Roberto Keller, custode e testimone di cultura
Roberto Keller, custode e testimone di cultura
Cultura a Sorrento? Il punto interrogativo è fortemente voluto, ricalcando il manzoniano «Carneade, chi era costui?». Come ripeteva tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libro aperto davanti, mi sono chiesto: «C’è cultura a Sorrento?».
In senso antropologico, per cultura s’intende il complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali. Ma ciò non ha senso se non si riverbera sul popolo stesso; per cui, cultura è «quanto concorre alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società».
Un buon giornalista s’informa, studia, riflette, pondera, fa discernimento prima di scrivere, perché sa che anche il suo modesto contributo è cultura e può influenzare chi legge. Orbene, è sentire comune che Roberto Keller è stato un insigne presidente dell’Istituto di Cultura “Torquato Tasso” di Sorrento.
Come Diogene, che una volta uscì con una lanterna in pieno giorno e, alla domanda su che cosa stesse facendo, rispose: «Cerco l’uomo!», anche Roberto, nel suo ruolo di docente, ha detto: «Cerco la cultura!». Egli concepiva la scuola come “luogo da vivere”, evidenziandone la dimensione etica.
Infatti, nel concetto di etica si possono rintracciare due significati: quello che fa riferimento all’agire e quello che richiama all’abitare. Conviene tenere uniti entrambi per evidenziare il senso di un ethos come “dimora”, ovvero l’esigenza di stare bene, di raggiungere il ben-essere, cioè l’attuazione piena del proprio “essere persona”.
Dunque, la configurazione della scuola come “luogo da vivere” sintetizza bene la portata etica dell’istituzione scolastica, intesa come spazio in cui il ragazzo si pone la domanda “Chi voglio essere?”, prima ancora di quella “Cosa devo fare?”. Questo mette in luce la necessità di anteporre la questione antropologica a quella etica.
Sono certo che Roberto amava ciò che Erasmo da Rotterdam formulava in modo classico: «Homines non nascuntur, sed finguntur» (Gli uomini non si nasce, ma si diventa), attraverso l’educazione e la formazione.
Scriveva Erich Fromm che «Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto del dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi riempie di gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto mi sento vivo; amare è più importante che essere amato».
Di certo, la vita del professor Keller è stata all’insegna dell’amore oblativo per i suoi discenti, e questo gli avrà spalancato i portali di Ásgarðr, cavalcando indomito sul ponte Bifröst.
(Aniello Clemente, giornalista, scrittore)