Confermata la sentenza del TAR |
Cronaca
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Casamicciola Terme. Abusi al Convento sede del Comune, il Consiglio di Stato conferma la demolizione ordinata dallo stesso Ente Locale

10 febbraio 2025 | 23:46
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Casamicciola Terme. Abusi al Convento sede del Comune, il Consiglio di Stato conferma la demolizione ordinata dallo stesso Ente Locale

Il caso più unico che raro, del Convento dei Padri Passionisti di Casamicciola Terme, attuale sede del Comune, sul quale pende una ordinanza di demolizione proprio dello stesso comune finisce nelle aule di tribunale fino al Consiglio di Stato. Ovviamente l’Ente Locale non si è costituito in giudizio; eppure, il Consiglio di Stato ha confermato la decisone del TAR: gli abusi vanno demoliti. In conclusione, l’appello è infondato, ragione per cui l’appellata sentenza va senz’altro confermata. Nulla per le spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione resistente. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, lo respinge, stabilendo “nulla” per le spese. La sentenza dovrà essere eseguita dall’autorità amministrativa. La decisione con l’intervento dei magistrati Oreste Mario Caputo, Presidente, Giovanni Sabbato, Consigliere, Ugo De Carlo, Consigliere, Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore, Roberto Michele Palmieri, Consigliere.Il Consiglio si è pronunciato sul ricorso numero di registro generale 4837 del 2021, proposto da Siciliano Antonio in qualità di rappresentante dell’Ente Morale Provincia Dell’Addolorata dei Padri Passionisti, rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Bruno Antonio Molinaro, contro il Comune di Casamicciola Terme, non costituito in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 04874/2020, resa tra le parti. Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento il Cons. Roberta Ravasio e in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams”. Nessuno è comparso per le parti costituite.

IL COMUNE INGIUNGE LA DEMOLIZIONE DEGLI ABUSI AL CONVENTO ATTUALE SEDE DEL MUNICIPIO

A seguito di accertamento del 30 gennaio 2015, con provvedimento n. 2/2015, notificato il 4 maggio 2015, il Comune di Casamicciola Terme ingiungeva a Padre Mario Caccavale la “demolizione e rimessione in pristino dello stato dei luoghi originario” poi divenuto prima sede della Scuola Media indirizzo Musicale ed ora del Municipio. Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Padre Mario Caccavale, in proprio e nella qualità di legale rappresentante dell’Ente Morale Provincia dell’Addolorata dei Padri Passionisti, impugnava il suddetto provvedimento chiedendone l’annullamento. Con sentenza del 27 ottobre 2020 n. 4874, il TAR ha respinto il ricorso. In particolare, il TAR ha rilevato che:  il provvedimento dell’Amministrazione comunale era stato adottato in conformità all’art. 31 d.P.R. n. 380/2001 in quanto i lavori in questione dovevano qualificarsi quali “Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”, meritevoli di sanzione anche in ragione del carattere vincolato dell’area in cui insistono;l’ordinanza di demolizione costituiva un provvedimento repressivo di abusi edilizi e, pertanto, non richiedeva la comunicazione di avvio del procedimento una diffusa motivazione; il provvedimento impugnato doveva ritenersi adeguatamente motivato; la diversità soggettiva tra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario non onerava l’Amministrazione di un peculiare e aggiuntivo onere motivazionale: in particolare per la ragione che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario, nei cui confronti quindi può essere erogata la misura oggetto del provvedimento impugnato.Padre Rev. Antonio Siciliano, subentrato a Padre Mario Caccavale nella rappresentanza dell’Ente Morale Provincia dell’Addolorata dei Padri Passionisti, ha proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza impugnata. La causa è stata chiamata per la discussione in occasione dell’udienza straordinaria del 4 dicembre 2024, a seguito della quale è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Con un unico e articolato motivo, l’odierno appellante censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che per le opere sanzionate fosse necessario acquisire il permesso di costruire. Tali opere sarebbero state autorizzate con licenza edilizia n. 4792/1954, fatta eccezione per ulteriori interventi di adeguamento funzionale privi di rilevanza urbanistica e paesaggistica.In relazione ai locali tecnici l’appellante afferma trattarsi di pertinenze rispetto al convitto, assoggettate a SCIA, così come risulta anche dall’accertamento dell’ing. Francesco Rispoli, depositato in atti.Il provvedimento impugnato sarebbe, inoltre, viziato da difetto di motivazione e proporzione. Sul punto, il Tar avrebbe omesso di esercitare i poteri istruttori a fronte di una incompletezza dell’istruttoria.Altresì, l’odierno appellante denuncia l’erroneità della sentenza per aver escluso l’affidamento in ordine alla legittimità delle opere e la non congruità della motivazione del provvedimento a fronte del lungo tempo trascorso dalla data di realizzazione delle medesime: pur condividendo l’orientamento secondo cui il decorso del tempo non sarebbe idoneo a consumare il potere dell’amministrazione di provvedere né a fondare un legittimo affidamento, l’odierno appellante ritiene che la giurisprudenza ha, in più occasioni, dato rilievo al legittimo affidamento. Di conseguenza, l’amministrazione avrebbe dovuto specificare la sussistenza dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’opera e al ripristino dello stato dei luoghi, comparandolo con l’interesse oppositivo del privato alla conservazione dell’integrità dell’assetto edilizio.In ogni caso, anche alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, la sanzione demolitoria non potrebbe dirsi proporzionata atteso il tempo trascorso tra l’intervenuta sanzione e l’epoca in cui fu commesso l’abuso.Ancora il Tar avrebbe errato nel ritenere infondata la censura relativa alla estraneità di Padre Caccavale rispetto alla realizzazione delle opere sanzione, risalente a molti anni prima del suo insediamento. Pertanto, l’ordinanza di demolizione si porrebbe in violazione degli artt. 6, 7, 1, Prot. 1, CEDU, nonché dei principi di legalità e di colpevolezza per come interpretati dalla Grande Camera della Corte EDU (sentenza del 28 giugno 2018 Case of G.I.E.M. s.r.l. and others v. Italy). Ne conseguirebbe quindi la violazione del divieto di responsabilità per fatto altrui.In altri termini, l’ordine di demolizione di un’opera abusiva, intervenuta a distanza di notevole lasso di tempo a far data dalla realizzazione della stessa, avrebbe il carattere di pena ai sensi dell’art. 7 della Convenzione, sicché dovrebbe accertarsi l’esistenza di dolo o di colpa dei destinatari della sanzione.Infine, il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto non necessaria la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, allorché l’Amministrazione avrebbe dovuto salvaguardare le garanzie partecipative ex art. 7 L. n. 241/1990, non rilevando la natura vincolata per il carattere tecnico-discrezionale del potere esercitato. In via istruttoria, l’appellante chiede disporsi l’acquisizione di tutti gli atti relativi al procedimento, detenuti dall’Amministrazione. Le questioni sollevate con l’atto d’appello sono state da tempo chiarite dalla giurisprudenza. Il problema relativo alla motivazione che deve recare l’ordinanza di demolizione di opere, quando essa intervenga a lunga distanza di tempo dal momento della realizzazione e le opere da demolire siano abusive in quanto mai assistite da titolo edilizio, è stato definitivamente risolto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 9/2017, la quale ha affermato il principio secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.Il ricordato precedente si attaglia, senza dubbio, al caso di specie, venendo in considerazione manufatti ab origine abusivi, ovvero realizzati in assenza di qualsivoglia titolo edilizio. Esso principio si fonda sul presupposto che colui che dia corso ad interventi edilizi senza preoccuparsi di acquisire, preventivamente, il necessario titolo edilizio, non matura un affidamento legittimo – cioè qualificato dall’ordinamento giuridico circa la possibilità di poter conservare, anche nel lungo periodo, le opere abusivamente realizzate; di conseguenza non v’è ragione per obbligare l’Amministrazione ad effettuare una valutazione comparata tra l’interesse privato e quello pubblico, al ripristino della legalità violata, e a darne conto con specifica motivazione.Sono anche infondate nel merito le censure afferenti il difetto di motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive nonché quella relativa alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento. Il carattere doveroso e vincolato della sanzione edilizia, conseguente alla realizzazione di opere eseguite in assenza o in difformità del titolo edilizio, è stato definitivamente riconosciuto dalla Adunanza Plenaria nella sentenza n. 9/2017, che ne ha fatto discendere l’affermazione secondo cui, in tali casi, l’ordine di demolizione non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, neppure quando la demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso. Per le medesime ragioni la giurisprudenza consolidata esclude la necessità che l’ordine di demolizione debba essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento. La giurisprudenza ha anche già avuto modo di confrontarsi con il problema relativo alla possibilità di assimilare la sanzione demolitoria edilizia ad una sanzione afflittiva: tale assimilabilità è stata esclusa sul rilievo che la sanzione demolitoria “assolve a un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha una finalità punitiva e ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Cedu e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 c.p.” .