Scomparsa dell’onorevole Raffaele Russo: il ricordo del Vescovo Arturo Aiello, ex parroco di Piano di Sorrento: “Si chiude una pagina della storia della penisola sorrentina”

20 dicembre 2024 | 13:01
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Scomparsa dell’onorevole Raffaele Russo: il ricordo del Vescovo Arturo Aiello, ex parroco di Piano di Sorrento: “Si chiude una pagina della storia della penisola sorrentina”

Scomparsa dell’onorevole Raffaele Russo: il ricordo del Vescovo Arturo Aiello, ex parroco di Piano di Sorrento: “Si chiude una pagina della storia della penisola sorrentina”

Con la morte di Raffaele Russo si chiude una pagina della storia della penisola sorrentina. Sono passato per salutarlo e dargli una benedizione ieri sera come avrebbe fatto ogni buon parroco del passato. Era solenne anche nella bara come per il giuramento di un nuovo governo, come per la prima seduta del Parlamento a inizio Legislatura, come era solito partecipare a Messa in Basilica, la domenica, alle 10.00, anche nei periodi più roventi della sua vita politica. Era un giovane di belle speranze, mi raccontava Don Antonio d’Esposito, suo amico fraterno, nella sede della Fuci quando, alla scuola di Paolo VI si guardava alla politica come a “la più alta forma di carità”. Sindaco giovanissimo a Piano di Sorrento portava la solidità della cultura contadina e i sogni che animavano la società italiana del dopo-guerra. Ho conosciuto i suoi genitori anziani cui mi legavano anche vincoli di parentela: i “baroni” venivano indicati col soprannome di famiglia, fratelli longilinei con la fronte alta e le mani enormi, ho pensato a loro quando nei romanzi di Dostoevskij mi sono imbattuto nei numerosi “principi” che della nobiltà passata residuavano solo il nome e la grandezza di cuore. Una volta mi raccontò che, quand’egli già frequentava il “Transatlantico”, in una visita al padre, lo vide, in giardino, alle prese con la messa a dimora di giovani piante di agrumi: “che fai, papà…, ma non ti rendi conto che sei già anziano?”. “Si, lo so, -si sentì rispondere dalla sapienza contadina- noi abbiamo mangiato le arance di alberi piantati da altri…, non io, altri mangeranno i frutti di ciò che sto piantando.”. Ed aggiunse “mio padre mi ha dato una lezione sulla speranza!”. Erano gli anni in cui chi scendeva a piedi dai Colli o da San Liborio, prima d’arrivare alla fine di via Gennaro Maresca si lucidava le scarpe con una pezzuola nascosta in una buca del muro di tufo che abbracciava gli aranceti che costeggiavano la strada e che a maggio ci inondavano di profumo fino a ubriacarci. Racconto questi aneddoti perché sono memoria di una nobiltà contadina del piccolo mondo antico prima che il turismo di massa ne cancellasse le vestigia.

Raffaele che ha portato fino all’ultimo giorno il titolo di “Onorevole” era un parrocchiano come gli altri che passeggiava per Corso Italia e veniva in Basilica per la Messa, non intervengo sulla portata degli anni da Sindaco, da Consigliere Provinciale, da Deputato (1979-94), da Sottosegretario al Ministero di Poste e Telecomunicazioni (1989-92), altri più titolati potranno rendere conto del servizio reso in quegli ambiti, al vecchio parroco sovviene l’uomo, il credente, lo sposo, il padre, l’amico, dimensioni più profonde e che restano anche là “dov’ è silenzio e tenebra la gloria che passò”. Ricordo che mai in lui, e meno ancora in Elisa e nei figli, ho ravvisato segni di potere e senso di superiorità che talvolta si accompagnano con ruoli in vista sul piano politico e sociale. Quando allora se ne parlava era piuttosto nei termini di una febbre fastidiosa che si sperava passasse presto. Avevo più familiarità con Elisa e i figli, nei miei primi anni di ministero, confesso d’essere stato allora affetto da una certa qual forma manichea, fu Don Antonio, Parroco di Trinità, confratello ed amico di vita comune (via Legittimo 1980-85), legato a Raffaele da amicizia giovanile, a introdurmi a qualche cena al Parco dei Pini dove si parlava della Chiesa, dei figli, di come Mons. De Martino, Vicario Generale della Diocesi, in via San Giovanni, intorno al 1960, insegnava agli adolescenti di allora come si taglia correttamente un caciocavallo. Cose quotidiane, cose da nulla, cose della vita…

Era solenne il Barone ieri sera, vestito a festa, nella bara, barca che sarebbe salpata da Marina di Cassano per le sponde dell’Eternità. Grazie, Raffaele, perché hai parlato di noi nelle stanze del potere, dietro di te una schiera di uomini e donne hanno esercitato la forma alta della carità che è la politica, li hai incontrati i tuoi compagni ed amici di un tempo ad attenderti: don Antonio, l’Architetto Tonino Gargiulo, Franco Casa, Rosellina… Per il 31 dicembre 1989 mi suggeristi di fare un momento di preghiera per ringraziare degli eventi che avevano cambiato il mondo, per la caduta del muro di Berlino che fu un simbolo di liberazione… Non sapevamo che con le picconate al Muro si sarebbero sgretolate tante altre cose, avrebbero perso valore i partiti, le altre articolazioni che facevano da cinghia di trasmissione tra lo Stato e la gente, sarebbe cambiata la storia… Anche quella dolorosa che ti vide cadere nell’ombra del sospetto con lo tzunami di “mani pulite”… “Quando con vece assidua cadde, risorse e giacque”… Per te ora, “sub specie aeternitatis” saranno quisquilie, ma vorrei che lo sapessi, ora che stai per partire, che più di tutto ti ho ammirato in quei mesi dove tenesti, nonostante tutto, la tua dignità. È facile camminare a testa alta quando si vincono le elezioni, è arduo fare altrettanto nei giorni difficili… C’era tutto questo e altro nella preghiera di commiato di ieri sera, sono venuto da te per chiudere un libro e per farlo dolcemente: “in Paradiso ti accompagnino gli angeli…”. Alla fine, oltre le glorie e i nostri errori, basta aver vissuto con impegno, basta avere avuto il coraggio di essere un uomo. Basta essere stati.