profitto. Il reato è contestato come commesso in Procida nel dicembre 2019 ed accertato nel gennaio 2020”.
LA CONFERMA DELLA CASSAZIONE
Anche la Cassazione conferma le accuse per cui “il ricorso in tutte le sue prospettazioni non è fondato”. La stessa Corte territoriale ha, poi, con una valutazione di merito insindacabile in questa sede di legittimità, adeguatamente motivato circa l’attendibilità della persona offesa dal reato, non costituitasi parte civile, che ha reso dichiarazioni valutate come non caratterizzate da intenti speculativi, conformi e reiterate nel tempo oltre che coerenti, di fatto non smentite dalle ulteriori risultanze probatorie richiamate nella sentenza ed anzi confermate dal richiamo alle altre prove dichiarative emergenti dagli atti (vedi dichiarazioni dell’Ing. Lubrano presente ad uno degli incontri con l’imputato allorquando fu formulata la richiesta estorsiva il quale ha anche riferito di aver ricevuto più telefonate dall’imputato che insisteva per ottenere dal Costigliola la risposta alla domanda di esborso di denari) oltre che dal contenuto delle conversazioni registrate. A ciò si aggiunge che la motivazione della sentenza della Corte di appello non è certo ‘manifestamente’ illogica e tantomeno contraddittoria.
Poi la sentenza della Cassazione firmata dal presidente Sergio Beltrani e dal consigliere estensore Marco Maria Alma aggiunge: “ In sostanza, in tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione, su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze  del Costagliola che ‘attaccano’ la persuasività, l’inadeguatezza della precedente sentenza. Sulla qualificazione giuridica del fatto come concorso in tentata estorsione – contrariamente a quanto asserito dal ricorrente – è del tutto irrilevante l’intervenuta (di fatto) esclusione della contestazione alternativa formulata dal Pubblico Ministero riguardante la violazione degli artt. 56, 317 cod. pen.. Il Collegio della Corte di Cassazione rileva che è  a ritenersi corretta nel momento in cui la Corte territoriale ha comunque doverosamente valorizzato la forza intimidatoria esercitata dall’avv. Carannante con il suo agire nei confronti del Costagliola avvalendosi anche del proprio ruolo di assessore al Comune di Procida con deleghe al contenzioso. E’ il caso del richiamo effettuato nella sentenza impugnata alle dichiarazioni rese dal Vigile Intartaglia che – come ha ricordato la Corte di appello – ha riferito le pressioni ricevute dal Carannante affinché fossero eseguiti controlli presso l’immobile del Costagliola in fase di ristrutturazione, fornendo quindi informazioni coerenti con quelle rese dalla persona offesa e ritenute indicative del comportamento fortemente incalzante mantenuto dall’odierno ricorrente nei confronti della stessa persona offesa. Correttamente la Corte territoriale ha poi evidenziato come la condotta dell’odierno ricorrente ha ampiamente travalicato le ordinarie caratteristiche di tutela extraprocessuale della propria assistita Giuditta Giaquinto avendo il Carannante operato nella vicenda su due piani: «uno diretto verso la persona offesa tramite la prospettazione neppure velata di iniziative giudiziarie, in assenza di qualsiasi titolo per proporle, e, quindi, volte esclusivamente ad intralciare la prosecuzione dei lavori ed uno, connesso al primo, rivolto verso le opere di ristrutturazione della proprietà immobiliare, esercitando, quindi una attività che, complessivamente valutata, assume caratteri di intimidazione finalizzata a coartare la volontà della persona offesa al fine di ricavarne un profitto ingiusto, tramite l’imposizione della dazione illecita di 20mila euro». Sotto questo secondo profilo è stato, scrivono i giudici  “correttamente rimarcato dalla Corte di Appello come l’odierno ricorrente, approfittando della sua veste di assessore comunale, si era recato più volte presso il Vigile Intartaglia per sollecitare verifiche e controlli presso la proprietà dove Costigliola stava realizzando consistenti lavori di ristrutturazione e che da dette sollecitazioni ne conseguivano, nei primi giorni di marzo 2019 e come riferito dalla persona offesa, più attività da parte dei vigili che peraltro non portavano all’accertamento di alcuna irregolarità”. Fatti ai quali si aggiunge la già più volte richiamata attività intimidatoria esercitata attraverso l’esercizio da parte dell’avv. Carannante di poteri extraprofessionali”. Insomma una situazione pesante che al momento ha estrinsecato solo uan parte dei suoi pesanti effetti.