Archeologia in Penisola. La Lucerna Erotica di Sottomonte: Un Viaggio Nella Cultura Romana e la Contraddizione con la Tradizione Cristiana

2 febbraio 2025 | 09:00
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Archeologia in Penisola. La Lucerna Erotica di Sottomonte: Un Viaggio Nella Cultura Romana e la Contraddizione con la Tradizione Cristiana

lucio esposito

L’articolo di Positanonews dedicato ai reperti della Necropoli di Sottomonte ha suscitato una serie di commenti e riflessioni sul ritrovamento di una lucerna decorata con una scena erotica all’interno di un colombario. Un oggetto che, in un contesto moderno, suscita immediata sorpresa e, forse, un certo disagio. Se guardato con gli occhi della cultura cristiana, che ha radicato nella società contemporanea valori moralisti e restrittivi sulla sessualità, tale reperto potrebbe sembrare fuori luogo, come una sorta di “immagine di sesso” nei cimiteri. Tuttavia, per comprendere appieno il fenomeno, è necessario fare un passo indietro e immergersi nella mentalità e nelle tradizioni dell’antica Roma, molto distanti dalle nostre.

A differenza della cultura cristiana che, nel corso dei secoli, ha imposto una forte separazione tra sacro e profano, tra vita e morte, i Romani non avevano la stessa concezione rigorosa. La loro visione del mondo era permeata da un’idea di sessualità più fluida, che non veniva stigmatizzata come peccaminosa, ma anzi celebrata come parte integrante della vita quotidiana e della religiosità. I Romani vedevano il sesso non solo come un atto procreativo, ma anche come un’energia vitale che doveva essere celebrata senza vergogna. Generico febbraio 2025

Per gli antichi romani, la scena erotica era un’immagine comune, che appariva in vari contesti della vita quotidiana, dalle lucerne alle pitture murali, dalle ceramiche ai mosaici. Questi oggetti decorativi non avevano la stessa valenza di scandalo che oggi possono suscitare; piuttosto, erano simboli di fertilità, prosperità e, in alcuni casi, di protezione. I luoghi funerari, come il colombario della Necropoli di Sottomonte, non facevano eccezione: la sessualità, pur sempre con una funzione di continuità della vita, era presente anche nel regno dei morti. Era, infatti, legata a concetti di rinnovamento e rigenerazione.

Luciana Jacobelli, una studiosa delle scene erotiche rinvenute nel Lupanare di Pompei, ci aiuta a comprendere meglio questo fenomeno. Jacobelli, che è stata anche una delle scavatrici della Villa di Positano, dove è stato adottato come icona del Museo un altro esempio di lucerna invetriata , spiega come queste raffigurazioni fossero un aspetto del mondo romano che va al di là di una semplice provocazione. Le lucerne erotiche, come quella rinvenuta a Sottomonte, non erano un tabù, ma piuttosto un’espressione culturale che portava con sé significati molteplici: dalla sessualità come atto di piacere alla connessione con il divino, alla speranza di vita eterna attraverso il piacere e la fertilità.

L’arte erotica romana, infatti, non è da intendersi esclusivamente come una rappresentazione di lussuria. In molti casi, come nel Lupanare di Pompei o in altre aree della Campania, si trattava di immagini che facevano parte di rituali legati alla fertilità e alla prosperità. La visione della sessualità non era separata dal resto della vita e, pertanto, anche nella morte veniva evocata come simbolo di rinnovamento.Generico febbraio 2025

Oggi, sebbene i tempi siano cambiati e le influenze culturali si siano evolute, ciò che può sembrare un oggetto scandaloso nel contesto di un luogo di sepoltura riflette semplicemente una visione diversa della vita e della morte. La lucerna di Sottomonte, dunque, deve essere interpretata con la mentalità dell’epoca, come un simbolo della continuità e del ciclo naturale della vita e della morte.

Le nostre reazioni oggi, influenzate da duemila anni di cultura cristiana, che ha stigmatizzato l’eros e separato nettamente la sacralità dalla sessualità, non possono essere paragonate a quelle degli antichi Romani. La riflessione su questo reperto ci invita non solo a guardare indietro nel tempo, ma anche a comprendere come le diverse culture abbiano trattato la sessualità e la morte in modo diverso, dando significati che vanno oltre l’ovvio.

L’analisi di reperti, che ci auguriamo di edere presto in una mostra, come la lucerna erotica di Sottomonte ci offre un’opportunità per rivedere la nostra percezione delle culture antiche e riflettere su come i cambiamenti storici e religiosi abbiano trasformato il nostro modo di pensare alla vita, alla morte e alla sessualità.

La lucerna è un oggetto usato per bruciare olio vegetale o grasso animale con lo scopo di produrre luce. Le prime lucerne risalgono al Paleolitico superiore, come dimostrano i reperti delle grotte di La Mouthe e Lascaux. Questi utensili inizialmente in pietra evolsero nel tempo in vari materiali, tra cui argilla, bronzo, vetro, argento e oro, assumendo diverse forme: aperte, simili a coppe con beccucci per gli stoppini, e chiuse, con fori per il combustibile e decorazioni.

Con l’introduzione del tornio nel VII secolo a.C. e delle matrici nel III secolo a.C., la produzione si industrializzò, consentendo di replicare decorazioni e forme su larga scala. Le lucerne romane, particolarmente elaborate, erano decorate con motivi mitologici, naturalistici e geometrici, raggiungendo il loro apice in epoca imperiale.Generico febbraio 2025

Le lucerne furono oggetto di studio già dal Rinascimento, entrando nelle collezioni di nobili come i Medici e ispirando riflessioni sul loro uso funerario e simbolico. Autori come Pirro Ligorio, Fortunio Liceti e Fortunato Sacchi ne approfondirono vari aspetti, includendo decorazioni, significati allegorici e utilizzi cultuali. Questi studi, sebbene pionieristici, spesso mescolavano dati storici con interpretazioni moderne.

Le raffigurazioni erotiche sulle lucerne romane emergono nel I secolo d.C. in concomitanza con la standardizzazione della cultura materiale e artistica romana e con la diffusione delle truppe imperiali. Queste immagini raggiungono il massimo sviluppo nel II secolo, ma la loro presenza diminuisce gradualmente nelle province latine, mentre continuano a circolare nell’oriente greco fino al IV secolo d.C.

Le scene erotiche sulle lucerne rappresentano una varietà di temi, tra cui atti sessuali tra umani e animali, nonché varianti specifiche come quelle con nani, che richiamano le scene nilotiche romane. Sebbene queste rappresentazioni fossero popolari, erano relativamente rare, rappresentando tra l’1% e il 6% delle lucerne. La produzione, favorita dalla tecnica dello stampo, ha permesso una diffusione uniforme e, al contempo, una particolare adattabilità locale dei motivi decorativi.Generico febbraio 2025

Le immagini erotiche seguivano convenzioni stilistiche precise, ma varianti e trasformazioni introdotte nel tempo riflettevano adattamenti locali e mutamenti culturali. Ad esempio, alcune tipologie, come il coitus a tergo, erano prevalenti in epoca imperiale, mentre nel III secolo emersero combinazioni iconografiche più complesse e diversificate.

Nel tardo impero, la diffusione delle lucerne erotiche diminuì, influenzata da cambiamenti culturali, religiosi ed economici, soprattutto in occidente, dove l’ascesa del cristianesimo portò a una nuova concezione della sessualità e dell’identità corporea. Tuttavia, le immagini erotiche non scomparvero del tutto, ma sopravvissero in altre forme decorative, come su ceramiche o medaglioni, con funzioni spesso umoristiche o commemorative.

Nell’oriente greco, invece, queste rappresentazioni mantennero una maggiore continuità, favorite da un rinascimento culturale che si ispirava ai modelli classici.

Le lucerne romane svolgevano ruoli essenziali e simbolici nella vita quotidiana, nelle cerimonie e nei riti funebri dell’antica Roma. Originariamente utilizzate per l’illuminazione in ambienti privati e pubblici, illuminavano spazi domestici, templi e teatri. La loro funzione si estendeva oltre la semplice utilità, assumendo significati culturali e religiosi.

Ruolo pratico

Le lucerne erano strumenti di illuminazione indispensabili in un mondo dominato dall’oscurità notturna, garantendo sicurezza nei pericolosi spostamenti notturni. Tuttavia, la carenza di illuminazione pubblica e di sicurezza urbana rendeva la vita notturna insicura fino alla tarda antichità.

Valore simbolico

Le lucerne venivano spesso utilizzate in cerimonie pubbliche e private, come trionfi e matrimoni, dove rappresentavano un simbolo di buon auspicio e protezione. Nelle celebrazioni ufficiali, le lucerne conferivano prestigio e fungevano da “status symbol” per magistrati e membri dell’élite.

Significati rituali e religiosi

La luce delle lucerne era associata ai riti di passaggio, dalla nascita al matrimonio fino alla morte. Ad esempio, durante i matrimoni, fiaccole accompagnavano la sposa per scacciare gli spiriti maligni. Nelle cerimonie funebri, la luce guidava il defunto verso l’aldilà, mantenendo l’equilibrio tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.

Uso nelle cerimonie

In epoca tardoantica, le lucerne erano doni simbolici per celebrare inizi, come le Kalendae di gennaio, dove rappresentavano buon augurio e protezione divina. Anche nei funerali, come mostrato nel monumento degli Haterii, le lucerne rivestivano un ruolo centrale, illuminando la scena della vestizione della defunta e sottolineando la connessione tra il mondo terreno e quello divino.

In sintesi, le lucerne romane incarnavano la duplice funzione di strumenti quotidiani e potenti simboli culturali, religiosi e rituali, essenziali per illuminare la vita e i momenti di transizione nell’antichità.

Luce e Lucerne nei Riti Funerari e nella Vita Quotidiana dell’Antica Roma

La luce, nella cultura romana, assume un ruolo fondamentale, non solo dal punto di vista pratico, ma anche simbolico e spirituale. Strumenti come le lucerne, oltre a essere essenziali per la vita quotidiana, diventano protagonisti nei rituali più significativi della società, tra cui i riti funerari. La loro funzione, tuttavia, trascende la semplice necessità di illuminare, configurandosi come un veicolo di significati profondi legati al ciclo della vita e della morte.

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Il Ruolo della Luce nei Riti Funerari

Nell’antica Roma, i riti funebri si svolgevano prevalentemente di notte. Questa scelta non era casuale: il buio rappresentava una separazione simbolica tra la sfera dei vivi e quella dei morti, evitandone la contaminazione. La luce, fornita da fiaccole e lucerne, era necessaria per illuminare le cerimonie e guidare il corteo funebre, ma il suo significato andava ben oltre la semplice praticità. La luce era vista come un mezzo per rischiarare il cammino del defunto verso l’aldilà, aiutandolo a raggiungere l’immortalità e a superare le tenebre cariche di influenze nefaste.

Un esempio significativo è rappresentato dalle lucerne decorate ritrovate nelle tombe. Questi oggetti spesso raffigurano figure intente a rabboccare l’olio per mantenere accesa la fiamma, simboleggiando la continuità della luce come elemento di equilibrio e ordine nel caos della morte. Tale iconografia si collega anche ai miti classici, come quello di Demetra e Persefone, dove la luce assume una funzione guida e di protezione.

La presenza della luce nelle sepolture non era solo simbolica ma aveva una funzione rituale concreta. Le lucerne deposte nelle tombe, a volte capovolte, indicavano l’allontanamento definitivo del defunto dal mondo dei vivi. Esse servivano anche a garantire che l’anima non si smarrisse nel viaggio verso la nuova esistenza ultraterrena.

La Lucerna nella Vita Quotidiana

Oltre al contesto funerario, la lucerna era uno strumento centrale nella vita domestica romana. Utilizzata per illuminare le attività notturne, essa accompagnava momenti di piacere e doveri quotidiani, come banchetti, letture e lavori domestici. Le fonti letterarie, da Marziale a Senofonte, testimoniano la sua importanza come oggetto di uso comune. Nel Satyricon di Petronio, ad esempio, si racconta come le lucerne fossero costantemente tenute accese da uno schiavo per garantire l’illuminazione durante le attività serali.

La lucerna era particolarmente legata alla sfera femminile, che trovava nella domus il luogo principale delle sue attività. Strumento di lavoro, testimone d’amore e custode di segreti domestici, la lucerna rivela l’intimità della vita romana. Marziale, nei suoi Apophoreta, descrive la lucerna come “silenziosa testimone” di incontri amorosi, sottolineandone il ruolo complice nella dimensione privata.

Iconografia e Significati Culturali

Le decorazioni presenti sulle lucerne erano veicoli di significati simbolici e culturali, adattabili a contesti diversi. Nell’ambito funerario, queste decorazioni esprimevano idee di immortalità e transizione. Nella sfera privata, invece, erano legate al gusto estetico e alla funzione sociale dell’oggetto.

Un esempio emblematico è una lucerna del tipo Loeschcke I C, ritrovata a Lubiana, con un’iconografia ispirata alla monetazione augustea. Questa raffigurazione, derivata da immagini politiche ufficiali, testimonia come le iconografie pubbliche si diffondessero anche nella sfera privata, trasformandosi in simboli di status e appartenenza culturale. Tali decorazioni, pur nascendo con intenti specifici, si adattavano alle esigenze dei loro proprietari, assumendo nuovi significati a seconda del contesto geografico e temporale.

La lucerna, nel suo duplice ruolo di strumento pratico e simbolico, rappresenta un elemento essenziale per comprendere la cultura romana. Dai riti funerari alla vita quotidiana, la luce diventa simbolo di ordine, protezione e continuità. Le decorazioni delle lucerne, con il loro linguaggio iconografico universale, riflettono la permeabilità tra sfera pubblica e privata, offrendo uno spaccato unico sulla società romana.

L’analisi delle lucerne ci permette di cogliere la complessità di un oggetto apparentemente semplice, capace di unire praticità quotidiana e profondi significati spirituali. Questo ci ricorda come ogni aspetto della vita romana fosse intriso di simbolismo, rendendo la luce non solo un bisogno fisico, ma anche una guida attraverso i misteri della vita e della morte.

La sessualità nella società romana è una dimensione complessa, influenzata da molteplici fattori storici, sociali, culturali, religiosi e giuridici. Per comprendere l’erotismo e il ruolo delle donne nell’epoca augustea, è necessario analizzare il contesto storico e sociale, caratterizzato dalla transizione dalla tarda Repubblica all’Impero e dalle riforme di Augusto.

Durante la tarda Repubblica, la letteratura di autori come Cicerone e Catullo testimonia un panorama libertino, dove il piacere e le relazioni extraconiugali erano comuni. Le donne, specialmente quelle di rango elevato, acquisirono maggiore indipendenza, sviluppando abilità culturali e sociali che le resero protagoniste di un’epoca di maggiore libertà. Tuttavia, il consolidamento del potere di Augusto segnò una svolta: le riforme legislative miravano a restaurare la morale tradizionale, incentivando matrimoni e procreazione con leggi come la Lex Julia de maritandis ordinibus e punendo severamente l’adulterio con la Lex Julia de adulteriis coercendis.

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Parallelamente, la dimensione erotica trova espressione nella poesia dell’epoca, dove autori come Ovidio e Properzio celebrano i rapporti extraconiugali, in contrasto con gli ideali morali augustei. Questo scontro tra politica e letteratura riflette la tensione tra il controllo statale e l’autonomia personale nell’ambito della sessualità.

Sul piano religioso e culturale, la sessualità era strettamente legata alla fertilità e alla prosperità. I riti e i culti legati a divinità come Liber e Priapo, associati alla fecondità dei campi e alla protezione, testimoniano un approccio sacro alla sessualità, lontano dall’idea di piacere personale. Celebrazioni come i Liberalia o i Lupercalia coinvolgevano tutta la comunità, sottolineando l’importanza collettiva della fertilità per la sopravvivenza e il benessere.

Anche sul piano sociale e simbolico, il fallo assumeva un ruolo apotropaico, proteggendo contro il malocchio e garantendo buona fortuna, come dimostrato dagli amuleti fallici o dai carri trionfali adornati durante le celebrazioni. La competizione sociale e l’ossessione per lo status erano riflessi anche nell’ambito sessuale, dove la divisione tra viri (uomini cittadini liberi) e non-viri (donne, schiavi, e altri uomini di status inferiore) definiva ruoli e gerarchie nei rapporti intimi.

In sintesi, l’erotismo e la sessualità nella Roma antica erano fenomeni intrinsecamente intrecciati con la religione, la politica e la struttura sociale. La loro analisi rivela una società complessa, in cui la dimensione sessuale non era solo questione privata ma un elemento profondamente pubblico e culturale, legato alla sopravvivenza, alla protezione e alla moralità collettiva.

Il sesso e l’erotismo nella cultura romana: tra apotropaico e quotidiano

La cultura romana, nella sua complessità e ricchezza, offre uno sguardo affascinante sulla percezione del sesso e delle sue rappresentazioni. Al di là delle convenzioni morali contemporanee, l’erotismo occupava uno spazio ambivalente: elemento di piacere e funzione estetica, ma anche strumento magico e difensivo contro le insidie del mondo invisibile. Tale dimensione è particolarmente evidente nella funzione apotropaica del fascinus e di altri simboli sessuali che permeavano sia la sfera pubblica che quella privata.

Il fascinus e il potere protettivo del fallo

Nel mondo romano, il fallo rappresentava più di una semplice immagine di fertilità o virilità: era un simbolo di potere apotropaico, capace di scongiurare il malocchio e altre influenze maligne. Questo utilizzo derivava dalla convinzione che il male potesse essere trasmesso attraverso lo sguardo. Oggetti rappresentanti il fallo, come amuleti o incisioni su muri, avevano lo scopo di disarmare l’energia negativa, spesso ridicolizzandola o deviandola.

La presenza del fascinus era ubiqua, dalla sfera pubblica a quella privata. In molti casi, esso assumeva una forma volutamente esagerata e caricaturale, amplificando il suo effetto difensivo. Materiali durevoli, come il bronzo e l’oro, venivano utilizzati per realizzare amuleti, in particolare la bulla indossata dai bambini, che simboleggiava una protezione continua contro i pericoli invisibili. Inoltre, gesti rituali come il “mano fico” o il dito medio, ancora riconoscibili nelle culture moderne, si svilupparono con finalità analoghe.

Erotismo e decorazioni nelle domus romane

Un ulteriore aspetto interessante è l’uso di decorazioni erotiche negli ambienti domestici. A Pompei, in particolare, si osserva come immagini di natura sessuale fossero comuni nei cubicoli e nei triclini. Questo suggerisce un legame profondo tra il piacere della tavola e quello della carne, riflettendo una visione unitaria dei piaceri sensoriali.

Le scene erotiche presenti nelle domus non avevano solo una funzione estetica, ma spesso anche sociale. Decorazioni esplicite non erano considerate scandalose, ma piuttosto parte integrante di un contesto culturale che vedeva il sesso come un aspetto naturale e, in certi casi, celebrativo della vita. Al contempo, queste rappresentazioni si differenziavano dalle immagini apotropaiche: mentre il fascinus aveva una funzione difensiva, le decorazioni erotiche miravano a evocare piacere visivo e a stimolare la conversazione.

L’eredità ellenistica e l’influenza culturale

Le radici delle rappresentazioni erotiche romane si trovano nella cultura ellenistica, che aveva già sviluppato un gusto per la raffigurazione dei temi erotici. L’influenza greca è evidente non solo nell’arte, ma anche nella produzione di oggetti decorativi, come la ceramica aretina, che combinava raffinatezza estetica e tematiche sensuali. Questo scambio culturale permise ai Romani di integrare il simbolismo erotico nella loro quotidianità, trasformandolo in un elemento di identità culturale.

Erotismo pubblico e privato

A differenza delle società moderne, in cui il sesso è spesso relegato alla sfera privata, i Romani non avevano remore a includere elementi erotici negli spazi pubblici. Taverne, terme e persino latrine erano decorati con immagini oscene o caricaturali, dimostrando come l’erotismo fosse vissuto in maniera meno tabuizzata. Questa apertura culturale è particolarmente evidente nelle iscrizioni pompeiane, dove i graffiti erotici rivelano uno spirito ironico e disinibito.

La semantica dell’erotismo

È importante distinguere tra le rappresentazioni erotiche con funzione apotropaica e quelle destinate a evocare emozioni o piaceri estetici. I simboli apotropaici, come il fascinus, erano intrinsecamente legati alla difesa e alla magia. Al contrario, le scene erotiche avevano un carattere più narrativo e celebrativo, spesso carico di allusioni mitologiche o simboliche.

La percezione del sesso e dell’erotismo nella cultura romana era molto più articolata di quanto potrebbe sembrare a uno sguardo moderno. Il loro valore andava oltre il mero aspetto fisico o estetico, includendo dimensioni magiche, sociali e religiose. Esplorare il mondo romano attraverso queste rappresentazioni ci consente di comprendere meglio una società che, lungi dall’essere repressiva o moralista, celebrava la complessità della vita umana, intrecciando piacere, protezione e bellezza in un unico linguaggio visivo.

la diffusione e il ruolo delle rappresentazioni erotiche nell’arte romana, con un focus su ambienti privati e pubblici come le case, le terme e i lupanari. La decorazione erotica nelle domus romane era spesso combinata con tematiche mitologiche o dionisiache, il che suggerisce un intento non solo edonistico ma anche simbolico, legato ai piaceri della vita e al godimento del corpo. In particolare, le stanze private, come quelle della Casa dei 290 Pittori e della Casa del Centenario, sono descritte come ambienti concepiti per favorire un’atmosfera di intimità, con decorazioni che integrano immagini pittoriche, tabellae mitologiche e piccole finestre attraverso cui l’osservatore veniva guidato in un’esperienza erotica, sia visiva che narrativa. Queste stanze sembrano suggerire che il consumo dei piaceri fisici fosse una possibilità, ma non l’unico scopo, e si inserivano in un contesto sociale che enfatizzava la convivialità e l’intrattenimento.

Le terme, luoghi pubblici di rilassamento e socializzazione, ospitavano anch’esse decorazioni erotiche, ma con un intento diverso rispetto alle case private: in questi ambienti, l’arte erotica sembrava avere lo scopo di esaltare il piacere della vita e dei sensi, in un contesto di nudità e vulnerabilità. Le immagini erotiche, quindi, non avevano l’unico scopo di eccitare, ma potevano anche avere una funzione protettiva o simbolica, come nel caso dei cassetti numerati nei bagni termali, che facilitavano l’orientamento dei visitatori.

Nel lupanare di Pompei, l’arte erotica seguiva invece una logica rigorosa, limitandosi a rappresentazioni etero-normate, con il preciso scopo di non disturbare i clienti e di creare un ambiente riservato e tranquillo. A differenza delle terme, dove l’atmosfera era rilassata e giocosa, nel lupanare l’intento era mantenere un equilibrio tra eccitazione e discrezione, evitando pratiche socialmente stigmatizzate come quelle omoerotiche.

Infine, il saggio analizza la presenza di arte erotica anche negli oggetti di uso quotidiano, come lucerne, ceramiche e cammei, sottolineando come le raffigurazioni sessuali non fossero appannaggio esclusivo degli uomini, ma presenti anche in oggetti femminili, come gli specchi. Nonostante la visibilità dell’arte erotica nell’antichità, l’atteggiamento verso queste opere cambiò significativamente nel XIX secolo, quando la cultura puritana portò alla nascita dei “gabinetti segreti” nei musei, dove gli oggetti erotici venivano nascosti o esposti separatamente per evitare il giudizio pubblico.

In conclusione, l’arte erotica nell’antica Roma non era solo un elemento di trasgressione, ma si inseriva in un complesso sistema di simboli e significati che andavano oltre la mera rappresentazione del desiderio sessuale, rispecchiando i valori e le dinamiche sociali dell’epoca. La sua evoluzione e la sua successiva marginalizzazione nel XIX secolo riflettono le tensioni tra il desiderio di comprendere la sessualità e il timore di affrontare la sua esplicitazione nella cultura moderna.

La civiltà romana, originariamente influenzata da Etruschi, Greci e Cartaginesi, si distinse per la sua serietà e disciplina, valori che plasmarono la vita quotidiana dei Romani. Il concetto di mores maiorum, che rifletteva il rispetto per i costumi tradizionali, enfatizzava virtù come il dovere, la responsabilità e la clemenza. In particolare, la figura femminile nella società romana era centrale nella gestione della casa e nella continuità della famiglia, purtroppo però con restrizioni legate al ruolo di subalternità rispetto agli uomini.Generico febbraio 2025

Le donne romane, pur avendo una posizione relativamente più libera rispetto alle donne greche, erano comunque considerate come beni mobili e sottoposte alla figura maschile, sia come figlie che come mogli. La moralità pubblica e privata di una donna era di fondamentale importanza, e il suo comportamento doveva rispecchiare valori come la modestia, la castità e la dedizione alla famiglia. Ad esempio, l’epigrafe sepolcrale di Claudia e quella di Amymone sottolineano l’importanza del matrimonio e della maternità come centro dell’esistenza femminile, evidenziando caratteristiche come la sobrietà nel parlare e nel vestire, oltre alla dedizione alla casa.

Il matrimonio, centrale nella società romana, si articolava in diverse forme, tra cui la confarreatio e l’usus, con quest’ultima che permetteva a una donna di acquisire un certo grado di indipendenza attraverso una convivenza legale. La progressiva legislazione di Augusto sul controllo dell’adulterio evidenziava l’importanza della fedeltà coniugale, ma le donne erano quelle principalmente punite per tale reato, spesso esiliate e private dei loro beni. Nonostante queste restrizioni, le donne romane godevano di maggiore libertà rispetto alle donne greche, con una visibilità pubblica che le rendeva partecipi della vita sociale.

L’uso di contraccettivi nell’antica Roma, seppur non così sofisticato come quelli moderni, era diffuso, ma sempre a carico delle donne, e comprendeva metodi come l’astinenza, il coitus interruptus e rimedi naturali per evitare gravidanze. Inoltre, la prostituzione, pur essendo un elemento presente nella vita quotidiana, non era vista come moralmente pericolosa se non danneggiava i patrimoni, e veniva tollerata come un mezzo per prevenire l’adulterio e proteggere le donne legittime. Le prostitute stesse erano integrate nella cultura romana e, come le matronae, partecipavano alle festività religiose come le Floralie, dove venivano onorate per il loro ruolo nell’equilibrio sociale e morale.

In sintesi, la donna romana si trovava in una posizione complessa: pur essendo vincolata a norme severe e a una vita domestica rigida, godeva di una certa visibilità e rispetto, con un ruolo cruciale nella stabilità familiare e sociale. La cultura romana, purtroppo, limitava la sua libertà e autonomia, ma il suo valore rimase comunque riconosciuto, soprattutto in un contesto in cui il matrimonio, la maternità e la moralità pubblica erano considerati pilastri della società.

La cultura visiva romana è caratterizzata da una vasta diffusione di immagini erotiche, che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non erano destinate ad un fine esibizionistico, ma piuttosto a rispondere al bisogno di protezione magica del cittadino romano. Tali immagini erotiche, come i falli eretti, i priapi itifallici e le raffigurazioni di genitali, avevano infatti la funzione di catturare l’attenzione dell’osservatore e, in tal modo, distogliere il malocchio (fascinus). Si trattava di una protezione contro influenze negative e malefiche, piuttosto che di una mera esibizione di contenuti sessuali. Questa visione magica si collega anche ai rituali di fertilità, che, fin dall’epoca arcaica, avevano come simboli il fallo e le divinità connotate da una forte sessualità, come Priapo e Pan. Questi rituali invocavano la fertilità non solo delle donne, ma anche della terra e degli uomini.

Anche le rappresentazioni della nudità femminile nell’arte romana si inseriscono in questo contesto di protezione e fertilità. La nudità era infatti un elemento simbolico per la società romana, legato alla fertilità e alla bellezza, qualità che definivano la matrona ideale. L’uso della statua di Venere nuda, che in alcuni casi decorava le tombe delle matrone, rappresentava non solo un riferimento alla bellezza ideale del corpo femminile, ma anche un richiamo alla funzione di madre e generatrice di cittadini, un ruolo fondamentale nella società romana. La figura di Venere era associata al mito di Enea e alla fondazione di Roma, e la sua rappresentazione come madre della stirpe giulia rinforzava l’idea di fertilità come elemento centrale nella vita familiare e civile. Tuttavia, le contraddizioni tra l’immagine erotica della divinità e il modello di donna romana casta vennero risolte attraverso culti che regolavano la sessualità femminile, come quello di Venus Obsequens e Venus Verticordia, che miravano a promuovere la purezza, il matrimonio e la nascita di figli.

Nel I secolo d.C., l’invenzione del ritratto nudo per le matrone suggerisce che il corpo di Venere rappresentava un ideale irraggiungibile di bellezza, simbolo di maturità sessuale e fertilità, ma anche di una certa debolezza e agiatezza, qualità che i moralisti romani ritenevano necessitassero della vigilanza maschile. La diffusione di questo ideale a tutti gli strati sociali rifletteva l’influenza della propaganda imperiale, che celebrava la famiglia giulia e la sua connessione con la divinità. La raffigurazione della matrona come Venere nelle tombe funebri diventò un modo per attribuire alle donne comuni qualità divine, ma anche per avvicinarsi ai modelli più elevati della società romana.

L’abbigliamento, infine, costituiva un altro aspetto fondamentale dell’identità femminile romana, distinguendo chiaramente le meretrici dalle matrone. Le prostitute, infatti, indossavano abiti che ne segnano la condizione sociale e professionale, come la toga scura o vestiti trasparenti, mentre le matrone si distinguevano per il loro ornatus, composto da una tunica coperta dalla stola, che rappresentava il loro stato giuridico di donne rispettabili e sessualmente inattaccabili. L’abbigliamento rifletteva quindi il ruolo sociale e la virtù della donna romana, così come la sua connessione alla sessualità, alla fertilità e alla stabilità della famiglia.

il comportamento delle donne romane riguardo alla sessualità, all’immagine pubblica e privata, nonché ai significati sociali legati ai loro abiti e acconciature. Esplora come l’aspetto esteriore, come la stola e l’acconciatura, fosse fondamentale per delineare il rango sociale e il comportamento delle donne, distinguendo tra matrone e cortigiane. Mentre le prime indossano il tutulus, simbolo di pudicizia e onore, le seconde presentano acconciature elaborate come simbolo di seduzione e accessibilità. La matrona ideale, infatti, era un esempio di comportamento misurato, fedele e economicamente prospero, mentre la libertà sessuale delle donne, seppur ben accetta all’interno del matrimonio, era fortemente regolata da precetti morali e dalla struttura sociale romana.

Le fonti letterarie e artistiche suggeriscono che, nonostante la società romana fosse molto rigida nel controllare la moralità femminile, la sessualità delle donne non fosse del tutto repressa. Ad esempio, poeti come Marziale celebrano il desiderio fisico delle donne, pur mantenendo un legame esclusivo con il marito. Il desiderio coniugale era naturale, ma la trasgressione dei limiti del matrimonio era vista negativamente, e le donne dovevano sempre comportarsi secondo gli ideali di castità e fedele devozione al coniuge.

Il tema della sessualità femminile si arricchisce di significati più complessi, esaminando anche la relazione con il corpo e la nudità. Contrariamente agli uomini, la nudità femminile era considerata intima e privata, non esibita nemmeno al marito. La riservatezza nelle pratiche amorose, inoltre, era parte integrante della società romana, come dimostrato dalla preferenza per l’oscurità durante i rapporti sessuali.

Le testimonianze visive, come graffiti e oggetti decorati con immagini erotiche, indicano che le donne non solo partecipavano attivamente alla cultura erotica, ma anche esprimevano il loro desiderio e la loro sessualità in modo esplicito. Questi oggetti, in particolare quelli appartenenti alla sfera femminile, come lucerne, specchi e bottiglie per profumi, mostrano il ruolo della donna nel creare e vivere una dimensione sessuale che, pur rimanendo sotto i confini del matrimonio, si arricchiva di aspetti sensuali e visivi.

Infine, il rapporto delle donne romane con l’omosessualità viene trattato come una devianza rispetto ai ruoli tradizionali. La società romana non accettava la sessualità femminile al di fuori del controllo maschile, e qualsiasi espressione di sessualità tra donne, come nel caso di Fortunata e Scintilla, veniva vista con sospetto. Questo comportamento era considerato un allontanamento dalle norme, in cui la donna doveva essere sempre sotto la supervisione di un uomo, sia come madre che come membro della famiglia.

In sintesi, il comportamento sessuale delle donne romane era fortemente influenzato da un codice sociale che privilegiava la fedeltà coniugale e il rispetto delle norme morali, ma allo stesso tempo permetteva una certa libertà nelle espressioni private e nel desiderio all’interno di un matrimonio, mentre considerava devianti le pratiche sessuali che violavano i confini sociali e di genere.

Lucerne con scene erotiche in Necropoli Campane

Il gruppo delle testimonianze funerarie provenienti dalla Campania offre un interessante spaccato delle pratiche funerarie e delle rappresentazioni culturali del I e II secolo d.C., con particolare attenzione alla presenza di lucerne decorate con scene erotiche. Tre sepolture principali — rispettivamente a Nola, Pompei e Lipari — forniscono dettagli preziosi su tali pratiche.

Tomba 58, Necropoli di Nola
Datata al II secolo d.C., questa tomba a inumazione include un corredo piuttosto modesto composto da un’olla monoansata, un chiodo di ferro, una moneta in bronzo e una lucerna Loeschcke VIII K. Quest’ultima presenta una rara scena erotica che ritrae un coitus a tergo in piedi, elemento insolito rispetto alla più comune iconografia su kline. La semplicità del corredo impedisce l’identificazione del sesso del defunto, ma offre spunti sulle usanze locali.

Tomba 8, Necropoli di Porta Nocera a Pompei
Questa tomba a incinerazione, risalente al I secolo d.C., si distingue per la stele funeraria antropomorfa che ha permesso di identificare il defunto come una donna adulta. Il corredo comprende un’olla in ceramica come urna cineraria, una lucerna Loeschcke IA frammentata con una scena erotica meno esplicita — due amanti in un momento di tenerezza su una kline —, frammenti di balsamari in vetro, una moneta di bronzo e resti di animali. La scena erotica rappresenta un caso unico, suggerendo un messaggio di affetto romantico più che di semplice piacere carnale.

Tomba 211, Contrada Diana a Lipari
Questa tomba a inumazione, anch’essa del I secolo d.C., ha restituito un corredo ricco e variegato, composto da catenelle, una serratura, chiodi, unguentari in vetro e diverse lucerne, tra cui una Loeschcke IV con una scena erotica raffigurante pigmei in un coitus a tergo. L’iscrizione “SEX. MA SA.” presente sulla lucerna fornisce un ulteriore elemento di interesse, collegandola a un esemplare simile proveniente dalla Tunisia.

Queste testimonianze rivelano non solo la varietà e la complessità delle pratiche funerarie nell’Italia meridionale, ma anche l’importanza simbolica delle decorazioni erotiche nelle lucerne, che potevano veicolare significati culturali legati all’amore, alla fertilità o alla memoria del defunto. Il contesto funerario e la scelta iconografica sembrano rispecchiare valori e concezioni della vita e della morte nell’ambito romano-provinciale.

Per un inserimento contestuale delle Lucerne della Necropoli di Sottomonte a Sorrento, ci viene incontro il lavoro dell’amica prof Antonella Coralini :

Pompei. Insula IX 8  Vecchi e nuovi scavi 1879-  Antonella Coralini

Le Lucerne Fittili in Campania: Produzione, Tipologie e Caratteristiche Archeologiche

La produzione di lucerne fittili rappresenta un aspetto fondamentale della cultura materiale romana in Campania, come evidenziato dagli scavi in diversi siti archeologici della regione. A Benevento, ad esempio, le officine di Cellarulo producevano lucerne “a perline”, a volute e a canale, mentre a Cales sono stati rinvenuti reperti databili dal II secolo a.C. al I secolo d.C., caratterizzati da ceramiche fini da mensa, anfore e lucerne augustee decorate.

I Reperti dell’Insula IX 8

Gli scavi nell’insula IX 8 di Pompei hanno portato alla luce circa sessanta frammenti di lucerne, prevalentemente provenienti da ambienti come la stalla, la bottega, la latrina-cella hostiaria e il viridario. Le lucerne sono state classificate in cinque principali categorie:

  1. Lucerne a vernice nera
  2. Lucerne a volute (le più comuni)
  3. Lucerne a becco corto e rotondo
  4. Lucerne a testa di uccello
  5. Lucerne a canale

Alcuni frammenti, per la loro frammentarietà, sono stati catalogati genericamente come lucerne a disco o come “diverse”, non rientrando in classificazioni standard. Circa la metà di questi reperti presenta decorazioni a rilievo, spesso con motivi vegetali o figurativi, come volti umani e scene erotiche.

Caratteristiche Tecniche e Cronologia

Le lucerne analizzate mostrano una varietà di impasti, generalmente duri, con inclusi bianchi, neri o micacei. I colori delle argille variano dal rosa al beige-giallino, con tracce di rivestimento esterno dai toni rossastri al grigio scuro. La cronologia si estende dalla metà del III secolo a.C. fino al terzo quarto del I secolo d.C., con una concentrazione di esemplari della prima metà del I secolo d.C.

Tipologie Principali di Lucerne

  1. Lucerne a Vernice Nera:
    • Realizzate al tornio con corpo globulare o biconico e lungo becco “a incudine”. Connesse alle lucerne greco-ellenistiche, queste lucerne sono databili tra il 250 a.C. e il 50 a.C.
  2. Lucerne a Volute:
    • La loro caratteristica principale sono le volute ai lati del becco, inizialmente funzionali per sospensione, poi progressivamente decorative. Nell’insula IX 8 sono stati identificati quattro sottotipi:
      • Becco triangolare: Decorazioni a rilievo con motivi come tralci di vite e volti figurati, datati alla prima metà del I secolo d.C.
      • Becco rotondo: Esemplari con motivi floreali e scene figurative, come una Vittoria alata o una scena erotica, databili dal periodo augusteo alla fine del I secolo d.C.
      • Anse plastiche: Caratterizzate da decorazioni elaborate, come palmette e motivi marini, con una diffusione tra il II e III quarto del I secolo d.C.
  3. Altre Tipologie:
    • Lucerne a canale e altre forme meno comuni completano il panorama tipologico, mostrando una varietà di usi e influenze regionali.

Conclusioni

Le lucerne fittili campane offrono una ricca testimonianza della produzione artigianale e delle influenze culturali nel mondo romano. Gli studi sui frammenti rinvenuti nell’insula IX 8 permettono di tracciare un quadro dettagliato delle tecniche produttive, delle preferenze stilistiche e delle reti commerciali di un’epoca che va dal III secolo a.C. al I secolo d.C.