Braccialetti elettronici: tra sicurezza e criticità del sistema

28 febbraio 2025 | 16:58
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Braccialetti elettronici: tra sicurezza e criticità del sistema

Negli ultimi mesi il tema dei braccialetti elettronici è tornato al centro del dibattito politico e sociale, in seguito a tragici episodi di femminicidio avvenuti nonostante le misure di protezione adottate. Attualmente, due commissioni parlamentari stanno conducendo audizioni per analizzare l’efficacia e le criticità di questi strumenti di sorveglianza.

Introdotti in Italia nel 2001 per la detenzione domiciliare, i braccialetti elettronici sono stati successivamente estesi alla prevenzione della violenza di genere con il “codice rosso” del 2019. Nel 2023, la legge 168 ha ampliato ulteriormente il loro utilizzo per reati spia come stalking e maltrattamenti. Il numero di dispositivi attivi è quindi aumentato esponenzialmente, passando da 2.808 nel 2021 a 10.458 a fine 2024, di cui 4.677 con funzione antistalking.

A differenza della cavigliera per la detenzione domiciliare, il braccialetto antistalking si compone di tre dispositivi:

  • Braccialetto applicato all’aggressore;
  • Track, un dispositivo GPS portatile che l’aggressore deve portare con sé;
  • VTU, un apparecchio assegnato alla vittima per geolocalizzarla e monitorare il rispetto delle distanze di sicurezza.

Gli allarmi si attivano in caso di avvicinamento, batteria scarica, malfunzionamenti o perdita del segnale. Tuttavia, il sistema ha rivelato numerose falle, segnalate da esperti e forze dell’ordine.

Le principali problematiche emerse sono:

  • Tempi di installazione e attivazione: la legge prevede che Fastweb, fornitore attuale, attivi il dispositivo entro 4 giorni, ma in molti casi l’attesa supera le due settimane, lasciando le vittime senza protezione.
  • Malfunzionamenti tecnici: frequenti problemi di segnale, scaricamento rapido della batteria e falsi allarmi compromettono l’efficacia del monitoraggio.
  • Gestione degli allarmi: la centrale operativa riceve migliaia di segnalazioni al giorno, ma il personale ridotto e spesso non formato adeguatamente rallenta le risposte.
  • Assenza di coordinamento nazionale: a differenza della Spagna e della Francia, l’Italia non dispone di protocolli standardizzati e strutture dedicate alla gestione dei dispositivi, rendendo l’intervento delle autorità meno efficace.
  • Confronto con modelli esteri

In Spagna, il sistema VioGén valuta il rischio caso per caso prima di imporre il braccialetto, evitando situazioni in cui la misura potrebbe rivelarsi inefficace. Il monitoraggio è affidato a centrali operative dedicate, con personale specializzato attivo 24 ore su 24. Analogamente, in Francia la distanza minima di allerta è di un chilometro (contro i 500 metri italiani), riducendo il rischio di incontri accidentali.

Dalle audizioni in Parlamento sono emerse alcune soluzioni per migliorare il sistema:

  • Adeguamento del contratto con il fornitore per garantire installazioni più rapide e un numero sufficiente di dispositivi.
  • Formazione specifica per le forze dell’ordine nella gestione degli allarmi e nell’uso dei dati di geolocalizzazione per arresti in differita.
  • Creazione di un sistema di coordinamento nazionale per standardizzare le procedure di monitoraggio e manutenzione.
  • Valutazione preventiva dell’idoneità del dispositivo in base alle condizioni territoriali e alla collaborazione dei soggetti coinvolti.
  • Semplificazione della gestione degli allarmi tramite cartografie digitali che evidenzino gli spostamenti dell’aggressore in tempo reale.

L’aumento dell’uso dei braccialetti elettronici per contrastare la violenza di genere rappresenta un passo avanti nella tutela delle vittime. Tuttavia, senza un adeguato supporto tecnologico e organizzativo, questi strumenti rischiano di rivelarsi inefficaci. Un intervento mirato, sulla scia delle esperienze internazionali, potrebbe garantire una maggiore sicurezza e un reale deterrente per gli aggressori.