Sisma del 23 novembre 1980. Le parole di Sandro Pertini: “Il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”
Oggi ricorre il 44esimo anniversario del terremoto che colpì con violenza l’Irpinia e la Basilicata. Una magnitudo 6.9 della scala Richter che alle 19:34 del 23 novembre 1980, per novanta lunghissimi secondi, fece tremare la terra ed il cuore lasciando macerie, morti e feriti. L’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, ricevuta la notizia della tragedia, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri il 25 novembre si recò in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall’Irpinia il 26 novembre il Presidente della Repubblica fece un discorso a reti unificate nel quale denunciò con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Parole dure le sue, come non si erano mai ascoltate in un discorso istituzionale, ma che entrarono a far parte della storia. Il discorso di Pertini ebbe come ulteriore effetto quello di mobilizzare un gran numero di volontari che si recarono nelle zone del sisma per portare aiuto.
Il Presidente Sandro Pertini così si rivolse agli italiani: «Sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione dei sopravvissuti. Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe. A distanza di 48 ore non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. Sono stato avvicinato da abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione ed il loro dolore, ma anche la loro rabbia. Non è vero – come qualcuno ha scritto – che si sono scagliati contro di me, anzi sono stato circondato da affetto e da comprensione umana. Ho dovuto constatare che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. E i superstiti presi di rabbia mi dicevano: “Ma noi non abbiamo gli attrezzi necessari per poter salvare questi nostri congiunti, liberarli dalle macerie”.
Io ricordo anche questa scena di una bambina mi si è avvicinata disperata, mi si è gettata al collo e mi ha detto piangendo che aveva perduto sua madre, suo padre ed i suoi fratelli. Una donna disperata e piangente che mi ha detto: “Ho perduto mio marito e i miei figli”. E i superstiti che lì vagavano fra queste rovine, impotenti a recare aiuto a coloro che sotto le rovine ancora vi erano. Ebbene, io allora, in quel momento, mi sono chiesto come mi chiedo adesso, questo. Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo: se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è fatta sentire la loro presenza in queste zone devastate?
Non bastano adesso. Vi è stato anche questo episodio che devo ricordare, che mette in evidenza la mancanza di aiuti immediati. Cittadini superstiti di un paese dell’Irpinia mi hanno avvicinato e mi hanno detto: “Vede, i soldati ed i carabinieri che si stanno prodigando in un modo ammirevole e commovente per aiutarci, oggi ci hanno dato la loro razione di viveri perché noi non abbiamo di che mangiare”. Non erano arrivate a quelle popolazioni razioni di viveri. Quindi questi centri di soccorso immediato, se sono stati fatti, ripeto, non hanno funzionato. Vi sono state delle mancanze gravi, non vi è dubbio, e quindi chi ha mancato deve essere colpito, come è stato colpito il prefetto di Avellino, che è stato rimosso giustamente dalla sua carica.
Adesso non si può pensare soltanto ad inviare tende in quelle zone. Sta piovendo, si avvicina l’inverno, e con l’inverno il freddo. E quindi è assurdo pensare di ricoverarli, pensare di far passare l’inverno ai superstiti sotto queste tende. Bisogna pensare a ricoverarli in alloggi questi superstiti. E poi bisogna pensare a dare loro una casa. Su questo punto io voglio soffermarmi, sia pure brevemente. Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice. Io ricordo di essere andato in visita in Sicilia. Ed a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché l’infamia peggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui.
Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto. Quindi si provveda seriamente, si veda di dare a costoro al più presto, a tutte le famiglie, una casa. Io ho assistito anche a questo spettacolo.
Degli emigranti che erano arrivati dalla Germania e dalla Svizzera e con i loro risparmi si erano costruiti una casa, li ho visti piangere dinanzi alle rovine di queste loro case. Si cerchi subito di portare soccorso ai superstiti e dare loro degli alloggi dove possano passare l’inverno ed attendere che sia risolta la loro situazione. Ed allora: non vi è bisogno di nuove leggi, la legge esiste. Ecco perché io ho rinunciato ad inviare, come era mio proposito in un primo momento, un messaggio al parlamento.
Si applichi questa legge e si dia vita a questi regolamenti di esecuzione, e si cerchi subito di portare soccorsi ai superstiti e di ricoverarli non in tende ma in alloggi dove possano passare l’inverno e attendere che sia risolta la loro situazione. Perché un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica, un appello che sorge dal mio cuore, di un uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherò, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e gli italiani: qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutte le italiane e gli italiani devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa sciagura perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi».