L’ Iliade: il gioco degli dei

27 gennaio 2025 | 12:47
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L’ Iliade: il gioco degli dei

Da giovedì sul palcoscenico del teatro Verdi di Salerno, la rilettura teatrale di un classico complesso, per la drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini, Marcello Prayer con i momenti più noti del poema: la peste, l’ira di Achille, i duelli, la morte di Patroclo e quella di Ettore, le lacrime di Priamo

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille / l’ira funesta che infiniti addusse / lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco / generose travolse alme d’eroi, / e di cani e d’augelli orrido pasto / lor salme abbandonò (così di Giove / l’alto consiglio s’adempìa), da quando primamente disgiunse aspra contesa / il re de’ prodi Atride e il divo Achille.

Chi è che non ha recitato a memoria i versi del proemio dell’Iliade, chi non si è schierato dalla parte di Ettore, chi non ha ammirato l’astuzia di Ulisse? L’Iliade ritorna, quale immagine potente e suggestiva di un mondo in cui la morte, pur essendo un evento centrale, è avvolta da una luce metafisica che ne esalta la bellezza e l’inevitabilità, il mondo perduto degli eroi una vita intensa ma fugace, caratterizzata da una bellezza abbagliante, un mondo intriso di un senso di malinconia e di perdita, evocante la fragilità dell’esistenza e la transitorietà della gloria, delle illusioni. L’Iliade, quindi, si presenta non solo come un poema epico, ma come una profonda riflessione sulle contraddizioni e le conseguenze della guerra. Pur essendo ambientato in un contesto di eroismo e gloria, il poema di Omero mette in luce le sofferenze e le perdite che accompagnano il conflitto. Attraverso le sue pagine, emergono figure di eroi che, sebbene rappresentino il coraggio e il valore, sono anche intrappolati in un destino ineluttabile, spesso segnato dalla violenza e dalla morte. L’epopea non glorifica la guerra in sé, ma ne esplora la complessità, mostrando come le ambizioni personali e le rivalità tra i capi possano portare a conflitti devastanti. La lotta tra Achille e Agamennone, ad esempio, è simbolo delle tensioni interne che possono minare la coesione di un esercito. Inoltre, l’intervento degli dèi, che spesso agiscono in base a capricci personali, sottolinea l’imprevedibilità e l’arbitrarietà della sorte in battaglia.  L’Iliade, dunque, diventa un’opera che invita alla riflessione critica su temi universali come la gloria, l’onore, la vendetta e la pietà, rendendola attuale e rilevante anche per le generazioni successive. La guerra, piuttosto che essere rappresentata come un’epifania di eroismo, è svelata nella sua natura distruttiva, evidenziando come essa possa travolgere non solo i combattenti, ma anche le loro famiglie e le comunità. In questo modo, il poema di Omero si erge a monito contro le illusioni che spesso circondano il conflitto armato, mostrando il lato oscuro di ciò che viene celebrato. Il teatro Verdi di Salerno, ospiterà da giovedì sera, alle ore 21, “Iliade, il gioco degli dei”, su di un palco pieno d’ombre, la parodia di un consesso degli dei, compariranno Alessio Boni, che darà vita ad un iracondo Zeus, con al suo fianco Antonella Attili, moglie eternamente insoddisfatta, Era, Atena, Elena Nico ed Hermes, Haroun Fall, zia Afrodite, Jun Ichikawa, seducente con i ventagli, il figlio Ares, Francesco Meoni, Apollo, Marcello Prayer, silenzioso e Teti, Elena Vanni, tra battute, litigi e scene ammiccanti e, insieme agli altri attori, contribuiscono a ridurre gli dei a caricature di se stessi, versioni deteriori della specie umana. Un’opera teatrale intrigante e profonda, in cui il confine tra divinità e umanità si fa sottile e sfuggente. I manichini degli eroi, realizzati da Alberto Favretto, fungono da simboli di una tragedia che è tanto umana quanto divina. Attraverso la manipolazione degli dei, che si comportano come burattinai, si mette in scena un gioco di potere e di responsabilità, dove le azioni degli uomini sono influenzate dai capricci e dalle dispute divine. Il contesto della guerra di Troia, un evento centrale nella mitologia greca, diventa un pretesto per riflettere su temi universali come la ricerca del senso e la futilità delle passioni umane. La scenografia, con il sughero e il sole che cambia colore, crea un’atmosfera in cui il tragico e il comico si mescolano, sottolineando l’assurdità della condizione umana. La questione dell’origine degli dei e degli uomini, se gli uni siano stati creati a immagine degli altri o viceversa, alimenta la riflessione sull’identità e sulla natura dell’esistenza. In questo scenario, la ricerca di significato nelle azioni e nei destini sembra destinata a rimanere irrisolta, riflettendo la complessità e l’ambiguità della vita stessa.  L’opera si presenta come un affascinante gioco di specchi tra divinità e umanità, un invito a esplorare le nostre passioni e le nostre scelte, sempre in bilico tra il volere degli dei e il libero arbitrio degli uomini. Le armature vuote simboleggiano i guerrieri, ridotti a mere pedine in un gioco più grande, privati della loro individualità e della loro storia personale. Le scene di battaglia, pur essendo drammatiche, sono impregnate di un’ironia sottile, come se il pubblico fosse invitato a ridere di fronte all’assurdità della sofferenza umana, mentre gli dèi si divertono a manipolare le sorti dei loro “giocattoli”. Il risultato finale è una messa in scena che, pur attingendo a un mito antico, riesce a parlare con straordinaria attualità. La guerra di Troia, reinterpretata come un gioco di potere tra divinità annoiate, diventa così un monito contro la guerra e le sue conseguenze, invitando a una riflessione profonda sul significato della vita e sulla responsabilità di ciascuno nel tessere la trama della propria esistenza. In questo modo, la produzione non solo intrattiene, ma provoca e stimola una nuova coscienza critica, rendendo lo spettatore partecipe di un’esperienza che è al contempo antica e sorprendentemente contemporanea.