Presentazione del Libro “Zio Biagio, alias Gino Doria” di Gianni Visetti
Il Paradosso Linguistico di Gino Doria
Pur non amando parlare il dialetto napoletano, Doria non mancava di inserire nei suoi discorsi colti numerose espressioni e parole in napoletano. Questo non era un caso isolato, ma rifletteva l’abitudine dei dotti del tempo, che con naturalezza alternavano la lingua italiana al dialetto, facendo convivere tradizione e innovazione.
Un episodio illuminante è quello in cui Gino, ancora giovane, si trovava a osservare i saggi dell’epoca. Stava in disparte, ascoltava i loro discorsi, e si accorgeva che uno dei tratti distintivi degli eruditi era proprio la capacità di scherzare e di giocare con le parole. Era un segno di leggerezza intellettuale, ma anche di profonda comprensione del mondo.
Un Uomo di Cultura e Scherzo
Visetti racconta aneddoti che testimoniano come Gino Doria sapesse alternare serietà e umorismo. Una fotografia del 1976, scattata un anno dopo la morte di Doria, lo ritrae con amici all’uscita della “Casina Rossa” a Torre del Greco. L’immagine suggerisce un momento di convivialità tipico di quegli uomini di cultura, che sapevano divertirsi ma senza perdere mai il loro acume.
Questo spirito di leggerezza emerge anche nei giochi di parole e negli incontri casuali, come quelli che Visetti ricorda con affetto insieme ai suoi nonni. Da queste conversazioni, ha imparato a vedere il mondo attraverso una lente più ricca e sfaccettata, ampliando il suo vocabolario e arricchendo la sua prospettiva.
Il Piacere del Camminare e Incontrare
Un tratto distintivo ereditato da “Zio Biagio” è l’amore per il camminare e il conversare. Gino Doria amava incontrare le persone per strada, parlare del più e del meno, e scoprire il mondo attraverso le parole di chi incontrava. Questo spirito, che Visetti definisce “corale”, è un invito a riscoprire il piacere della socialità spontanea, oggi spesso dimenticata.
Questa filosofia di vita si riflette in una critica alla modernità, che tende a isolare le persone invece di incoraggiarle a incontrarsi e condividere. Nel libro emerge chiaramente il messaggio di Doria: coltivare la curiosità, aprirsi agli altri, e trarre gioia dalle piccole cose.
Un Esempio di Curiosità Intellettuale
Un altro aspetto sorprendente di Gino Doria era la sua insaziabile sete di sapere. Quando gli veniva chiesto di scrivere una prefazione o di approfondire un argomento, si immergeva completamente nella ricerca, studiando ogni dettaglio. È il caso del suo celebre elenco dei pesci napoletani: una raccolta minuziosa di nomi, descrizioni e citazioni, che intrecciava il dialetto napoletano, il latino scientifico e l’italiano.
Questo amore per il dettaglio e per la ricerca emerge anche in opere come Le strade di Napoli, dove Doria trasformò un semplice elenco di strade in un capolavoro culturale.
Gianni Visetti, con il suo libro, non solo celebra la figura di Gino Doria, ma ci offre una riflessione profonda sulla bellezza della curiosità, della convivialità e del vivere appieno il proprio tempo. Un messaggio che, attraverso le parole e le esperienze di “Zio Biagio”, risuona oggi più attuale che mai.
La seconda parte della presentazione si concentra sul carattere unico del libro di Gianni Visetti e sull’eredità intellettuale e linguistica lasciata da Gino Doria, senza indulgere in panegirici o celebrazioni vuote. In questa sezione, emerge chiaramente la complessità del rapporto tra lingua napoletana e identità culturale, nonché l’importanza del recupero di scritti inediti per comprendere appieno il pensiero di Doria.
Un Libro da Scoprire, Non da Celebrarsi
Come sottolineato, l’obiettivo della presentazione non è tanto convincere il pubblico della necessità di acquistare il libro quanto di evidenziare la particolarità del lavoro di Visetti. Gino Doria viene tratteggiato con ironia e affetto, mostrandolo non come un intellettuale distante, ma come una figura capace di sorprendersi, di camminare nel mondo con curiosità e umiltà.
Giovanni Visetti, in qualità di autore, viene punzecchiato con leggerezza per le occasionali ridondanze nel testo, che tuttavia risultano necessarie per restituire la complessità della figura di Doria. Il libro non si limita a raccontare, ma provoca e stimola riflessioni, rivelandosi un invito al dialogo più che un manifesto culturale.
La Lingua Napoletana tra Dialetto e Identità
Un tema centrale nella discussione è la questione della lingua napoletana: è una lingua o un dialetto? Visetti scherza sulla differenza tra il “napoletano puro” e il “dialetto napoletano,” riportando esempi che mostrano quanto la sfumatura linguistica sia tutt’altro che banale.
Un esempio illuminante è la traduzione di una frase semplice come “Vorrei mangiare una pizza,” che in napoletano si direbbe “Vurria magnà na pizza,” e non “Vulesse,” che è una forma dialettale più influenzata dall’italiano. Questa discussione, apparentemente giocosa, apre una riflessione più ampia: la dignità del napoletano come lingua è stata spesso sottovalutata, ma il suo valore culturale e storico è innegabile.
Doria, nei suoi scritti, riconosce questa ricchezza e contribuisce a consolidare l’idea che il napoletano sia una lingua a sé stante, capace di trattare temi alti senza perdere il contatto con le sue radici popolari.
La Storia di Napoli e il Ruolo della Lingua
Nel libro, Visetti esplora anche il contesto storico in cui si è sviluppata l’idea di Napoli come polo culturale. Durante il periodo in cui l’Accademia della Crusca consolidava la lingua italiana basandosi su autori come Dante, Petrarca e Boccaccio, l’intellighenzia napoletana cercava di affermare un modello alternativo.
Autori come Giambattista della Porta, per esempio, trasformarono il “napoletano tipico” in una figura letteraria, anticipando le maschere della commedia dell’arte. Tuttavia, questa caratterizzazione rischiava spesso di relegare Napoli a un ruolo di caricatura culturale, un’immagine contro cui Doria e altri si batterono per restituire dignità alla città e alla sua lingua.
Gli Scritti Inediti di Gino Doria
Uno degli aspetti più preziosi del libro di Visetti è la raccolta di cinque scritti inediti o poco conosciuti di Doria. Tra questi, spicca un saggio sul “napoletano che cammina,” dove il verbo “camminare” diventa metafora dell’essenza stessa del popolo napoletano.
Doria analizza come il camminare rappresenti un’attitudine tipica dei napoletani: un modo di vivere la città, di incontrare persone, di parlare del più e del meno, creando legami umani che vanno oltre il semplice passare del tempo. Questo “camminare” non è solo un’azione fisica, ma una filosofia di vita, un invito a esplorare il mondo con leggerezza e profondità.
La seconda parte della presentazione si conclude con un invito a immergersi nel mondo di Doria non solo per apprezzarne la ricchezza culturale, ma anche per lasciarsi ispirare dal suo spirito curioso e aperto. Gianni Visetti, con la sua scrittura vivace e riflessiva, ci offre non solo un libro, ma una finestra su un modo di vivere e pensare che ha ancora molto da insegnare.
La terza parte della presentazione si concentra su un aspetto meno noto, ma estremamente affascinante di Gino Doria: il suo interesse per la cucina tradizionale e il suo approccio critico verso l’evoluzione – o, secondo lui, la degenerazione – delle tradizioni culinarie, con particolare attenzione alla cucina napoletana.
Un Viaggio Gastronomico attraverso le Tradizioni
Gino Doria raccoglie nel suo primo libro numerose ricette e condimenti tipici delle diverse città italiane, creando una sorta di “atlante gastronomico” ante litteram. Tra le ricette legate a Napoli, nel libro compaiono quattro piatti simbolici:
- Mustacciuoli
- Caciocavallo
- Olive di Napoli
- Pizza Bocca di Dama
Sorprendentemente, nella lista manca uno dei simboli più iconici della cucina napoletana: i maccheroni.
Doria spiega questa assenza in una lettera del 1963 a Eduardo De Filippo, in cui affronta la storia della cucina napoletana. Egli sottolinea che i maccheroni, fino al Seicento, non erano consumati come primo piatto, bensì come dolce, conditi con zucchero e cannella. Questo dettaglio ribalta la percezione comune, dimostrando come la tradizione culinaria sia in realtà il risultato di una continua evoluzione.
La Polemica del Sartù e la Difesa delle Tradizioni
Uno dei temi più accesi toccati durante la presentazione riguarda il sartù di riso, un piatto simbolo della cucina napoletana. Visetti, seguendo l’eredità di Doria, critica la tendenza moderna a semplificare ricette complesse, sacrificando il tempo e la dedizione che piatti come il sartù richiedono.
Il sartù originale, spiega, è un capolavoro che richiede due giorni di preparazione:
- Preparazione degli ingredienti: polpettine, cervellatine, ragù (cotto per almeno 8 ore).
- Assemblaggio: la stratificazione del riso con tutti gli ingredienti.
- Cottura e riposo: necessaria per esaltare i sapori.
Similmente, Visetti denuncia le scorciatoie prese nella preparazione della lasagna napoletana, un altro piatto che richiede attenzione e pazienza, ben oltre le due ore comunemente impiegate oggi.
Cibo Tradizionale e Identità
La difesa delle tradizioni culinarie non è solo un fatto di gusto, ma anche di identità culturale. Secondo Doria – e Visetti ne raccoglie il testimone – il cibo tradizionale non può essere banalizzato o ridotto a una versione semplificata che perde la sua essenza.
Questo discorso si estende alle mode culinarie contemporanee, come il sushi e il poke, che spesso vengono “napoletanizzati” in modo improprio. A questo proposito, Visetti si scaglia contro l’abuso di termini e preparazioni non autentiche: ad esempio, il poke reinterpretato con mozzarella e pomodori non è un poke, ma una semplice insalata fredda.
Un’Incoraggiamento a Rispetto e Curiosità
Il messaggio che emerge è chiaro: conoscere e rispettare le tradizioni culinarie significa anche tramandare una parte fondamentale della cultura. Non si tratta di opporsi al cambiamento, ma di preservare l’autenticità e l’integrità di piatti che raccontano una storia.
La terza parte della presentazione si chiude con un applauso del pubblico, conquistato dalla passione e dalla schiettezza di Visetti nel trattare un tema tanto familiare quanto cruciale. Gino Doria, ancora una volta, emerge come una figura in grado di guardare alla tradizione con occhio critico, capace di trasformare anche una semplice ricetta in un’occasione di riflessione culturale.